Nell'Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke. Nell'ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uchi, il praticante che nel kata viene sconfitto. Per coloro che non hanno dimistichezza con le koryu (Scuole di Arti marziali tradizionali) nel budo classico giapponese il kata è sempre un esercizio eseguito da due persone che si confrontano, con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso.
(traduzione ed adattamento di “Taking Ukemi and Being Uke” di Peter "the Budo Bum" Boylan)
Nell'Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke. Nell'ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uchi, il praticante che nel kata viene sconfitto. Per coloro che non hanno dimistichezza con le koryu (Scuole di Arti marziali tradizionali) nel budo classico giapponese il kata è sempre un esercizio eseguito da due persone che si confrontano, con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso.
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Autore: Junyû Kitayama Titolo: Lo stile eroico. L’eroismo in Giappone Collana: Sannō-kai Edizioni AR 134 pagine Prezzo: 12,00€ Il volume ripropone un saggio che tratta dell’affascinante tema dell’eroismo in Giappone, e riveste particolare inte-resse perché redatto da un pensatore solitario e maestro di Judo che, pur giapponese, scrisse poco nella sua lingua madre, producendo invece saggi e testi in tedesco, dopo aver approfondito gli studi di filosofia nella Germania a cavallo tra le due guerre mondiali. Colto ed erudito, laureatosi prima in patria alla università di studi religiosi, si trasferisce in Europa nel 1924 approfondendo i suoi studi di filosofia, indologia, sanscrito e latino. Una cultura ampia e poliedrica, che permette a Junyu Kitayama di avere la conoscenza necessaria per spiegare un peculiare aspetto della cultura nipponica a chi, come noi europei, ne conosceva poco o nulla. Lo spirito di un esperto di arti marziali è chiaro e limpido come la superficie di un lago incantato. Una tale superficie è uno specchio che riflette tutto ciò che accade nel proprio ambiente. L'esperto di arti marziali, che pratica una tale condotta per il proprio spirito, ben presto potrà constatare di essere in grado in tal modo sia di decifrare naturalmente le azioni del proprio avversario, che di giudicare con chiarezza le situazioni della vita; di conseguenza sarà capace della giusta reazione. (Traduzione ed adattamento di "The Dojo is a laboratory" di Vince Salvatore. Il mio insegnante mi diceva che il Dojo dovrebbe essere come un buon laboratorio; pensandoci con un po’ di attenzione, credo sia vero. Dovremmo essere capaci di realizzare degli esperimenti sicuri con tutti gli appartenenti al gruppo della nostra scuola, ed il Dojo un luogo per la crescita personale dove possiamo sviluppare noi stessi tramite attività fisiche e mentali, senza le quali difficilmente svilupperemmo la nostra consapevolezza. Qui di seguito sono elencate alcune strategie fisiche e mentali che possono agevolare il conseguimento di notevoli risultati se applicate alla nostra pratica, e che la sperimentazione cominci! Oramai quasi maggiorenne, il tradizionale Stage Tecnico Nazionale della Wudang Fu Style Federation si conferma come un appuntamento irrinunciabile per insegnati e praticanti del “Vecchio stile Fu” che vede nel M° To You il caposcuola che ha trasmesso gli insegnamenti ed i principi dell’Arte di Fu Chen Song. Svoltosi a Sperlonga dal 26 al 29 settembre e diretto dal M° Severino Maistrello, nominato successore diretto del M° To You, lo Stage si è svolto con la classica impostazione del “Gasshuku”, incontro durante il quale i partecipanti hanno la possibilità di stare a contatto diretto e continuo tra loro e tra i loro insegnanti, praticando, mangiando e dormendo tutti insieme nello stesso luogo. Se è vero che sui samurai giapponesi si sono scritte in passato (e non solo…) molte cose inesatte per non dire palesemente false o esagerate, è altrettanto vero che ancor più questo vale per i praticanti del ninjutsu, a cui una letteratura fantasiosa e interessata, unita a leggende popolari dure a morire, ha attribuito tanto poteri fantastici quanto capacità sovrumane. Per fortuna oggi la Rete permette non solo la diffusione di bufale e spam, ma anche la condivisione di informazioni e conoscenze con modi e tempi impensabili anche solo pochi anni fa, così per affrontare uno degli argomenti forse più controversi ed affascinanti dell’Arte degli shinobi abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Viviani, Shidoshi della Bujinkan, che ringraziamo per la sua gentile disponibilità e per la sua cortese collaborazione. L’articolo originale risale al 2008 e lo riproponiamo, previo permesso dell’Autore, così come fu scritto allora, sperando di poter contribuire a chiarire alcuni aspetti di questa affascinante Arte. (NdR) La forza del kuji L’utilizzo dei kuji (nove sillabe) è stato largamente sfruttato per creare la figura mitica del ninja nei manga, nei film e ha influenzato l’immagine che la gente ha del ninjutsu. E’ una delle abilità ninja più esotiche: incrociare le dita, pronunciare parole magiche e il nostro eroe scompare come un fantasma o si trasforma in un ratto o un corvo. C’è sempre un fondo di verità nel cuore di ogni fantasia e questo vale anche per il nostro argomento. |
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Marzo 2017
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