Il testo che riporto di seguito fu il commiato scritto da uno degli utenti più interessanti tra quelli che frequentavano forumartimarziali.com. Di lui era noto solo il nickname “V per…”, e null’altro. Non il suo nome vero, non la sua esperienza, non le Arti praticate o il grado conseguito. Da quanto traspariva dai suoi scritti però, sempre originali, ironici ed interessanti, era un praticante certamente esperto, che aveva maturato una sua visione della pratica basata su quanto vissuto di persona e non sugli “ipse dixit”. Grazie al prezioso lavoro di archiviazione di Loris Giopp ho la possibilità di ritrovare questo scritto e di offrirlo a chi non lo conosce, certo che piacerà come piace a me.
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Chen Jian Zhui Zhou (chén jiān chuí zhǒu, Chen chien chui chou, 沉肩垂肘) Abbassare le spalle e far cadere i gomiti Sink the shoulders and drop the elbows. Durante la pratica le spalle (Jian) devono essere tenute basse (Chen), completamente rilassate ed aperte. Se non si riesce a rilassarle e ad abbassarle, le spalle rimarranno sollevate ed in tensione. Il Chi le seguirà spostandosi verso l’alto e l’intero corpo non potrà esprimere la sua potenza. “Far cadere (Zhui) i gomiti (Zhou)” significa che i gomiti devono essere tenuti in basso e rilassati; se i gomiti si sollevano, le spalle non potranno abbassarsi e sarà impossibile spostare lontano un avversario oppure – anche se ci riusciremo – la nostra tecnica sarà simile a quelle impiegate dagli stili “esterni” che utilizzano la forza muscolare. "Quando l'acqua è tranquilla può riflettere la barba e le sopracciglia di un uomo e la sua superficie è così ferma che può servire da livella al mastro carpentiere. Se la tranquillità dell'acqua permette di riflettere le cose, di che cosa non è capace quella dello spirito dell'uomo?" (Zhuang-zi / Chuang-tzu) Song Yao (sōng yāo, Sung yao, 鬆腰) Rilassare la vita Relax the waist La vita (Yao) è il “comandante” che guida il corpo intero. Se si riesce a rilassare la vita le gambe acquisteranno potenza e la parte inferiore del corpo sarà stabile. Sostanziale ed insostanziale sono in continua variazione ed è su questo principio che si basa la rotazione della vita. E’ stato detto che: “La sorgente delle posture è nella vita. Se non riuscire ad esprimere completamente la vostra potenza, cercate la causa nelle gambe e nella vita”. Han Xiong Ba Bei (hán xiōng bá bèi, Han hsiung pa pei, 含胸拔背) Mantenere il busto rientrato e stirare il dorso Sink the chest and pluck up the back Il busto (Xiong) deve essere incassato (Han) in maniera naturale, in maniera che il Chi possa concentrarsi nel Tantien. Bisogna quindi evitare di espandere il torace, altrimenti il Chi si concentra nel petto e la parte superiore del corpo diventa pesante e quella inferiore troppo leggera, così che le caviglie rischiano di essere sradicate. Stirare (Ba) la schiena (Bei) serve a far aderire a questa il nostro Chi, ed inoltre permette di emettere la nostra forza attraverso la colonna vertebrale. Seguire questa regola ci renderà combattenti senza eguali. (Non pensare che il Karate si esplichi solo nel Dojo) Questo principio è stato formulato dal M° Funakoshi e viene illustrato dello Shoto Nijukun all’ottavo posto. Esso vuole insegnare che un praticante di arti marziali non dovrebbe pensare che l’esercizio della tecnica nel Dojo sia più importante dell’esercizio della sua condotta interna nella quotidianità. Molti allievi si concentrano sulla tecnica, ricoprendo questa la massima importanza ai loro occhi, e tralasciano l’esercizio del comportamento. In tal modo omettono di riconoscere importanti nessi nell’esercitazione del Budo e, mentre combattono in vista dell’auspicato progresso, mancano il senso della Via. Guardano presuntuosamente dall’alto a ciò che considerano di scarso rilievo e non si accorgono che in tal modo danno luogo ad una condotta che impedisce il loro progresso nella Via. In una discussione di diverso tempo fa, Enrico Lorenzi, un esperto schermidore ed utente di un forum di Arti Marzioali, affrontava con approccio metodologico da studioso e ricercatore analogie e differenze tra i trattati d’arme occidentali ed i Makimono orientali. Riassumendo il tutto ai minimi termini, si può affermare che anche se entrambi avevano lo scopo di riprodurre tecniche, principi e strategie di una Scuola o di una disciplina, i trattati spesso avevano un approccio più aperto e didattico, mentre i compilatori dei Makimono usavano non di rado un linguaggio criptico e fortemente simbolico, con lo scopo di velare i segreti ai non iniziati. Ma non tutti hanno la possibilità, il tempo, le conoscenze e l’esperienza per analizzare simili opere, così può capitare che interessanti spunti di riflessione vengano forniti – a chi ha occhi per vedere – anche da opere apparentemente più “leggere”, ma redatte però da autori che abbiano avuto esperienze belliche o marziali di qualche tipo. E’ questo il caso di Torquato Tasso e della sua “Gerusalemme Liberata”, che ci illustra - con lo spirito e la sapienza che lo contraddistingue – messer Gianluca Zanini in uno scritto di qualche anno fa, con una analisi che non mancherà di farci rileggere questo grande classico con un approccio affatto diverso da quello, spesso noioso, dei banchi di scuola. (N.d.R.) Pochi forse sanno che tra i cantori italiani del poema cavalleresco, solo il Tasso fu elevato al rango di schermidore e la sua “Gerusalemme Liberata” fu annoverata tra quelle opere letterarie schermisticamente più interessanti. Cominciarono a rivalutare il Torquato e la sua opera i maestri di scherma tra la fine del1700 e l’inizio del 1800, tra i quali i più famosi sono il Rosaroll e il Grisetti, ma dobbiamo aspettare la fine del secolo perché un insigne studioso e schermidore come il piemontese Alberto Cougnet scrivesse due bellissime opere, dove possiamo ammirare una profonda analisi tecnica della “Gerusalemme Liberata” ed una serie interessante di aneddoti sulla vita del Tasso. L’errata conclusione che il senso della vita risieda nel benessere fa sorgere l’ansia di dover produrre sempre di più per potersi permettere di più. Ma in questo modo non si centra il senso della vita e si rende l’uomo squilibrato e malato. La vita non è vita se votata ad un qualsiasi scopo, essa deve possedere un compimento in sé stessa. Non è finalizzata a conseguire maggiori guadagni, bensì a cercare un senso, grazie al quale l’uomo sia più libero, sano e felice. (Uno specchio cristallino riflette la verità) Se una persona agisce in modo disonorevole o trama qualcosa di cattivo, lo specchio di questo spirito rifletterà questo stato d’animo. In nessun altro luogo lo specchio lo riflette così chiaramente come in una comunità di Budo. I praticanti di arti marziali devono impegnarsi ad avere uno stato d’animo sincero. Talvolta può apparire che nella vita sia più facile essere disonesti, specie se si pensa che nessuno se ne accorga. Invece chi agisce in questo modo perde il rispetto di sé stesso ed il suo onore. L’avidità, l’egocentrismo e l’egoismo sono grandi ostacoli sulla Via, ed in nessun posto emergono più chiaramente che in una comunità di Budo. (Traduzione ed adattamento di “Uchidachi & Shidachi” di Nishioka Tsuneo, disponibile presso http://koryu.com/library/tnishioka1.html) L’articolo seguente è la traduzione di un capitolo del libro di Nishioka Tsuneo intitolato “Budo-teki na Mono no Kangaekata: Shu, Ha, Ri” (Budo Via del Pensiero: Shu, Ha, Ri). La traduzione dal giapponese è spesso problematica a causa della ambiguità propria dello stile tradizionale di scrittura dei saggi nipponici. Con l’obbiettivo di chiarire le idee dell’autore e di presentare al meglio il suo pensiero, il testo originale è stato arricchito con una serie di conversazioni personali avute con altri autori, con lo scopo di trasmettere la sensazione dell’insegnamento trasmesso dal maestro al discepolo. Si noti che in questo articolo i suffissi –do (Via) e –jutsu (abilità o pratica) sono usati nella accezione giapponese, che non fa una distinzione netta e precisa tra i due termini. In particolare l’autore non ritiene che questi rappresentino due entità separate, quanto differenti aspetti di una singola realtà, che viene a volte definita Budo, altre volte Bujutsu, percui quando nell’articolo seguente varrà impiegato l’uno o l’altro termine, questo dovrà intendersi come comprensivo sia della definizione relativa tanto alle arti classiche (Ko Ryu) quanto a quelle moderne (Gendai Budo). L’articolo comincia con una disanima del concetto giapponese di “Rei”, termine che presenta una notevole difficoltà di traduzione; anche se infatti può essere tradotto come “decoro”, “etichetta”, “cortesia”, “educazione”, nessuno di questi termini corrisponde completamente al concetto giapponese, così si è preferito lascialo non tradotto, immaginandolo come la qualità e l’essenza delle corrette relazioni tra individui. Diane Skoss (traduttrice) ------------------------------------------------------------------------ Il cuore del bujutsu è il “rei” ed è responsabilità dell’insegnante trasmettere questo concetto agli allievi. Se ciò non avviene, questi ultimi possono tenere comportamenti scorretti e perdere il vero significato dell’addestramento. Sfortunatamente, al giorno d’oggi ci sono tanti esempi di abuso di potere nel Budo giapponese e solo pochi maestri insegnano correttamente i principi del Budo. il Rei nel Budo è diventato artificiale, somigliando alla gerarchia militare nipponica “vecchio stile”. Il vero significato del Rei non è più espresso e vediamo preservata solo la parte peggiore delle tradizioni e cultura giapponesi, cosa che rende necessario trovare un modo per cambiare questa situazione. Il Bujutsu è guidato dal Rei e l’istruttore agisce in maniera da condurre idealmente i suoi studenti verso un traguardo più elevato ma alcune persona, anche abili o in possesso di un grado elevato, mettono da parte ciò che dovrebbero aver imparato circa il Rei. Coloro i quali omettono di praticare così diligentemente da migliorare lo spirito così come migliorano la tecnica è come se dimenticassero l’umiltà del vero Rei e finiscono per diventare irrispettosi e orgogliosi. |
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Marzo 2017
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