In base alla mia modesta esperienza, mi sento di affermare con ragionevole sicurezza che nell'Arte, come nella vita, valgono sempre gli stessi Principi universali. E così, absit iniura verbis, e senza sfociare nella ossessiva paranoia del Sgt. Hartman, considero le armi che impieghiamo nella pratica dell'Arte come "compagne di Via", che vanno trattate con la stessa cura ed attenzione che dedichiamo (o dovremmo dedicare...) alla persona in carne e ossa con cui condividiamo un pezzo della nostra vita.
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Questo articolo ha lo scopo di illustrare in maniera sommaria le similitudini e differenze tra la scherma sino-nipponica e quella occidentale. Il lavoro originale risale alla fine del 2007 ed ha visto la luce grazie ai contributi di alcuni utenti della sezione “armi bianche” di www.forumartimarziali.com . Tra questi, un particolare debito di riconoscenza va espresso ancora oggi a Carletto, Jon, Rodomonte e Viviolas, per i loro contributi in pubblico e in via privata. Grazie ragazzi! (NdR)
Alcuni utenti hanno fatto una sintetica descrizione dei colpi che vengono portati durante la pratica, sia del ken-jutsu giapponese che delle varie Scuole di scherma europea. Le descrizioni dei colpi sono ovviamente indicative, e non possono (ne’ hanno la pretesa) di sviscerare il metodo e la strategia che li originano; lo scopo del confronto non era il desiderio di voler eleggere la scherma più efficace ma più che altro il fornire una serie di elementi ai vari praticanti per consentire di conoscere a livello basico quanto praticato da altri. Se non mancano le differenze - e non potrebbe essere diversamente viste le differenze di armi, protezioni e tattiche impiegate – pure alcuni punti di contatto possono essere trovati, illuminando sotto una luce diversa, tecniche e pratiche note e conosciute. Chi un po’ mi conosce spero abbia compreso quanto io ritenga interessante e fruttuoso il confronto, che può essere quasi sempre un utile strumento per ampliare le proprie conoscenze, confermarle o – addirittura – modificarle. In un mondo, come quello marziale, dove spesso l’ortodossia sfocia nel fanatismo e la fedeltà al proprio insegnante o alla propria Scuola porta a credere che la Verità (ovviamente con l’iniziale maiuscola) appartenga solo ad uno, è ancor più interessante avere la possibilità di discutere con persone che alla indubbia preparazione tecnica affianchino una non comune capacità di esporla in belle lettere. Gianluca Zanini è tra gli interlocutori più piacevoli in cui io abbia avuto la ventura di imbattermi, ed il riproporre questo suo scritto di fine 2007 spero valga a pungolarlo verso la conclusione delle opere a cui si sta dedicando da un po’ di tempo. (Carlo Caprino)
Il Caravaggio è una tra le tante figure storiche appartenenti al mondo delle arti figurative e letterarie rinascimentali che in qualche modo sono coinvolte, nel bene e nel male, nella scherma di quel periodo, vale a dire la scrimia. Personaggi come poeti o pittori che hanno nel nostro immaginario collettivo una indefinita collocazione culturale-scolastica, molto spesso distante dalla realtà storica in cui vissero, e che si rivelano poi come temibili schermidori o irascibili rissaioli, è una di quelle amene scoperte che mi hanno sempre dilettato e spronato ad approfondire l’argomento alla ricerca di curiosi avvenimenti. Penso possano anche incuriosire i marzialisti risvegliando alcune reminescenze scolastiche della storia dell’arte italiana. Michelangelo Merisi da Caravaggio fu uno di questi spadaccini/schermidori, frequentatore di taverne e prostitute, oltre ad essere ovviamente un quotato pittore del suo tempo. E’ abbastanza risaputo che avesse un caratterino non proprio facile e che più volte fosse coinvolto in risse e duelli, e si sa anche che fu più volte ferito e che uccise un tizio a Roma passandolo a fil di spada. A causa di ciò dovette fuggire e guardarsi le spalle per il resto della sua vita. Purtroppo mi erano sempre mancati i particolari tecnici. Ken Zen Ichi
(La Spada e lo Zen sono una cosa sola) Nel secolo XVI (1573 – 1645 il Maestro di Zen Takuan scrisse una famosa lettera al Maestro di scherma Yagyu Munedori, nella quale intendeva chiarire il collegamento tra la pratica della meditazione Zen e quella dell’Arte della spada. Il “Taikai”, come fu poi denominata quella lettera, conteneva come motivo centrale la frase “Ken Zen Ichi” che definisce la vera maestria nell’Arte della scherma quale stato di completa unità dell’uomo, raggiungibile solo attraverso la totale perfezione di Ri (stato dello spirito) e Waza (tecnica). Ieri sera, sul tatami, praticando Aikiken, ho attirato l'attenzione di chi c'era sul modo di impugnare il bokken, evidenziando come - nelle buki waza del Takemusu Aikido - la presa vada applicata principalmente con mignolo ed anulare, diminuendo progressivamente di intensità con le varie dita sino ad arrivare ad un indice quasi solo poggiato.
(Traduzione ed adattamento di "Your Tegatana, Your Shield" di Gregor Erdmann)
Quando riceviamo un attacco energico, possiamo essere sopraffatti dall’istinto e dalla paura, che ci fanno muovere in una maniera tutt’altro che ideale. Uno degli indizi comuni che indica la perdita della centratura è la “ricerca” dell’intercettazione dell’attacco con il proprio braccio difensore. Se consideriamo ad esempio uno yokomen [percossa alla tempia, solitamente portata con un fendente, N.d.R.], spesso il nostro braccio sarà orientato con un angolo errato, che impedirà di ottenere un’area di contatto sufficientemente ampia, esponendo le costole ed addirittura rischiando di indirizzare l’attacco proprio contro di queste. Sebbene ciò sia chiaramente sbagliato dal punto di vista tecnico, ci aiuta poco per correggere l’errore finché diventa parte della nostra filosofia marziale. L’estetica e la spiritualità dell’oriente trovano un singolare punto d’incontro in due vie apparentemente disgiunte: il pennello e la spada. La prima, nota come “shodo”, è una metafora del pensiero zen: una volta che il pennello ha toccato la carta, l’inchiostro non può essere recuperato ne cancellato, ed ogni tentativo di mascherare l’incertezza sarà irrimediabilmente visibile ad opera finita. Il calligrafo, attraverso un solo gesto, ha un'unica possibilità di comunicare il suo sentire: traccia la sua volontà sulla carta, metafora stessa della vita che come tale, ha un’unica possibilità di essere vissuta. Giuseppe Fino, “La Spada Giapponese” Edizioni Sanno-Kai, 1998, 96 pagine, 12 euro La spada è uno dei tre emblemi del Divino che Ninigi, nipote della dea del Sole Amaterasu, scendendo dal Cielo porta con sé sulla Terra. In quanto simbolo del potere regale e della casta dei samurai, nel Giappone tradizionale essa viene sentita e considerata come l'anima del guerriero (bushi) e perfino, in alcune occasioni, come un vero e proprio kami, per la sua caratteristica di togliere o salvare la vita. Alla spada giapponese, alle sue peculiarità costruttive, alla sua micidiale efficacia ed all’ampio simbolismo ad essa correlato sono stati dedicati moltissimi libri, saggi e pubblicazioni. Nello stupendo scenario del golfo di Gaeta si è tenuto dal 26 al 29 settembre 2013 lo stage tecnico nazionale di Tai Chi Chuan e Qi Gong Chi Kung della Wudang Fu Style Federation diretto dal M° Severino Maistrello. Nel corso dell’incontro si è approfondito lo studio dell'Arte del Tai Chi e del Qi Gong come vengono praticati dai Taoisti fin dall'antichità. I Taoisti hanno sempre considerato che le Arti che favoriscono il risveglio spirituale, la salute, ed il benessere possono migliorare la qualità della vita di tutti i giorni. Rigenerarsi nella natura per meglio sopportare la città ed i suoi inconvenienti, fare una provvista di energia vitale, intellettuale e fisica non è più un lusso, ma una necessità attuale. Queste tecniche, che nutrono ed armonizzano l'energia vitale, sono usate da millenni come pratica di “lunga vita” e come prevenzione e mantenimento della salute. |
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