Abbiamo già parlato del libro “Budo, la Via spirituale delle Arti marziali” di Werner Lind, riportiamo ora alcuni passaggi presenti al capitolo 16, che ha lo stesso titolo di questo articolo. Ovviamente non si tratterà di una pedissequa copiatura (anche perché il diritto d’autore non lo ammette...) quanto piuttosto di una citazione più o meno estesa, con qualche necessario adattamento e riduzione. Dojo kun viene usualmente tradotto come “regole del luogo dove si segue la Via” ed è una raccolta di cinque frasi che costituiscono una esemplificazione dei principi che dovrebbero guidare ogni praticante marziale. Comunemente i Dojo kun vengono associati alle Scuole di Karate, ma i principi che racchiude sono validi per qualunque Arte, tanto che nel prosieguo parleremo di Budo, piuttosto che di una Arte specifica. I cinque motti del Dojo kun terminano con Koto, rafforzativo imperativo del verbo impiegato, e cominciano con Hitotsu, che può essere tradotto come "per primo", "innanzitutto", sottolineando la importanza del seguito di ciascuna frase, ognuna delle quali illumina un particolare aspetto fisico e spirituale del percorso addestrativo del praticante, assumendosi il non facile compito di evitare sia la intellettualizzazione della pratica che la riduzione della stessa a mero atto fisico di forza.
1 Commento
Sul sito della benemerita FISAS (http://www.scherma-antica.org) ho letto alcune note del Maestro Andrea Lupo Sinclair che ho avuto il piacere di conoscere in una sua Accademia romana qualche anno fa, grazie alla “intercessione” di Vivio, allora Prevosto d'armi della stessa Scuola. In alcune pagine del sito viene spiegata la filosofia ed il metodo alla base della pratica che vi si svolge, considerazioni che trovo condivisibili ed ampliabili anche ad altri ambiti. In particolare si dice: "La Scherma è paradigma e rappresentazione della vita. Tempo, Misura, Strategia e Natura sono presenti in ogni momento della nostra esistenza" ed anche: "La Scherma è innanzitutto conoscenza di sé stessi. Nessuna tecnica può funzionare se non è praticata con estrema consapevolezza e quieto spirito" Credo che chiunque abbia una sufficiente esperienza nella pratica marziale (e non solo, direi...) non possa che condividere queste affermazioni. (Prima conosci tè stesso e poi l'altro) Fa parte della natura umana partire dal presupposto che la propria opinione sia esatta e, anche conoscendo in modo superficiale le questioni altrui, voler dettare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Questo è un comportamento ingenuo. E già abbastanza difficile trovare la verità in se stessi. Tutte ciò che va al di là di questo necessita di un esercizio intenso ed è assolutamente impossibile senza un previo stato avanzato di maturità. Lo spirito concentrato in una specializzazione perde di vista i nessi più grandi. Siccome però li tecnica moderna apprezzi molto di più lo specialista concentrato su un ambito sconosciuto rispetto all'uomo che ha maturato nella vita, la persona inadeguata ma altamente specializzata viene ad essere sempre più spacciata per modello da seguire. Tuttavia ovunque questa persona venga ad operare al di fuori del proprio ambito sorgono degli equivoci. Lo specialista è una persona che capisce sempre più del sempre meno. Per i praticanti di un'arte marziale lo sforzo di conseguire uno spirito aperto e ad ampia portata è un'importante meta degli esercizi. È ingenuo e pretenzioso voler interferire nel giusto o nello sbagliato quando si tratta delle responsabilità altrui senza esserci dentro in prima persona. Wazawai wa gelai ni shozu (La sventura accade sempre per una disattenzione) II momento di distrazione è il peggior nemico di tutti gli obiettivi. Può capitare qualsiasi tipo di disavventura, perché la persona in una data situazione non è concentrata al punto giusto ovvero le manca quell'intuizione decisiva che metta in condizione di valutare correttamente. Attraverso l'esercizio del Budo si può far propria una tale condotta positiva, una condotta contraddistinta da un'attenzione vigile al cospetto degli eventi. Trattasi più o meno di una questione di esercizio e chi lo vuole davvero, può imparare. L'assenza di spirito nell'agire presente, la disattenzione o l'eccessiva attività cerebrale su quella che è la vita, su quanto omesso o perduto o su ciò che sarebbe potuto essere, questi sono i peggiori nemici della concentrazione. Questa volta il Maestro Claudio Regoli ci racconta una storia che - pur non essendo tra le sue preferite, è molto celebre, e la si trova, parafrasata, ne “I sette samurai" di Kurosawa. Un maestro di spada, avendo invitato un amico a casa, parlava di come si sentisse stanco e stesse pensando di cedere la direzione della scuola ad uno dei suoi tre figli. La discussione portò presto su quale dei figli scegliere, e per chiarire la cosa all'amico il padrone di casa,messo un vaso in bilico sulla porta, chiamò uno dei tre. Questi arrivò di corsa ed aprendo la porta fece cadere il vaso, ma, con una contorsione, riuscì ad evitarlo e lo afferrò un attimo prima che toccasse il suolo; poi lo rimise sullo stipite e si precipitò agli ordini del padre, che lo spedì fuori con una commissione. “E’ il mio secondo” commentò quindi il genitore all'amico:”Ha ancora da imparare, ma è sulla strada giusta e migliora ogni giorno”. Ancora un "gioiello" dallo scrigno del M° Claudio Regoli Quando il figlio del signor Wang fu nell’età giusta, il padre lo mandò a chiamare e gli chiese quale strada volesse intraprendere: la via delle lettere e lo studio delle antiche scritture, la via delle Arti e della progettazione del nuovo, la via delle Scienze e della ricerca, la via della cura del corpo o dell'arricchimento dell'animo. Ma nessuna di queste strade incuriosiva il figlio. “Puoi diventare mercante”, gli disse il padre,”lavorerai nella Compagnia del cugino Sui,che ti insegnerà i segreti dei commerci”. Ma neppure questo interessava il figlio. “Tu sei il mio unico figlio” gli disse il padre: ”io sono già anziano e devi scegliere ora la tua strada, affinchè tu possa perseguire gli studi fino che io sono in vita”. Il M° Claudio Regoli, condivide un'altra perla di saggezza... Yagyu Tajima no kami, ormai anziano, aveva rinunciato al posto di maestro di spada dello Shogun a favore del figlio,e,ritirato nel feudo avito, passava ormai il suo tempo nel castello di famiglia, ma era sempre il capo della sua Casata;un giorno convocò all’improvviso il consiglio del Clan. “A causa della mia età” iniziò il vecchio famoso guerriero:” la mia testa non funziona più bene, e mi vedo costretto,nel suo stesso interesse, a rinunciare al comando del Clan”. Grande fu la costernazione dei consiglieri all’idea che il vecchio maestro si ritirasse, anche perchè fino a quel momento era sembrato a tutti ancora in piena forma, sia fisica che mentale, ed i più arditi, pregandolo di riconsiderarla, chiesero il perchè di questa improvvisa decisione. Uno degli ammonimenti che più frequentemente vengono impartiti nel Dojo comprende la pronuncia di questa frase, che in giapponese significa “guardare una montagna lontana”. Si invita così il praticante ad avere una visione di insieme dell’avversario; piuttosto che guardare solamente i suoi occhi, le sue braccia o i suoi piedi bisogna osservare ogni suo singolo aspetto, dalla contrazione involontaria del viso al ritmo della sua respirazione, arrivare a comprenderne le intenzioni prima ancora che queste vengano manifestate. E' la stessa mente che guida la mente fuori strada; della mente non essere dimentico.[1] Munen-musho (senza scopo - senza idea) è il concetto buddista della "mente vuota", uno stato in cui sono assenti pregiudizi e catene di pensieri logici ed in cui si è pienamente presenti nel "qui e ora" in uno stato di totale attenzione a ciò che ci circonda ed al gesto che stiamo compiendo. Questo stato ci permette di superare anche le nostre peggiori paure, spesso frutto proprio del lavoro della mente, sino a raggiungere il traguardo prefissato. Così nella condizione di “mu-ga mu-shin” (non-io non-mente) non vi è neppure “lo spessore di un capello tra volontà e azione” e la disciplina della concentrazione della mente mira ad una cosa sola: al superamento dell’ “io che osserva”, giudica e condiziona con le sue paure, i suoi attaccamenti e le sue avversioni.[2]
_Quando di discute di difesa personale, molti sottolineano la necessità di un corretto approccio “verbale” alla minaccia, tale da installare nell’eventuale aggressore la ragionevole convinzione di avere di fronte un soggetto su cui non sarebbe agevole esercitare violenza ed indurlo quindi a cercare vittime più “facili”. Da questo punto di vista, uno dei cataloghi più ampi di espressioni, frasi e situazioni è senz’altro quello fornito dalla filmografia di Clint Eastwood, un attore di cui Sergio Leone disse all’epoca dei primi film “spaghetti western”:” Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, ed Eastwood a quell'epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello.” Ecco a voi qualche esempio: |
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