Prosegue il nostro viaggio alla scoperta degli Yoji-jukugo, frasi idiomatiche composte da quattro kanji. Questo volta è il turno di Jigou-jitoku, che letteralmente significa all’incirca “Stessa azione, stesso guadagno”, concetto che con una traduzione più ampia può rendersi come “sofferenza causata dal male fatto” e che corrisponde all’incirca ai detti italiani “Chi la fa l’aspetti” oppure “Chi semina vento raccoglie tempesta”.
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Bell'allenamento, copiosa sudata, tanti spunti di riflessione e monito al mal di schiena...
Grazie a Francesco per avermi scarrozzato ed agli insegnanti ed allievi di Castellaneta per l'ospitalità.. Come detto nell’articolo precedente, le Arti marziali tradizionali sono caratterizzate da una serie di regole di comportamento usualmente indicate come reigi o reishiki che costituiscono parte integrante dell’addestramento del praticante. Nel momento in cui una persona calca il tatami deve essere consapevole di essere membro di un gruppo che osserva regole particolari e precise, comuni a tutti i luoghi in cui si svolge la pratica marziale, con l'eccezione di piccole usanze, che possono variare da Dojo a Dojo. Ricordiamo che il Dojo è letteralmente il “Luogo in cui si pratica la Via", per questo motivo tutti, dall’insegnante, agli allievi ed ai collaboratori sono tenuti al rispetto per il luogo e per le persone che vi si trovano. In ciò non vi è nulla di più o di meno di quanto conforme alle regole delle buone maniere e di educazione: vi sono solo delle regole particolari derivate dalla tradizione giapponese, che sono considerate importanti per il prosieguo della Via sia tecnica che spirituale. Una delle caratteristiche che distingue le Arti marziali dagli sport da combattimento è soprattutto il fatto che le prime sono caratterizzate da una ritualità ed una serie di regole di comportamento (reigi) che costituiscono parte integrante dell’addestramento. A partire dalla vestizione del keiko-gi, il completo casacca e pantalone con cui si pratica, proseguendo col saluto appena saliti sul tatami sino al saluto finale, ciascun atto del praticante ha un significato che deve essere conosciuto e compreso per essere compiuto in maniera consapevole e partecipata e non scimmiottato con disinteresse o ironia. Per dare un piccolo contributo cominciamo con questo articolo a fornire qualche indicazione, che speriamo utile ed interessante, rispetto al Dojo. Il termine può tradursi come “Luogo dove si pratica la Via", quindi si tratta di un luogo dove si ricerca un processo di arricchimento spirituale, morale, intellettivo e fisico dell’uomo, attraverso la pratica di una disciplina che può essere marziale o, come in altri casi, spirituale. Il Yoji-jukugo, ovvero la frase idiomatiche composta da quattro kanji di cui questa volta ci occupiamo è Kiki-ippatsu che letteralmente significa “pericolo, un capello” ed esprime una situazione particolarmente negativa, impegnativa o stressante, tanto quanto lo può essere il sostare sotto la leggendaria spada di Damocle, pesante arma sostenuta sulla testa del malcapitato solo da un sottilissimo capello. Si è accennato nell’articolo precedente agli atemi, termine giapponese che esprime le percosse ed i colpi inferti principalmente con gli arti inferiori o superiori (dita della mano, palmo della mano aperto o a taglio, pugni, gomiti, piedi, ginocchia, parte frontale della testa) contro specifiche zone del corpo quali terminazioni nervose, organi interni (fegato, milza, stomaco), punti deboli e/o sensibili (tempie, nuca, organi genitali, gola, plesso solare), giunti articolari (gomiti, ginocchia). Evidentemente, da che mondo è mondo, il corpo umano è stato la prima “arma” dell’uomo stesso ma lo studio degli atemi raggiunse una particolare raffinatezza in Asia diverse migliaia di anni fa; in Cina era conosciuto anche come “dim-mak” (tocco mortale), arrivando a comprendere diverse centinaia di “punti d’azione” che, paradossalmente ma non troppo, erano nella quasi totalità gli stessi impiegati a scopo benefico nell’agopuntura, nella moxa e negli altri trattamenti terapeutici della medicina tradizionale cinese. La principale motivazione che porta molte persone, almeno al principio, ad avvicinarsi alle Arti Marziali è l’esigenza di difendersi da eventuali aggressioni fisiche. Come più volte detto, nessun’ Arte marziale o tecnica di difesa è efficace “di per sè”, la differenza la fa sempre e comunque l’uomo o la donna che quell’ Arte o quella tecnica applicano ed è per questo che sterili ed inutili sono le polemiche che a volte riscaldano gli animi dei praticanti su “quale disciplina sia più efficace”. Aldilà delle peculiarità e differenze delle varie Arti marziali, scopo di questo articolo è cercare ed esaminare, sia pure sommariamente, i principi ed i concetti di base comuni a molte, se non a tutte, le discipline applicabili nella difesa personale. Cominciamo con l’esaminare il termine stesso, che deriva dal latino defendere (defendo, is, fendi, fensum, ere), e significa“respingere, deviare, tener lontano un fendente, un colpo, un'offesa, qualcosa che fende l'aria o l'acqua”. Gli obbiettivi basilari che qualunque tecnica di difesa personale si pone sono i seguenti: In occasione dell’esame di passaggio di grado degli allievi a cui insegno, uso spesso dire che “se sono bravi è merito loro, se non lo sono è colpa mia”. Certo la frase è un po’ estrema e non tiene conto di diverse variabili, ma nella sua essenzialità esprime un concetto che trovo corretto. Siamo pochi in Dojo, non abbiamo mai superato la decina di praticanti e spesso anche arrivare a cinque è un traguardo lontano; come quasi tutte le condizioni della vita, anche questa presenta vantaggi e svantaggi, tra i primi il poter seguire e conoscere ogni allievo abbastanza bene, tra i secondi quello di non avere una grande “varietà” nei compagni di pratica. Come è facile immaginare, un insegnante all’altezza di questo compito non ha bisogno di far sostenere un esame ad un suo allievo per conoscerne debolezze e punti di forza, quindi il momento dell’esame può (e forse deve...) diventare occasione di altro che una mera verifica formale della conoscenza delle tecniche in programma. PERCHE' PARTECIPARE DI PERSONA AD UN SEMINARIO DI ARTI MARZIALI E' MEGLIO CHE VEDERLO IN DVD?7/4/2011 Si è conclusa con questo fine settimana il ciclo di incontri dedicato all'approfondomento dei sei katame-waza di base. Come già detto in passato, mi riesce sempre più difficile trovare le parole adatte a descrivere il clima di sincero lavoro e di sereno scambio che caratterizza i seminari e gli stage a cui ho la fortuna di partecipare. L'unico dispiacere che ho, è che nessuno dei miei allievi abbia la possibilità di condividere queste esperienze e debba accontentarsi dei miei racconti e della riproposizione - parziale e saltuaria - di alcuni degli esercizi praticati e delle tecniche studiate.
Oggi proponiamo un altro Yoji-jukugo, frase idiomatica composta da quattro kanji. Stavolta la scelta è caduta su: Ichijitsu-senshuu, che letteralmente significa “Un giorno, mille autunni” ed esprime la situazione in cui si desidera qualcosa così ardentemente da far sembrare un giorno di attesa lungo e malinconico quanto mille autunni. |
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