che guida la mente fuori strada;
della mente
non essere dimentico.[1]
Yangshan disse: "Se desideri raggiungere la mente, allora non c'è mente che possa essere raggiunta. È questa mente irraggiungibile ad essere conosciuta come la verità".
("Eredità cinese dello zen")
Le tecniche marziali, con le infinite ripetizioni che caratterizzano l’addestramento, diventano un unicuum con il praticante che le fa sue tanto da non doverle più richiamare alla mente con un procedimento cosciente in caso di necessità. E’ il “cuore”, al di là di ogni formulazione logica, che istantaneamente applica la tecnica giusta al momento giusto. Compiere delle scelte in altro modo significa esporsi al rischio della sconfitta, perché si verifica una dispersione di “tempo” e “intenzione” che può essere fatale.
L’azione deve essere compiuta senza pensiero logico, senza una attenzione cosciente, deve scaturire spontanea ed adeguata alla situazione contingente in modo che il praticante risulti efficace ed efficiente come lo spaventapasseri di una poesia del monaco Bukkoku Kokushi che, senza l’ausilio di una mente cosciente, esegue al meglio il suo compito allontanando corvi e altri uccelli:
Sebbene non ponga intenzione
nel suo compito,
nei piccoli campi di montagna,
lo spaventapasseri
non è posto invano.
in ciò confermando che, come ricorda Lao Tzu:
"Non facendo, non c'è nulla che non sia fatto"
Tutto ciò lo ritroviamo anche nel Hannya Shingyo (Sutra del Cuore) buddista, che recita:
Dal vuoto deriva la forma osservabile, dalla forma osservabile deriva il vuoto.
All’inizio del suo addestramento il Guerriero è “vuoto”: un vuoto che non contiene nulla: non ha risposte alle sue domande, non ha difese contro gli attacchi più elementari. Inizia il suo percorso fatto di innumerevoli ripetizioni di esercizi codificati, che a poco a poco lo portano a rispondere in maniera standardizzata alle varie situazioni che gli si presentano. Al pari di un computer, ad un determinato “input” genera un ben definito “output”; questo punto è a metà dell’opera, dal “vuoto” è passato alla “forma”.
Non bisogna dimenticare lo spirito del principiante.
(Deshimaru Taisen)
Praticare un Arte marziale è molto difficile, specialmente dopo alcuni anni di attività. Questa non perché sia difficile imparare tecniche nuove, ma perché è estremamente arduo mantenere quello che si definisce lo "spirito del principiante". Uchiyama Roshi, un famoso maestro zen del nostro tempo diceva:
Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, in quella dell'esperto poche.
Questo perché il principiante ha la predisposizione mentale ad imparare, sapendo di non sapere (Socrate docet); l'esperto invece è convinto ormai di conoscere tutto, si ritiene arrivato e quindi mal disposto a dover ancora imparare qualcosa. Un atteggiamento del genere, oltre ad essere sbagliato, è soprattutto improduttivo, in quanto impedisce di progredire nello studio della Via che è senza fine. Nell'Hagakure, famoso libro di Yamamoto Tsunetomo, monaco buddhista ed ex-samurai vissuto fra il XVII ed il XVIII secolo, è scritto:
Un anziano maestro di arti marziali insegnava che nell'arte della scherma ci sono diversi gradi. Nel primo grado, essendo ancora agli inizi, uno pensava che sia lui, che gli altri, non siano ancora bravi. A questo livello non si è ancora abili. Arrivato a metà strada uno non è ancora del tutto abile, ma può capire i suoi difetti e quelli degli altri. Salito a un grado più alto, si sente orgoglioso di aver raggiunto lo scopo, si rallegra di essere complimentato e si lamenta per i difetti degli altri. Costui è diventato una persona veramente abile. Ma asceso ancora più in alto, capisce di non essere bravo per niente, nonostante che gli altri lo considerino veramente capace. In genere, buona parte degli uomini appartengono a questi quattro gradi. Ma c'è ancora un grado, indescrivibile, che sta al di sopra di tutti. Entrando sempre più profondamente nella Via si comincia a comprendere di trovarsi in un mondo infinito e che non si può mai dire di essere arrivati. Allora si capiscono bene i propri limiti e non si pensa più ad essere perfetti: senza orgoglio e senza scoraggiamento si avanza nella Via.
Questa libertà che non è anarchia ma rappresenta le infinite possibilità di azione offerte a chi sia in grado di svilupparle è ben espressa nell’Arte marziale ideata da O’Sensei UeshibaMorihei: Takemusu Aiki si può tradurre come “l’infinita creazione marziale dell’Aiki” ed è infatti la “Valorosa e Feconda Forza dell’Armonia” irresistibilmente creativa, totalmente libera e capace di illimitate trasformazioni.[3]
L’uomo liberato è uguale di fronte all’amico, al nemico e a sé stesso; al piacere come al dolore; al cielo come all’inferno; al bene come al male; al disprezzo come alla lode; al giorno come alla notte; ad una prostituta come alla madre, alla moglie o alla figlia; alla realtà come al sogno; a ciò che ha salda esistenza come a ciò che è effimero. [4]
Mente imperturbabile non significa essere ciechi o insensibili, tutt’altro: è richiesta una grande capacità di discriminazione da impiegare in ogni momento del quotidiano per essere sempre “qui ed ora”, per immergersi nel fiume della vita ed essere nella corrente senza farsi trascinare dalla corrente. Solo così si poteva accettare serenamente tanto la sconfitta quanto la vittoria, godere dello spettacolo della natura, dare prova di coraggio e di pietà, di fermezza e sensibilità, essere – in poche parole – “ forte come una montagna e lieve come una brezza”.
Per goderti veramente il tè, devi essere completamente calato nel presente. Solo nella consapevolezza del presente le tue mani possono sentire il piacevole calore della tazza, solo nel presente puoi assaporarne l'aroma, sentire la dolcezza, apprezzare la delicatezza. Se stai rimuginando cose passate o preoccupandoti del futuro, perderai completamente l'esperienza di goderti la tazza di tè. Anzi, guarderai nella tazza, ed il tè non ci sarà neppure più. Con la vita è la stessa cosa. Se non sarai calato nel presente, ti guarderai intorno smarrito, e lei se ne sarà già andata. Perderai così il sentimento, l'aroma, la delicatezza e la bellezza della vita, sarà come se la vita ti passasse veloce davanti.
(Tich Nhat Hanh)
Questo concetto è reso in Giappone con l’espressione “ mono no aware” che può essere tradotta come “la commozione delle cose” ed esprime quel particolare stato d’animo percui un soldato poteva fermarsi ad ammirare un fiore di ciliegio o a comporre una poesia finanche nel furore di una battaglia.
Dicono le Upanishad: [5]
“Più alti dei sensi sono gli oggetti dei sensi;
più alta degli oggetti dei sensi è la mente;
più alto della mente è l’intelletto;
più alto dell’intelletto è il Grande Sé;
più alto del Grande Sé è il Non Manifesto;
più alto del non manifesto è la Persona;
più alto della Persona non c’è nulla.
Questa è la Meta, questa è la Via Suprema.
Nascosto in tutte le cose questo Sé non riluce,
ma lo vedono i veggenti sottili, il cui intelletto è acuto.
Il saggio controlla le proprie parole e la propria mente.
Queste egli riassorbe nel sé della saggezza; il sé della saggezza egli riassorbe nel Grande Sé;
il Grande Sé egli riassorbe nel Sé della Pace.
Sorgi! Risvegliati!
Ricevi i tuoi doni e comprendili!
Nella visione hindu la mente ha quattro funzioni: Manas, la mente propriamente detta; Buddhi, l’intelletto; Citta, la coscienza, ricettacolo di tutti i ricordi ed impressioni; Ahamkâra, l’ego. Insieme queste formano l’Antahkarana, “l’organo interno”, ossia il complesso psichico dell’individuo. Il corpo agisce, la mente pensa, l’Atma è, ma tutti e tre sono permeati dalla stessa Essenza Divina.
La mente è costituita dal puro e semplice processo del pensare; l’intelletto è la facoltà di intendere e volere, di valutare le cose, di distinguere il bene dal male ed è la qualità peculiare della mente; la coscienza invece porta l’individuo a riflettere e a meditare mentre l’ Atma o Principio Divino (l’Anima o Spirito) illumina queste tre funzioni mentali e dà origine all’Io che determina la nascita sulla terra. In definitiva, tutte queste componenti della natura umana, non sono altro che espressioni di Brahman, forme di Dio.
Nel complesso delle sue quattro funzioni ( Manas, Buddhi, Citta e Ahamkâra) la mente non è autonoma, ma è governata da un padrone, Prajñâ, a cui sono attribuite varie interpretazioni: intelligenza, chiarezza di vedute, facoltà di giudizio, intuito, ecc., ma non sono interpretazioni esatte, in quanto hanno solo un valore temporaneo. Invece, la Prajñâ di cui parla il Vedanta è una consapevolezza costante, incondizionata, comune a tutti gli aspetti della natura umana, cioè al corpo fisico, alla mente, all’intelletto, ecc. ed è dotata di un potere straordinario.
“L’uomo è dotato di due organi importanti: la testa ed il cuore.
La testa è sempre impegnata nella ricerca di oggetti esterni: non fa che desiderare cose effimere, mondane ed appartenenti al mondo materiale; il mondo esterno è la sua caratteristica principale; ogni pensiero ha origine dal contatto con le cose esteriori. Dal cuore invece sorgono le nobili qualità, come la Verità, l’Amore, la Gentilezza, la Pazienza e la Compassione. L’uomo che si prende cura di un cuore così puro e santo, a sua volta si santifica.
Per questo motivo tanti testi e tanti Maestri prescrivono di coltivare la visione interiore; ecco perché la filosofia e la spiritualità hanno insegnato ad introvertire la mente, che deve essere controllata e usata come un utile strumento e non lasciata libera di comportarsi come una bisbetica padrona.
Tutte le differenze che trovate nel mondo sono solo riflessi della vostra mente: se amate qualcuno, se lo odiate o lo ridicolizzate, sono solo vostri riflessi. Se abbandonate queste reazioni, riflessi, risuoni dalla vostra mente, ciò che vi apparirà sarà la realtà, dove tutte le differenze di pensiero, azione e sentimenti, spariscono.
Si ritorna alla analogia del vetro da finestra che, se pulito, permette di osservare la realtà così come è, senza inquinamenti, orpelli, pregiudizi e false idee, considerando che:
Le convinzioni sono nemiche della verità più pericolose delle menzogne. [6]
e tenendo però sempre presente che questa è una condizione a cui, in questo piano esistenziale, si tenderà sempre per difetto poiché impossibile da raggiungere.
Non c’è null’altro che il Sé nell’universo: tutte le cose che vedete esistono nel mondo dei fenomeni, ma non sono che riflessi del Sé.
L’immagine del sole è presente nel recipiente pieno d’acqua, ma il sole c’è sempre, anche se manca il recipiente; allo stesso modo, il corpo che è il recipiente, la mente che è l’acqua, anche quando non ci sono, il Sé è comunque presente. Ciò che va sottolineato in tale contesto è che l’immagine dello Spirito che avete attraverso il corpo e la mente, non è verità: è come il riflesso del vostro viso nell’acqua, dove il vostro occhio destro appare come sinistro e viceversa; oppure, così come, viaggiando in treno, la vostra vista vi inganna, dandovi l’impressione che alberi e montagne si stiano muovendo.
Ciò vuol dire che tutte le differenze che vedete nel mondo dei fenomeni sono dovute solamente alla distorsione della vostra mente.
Dovete andare al di là della mente per realizzare l’Eterna Verità.
La gente crede che l’uomo abbia la libera volontà: essi immaginano che il successo si possa ottenere solo con la disciplina spirituale, la propria volontà e la propria discriminazione; queste però, sono solo aberrazioni dell’ego e del riflesso del falso sentimento di essere colui che agisce.
Per ottenere il successo nella vita spirituale è necessaria la grazia, il supporto e l’aiuto divino.
Come è stato detto in tanti altri momenti, questa condizione di impossibilità – lungi dallo scoraggiarci – deve essere comunque una occasione di stimolo al lavoro. Tirando con l’arco non faremo un centro perfetto, ma continueremo ad allenarci per arrivarci il più vicino possibile e magari, un giorno, chissà...
L'unica differenza fra un illuminato e un uomo comune è che il primo sa di essere un illuminato e il secondo non lo sa.
(Hui-neng)
Un giorno al maestro Seng-ts'an si presentò un giovane che dichiarò: "Vengo da te perché cerco la liberazione".
"Chi ti ha incatenato?" gli domandò il maestro.
"Nessuno."
"Allora, sei già libero."
Ricordando quanto evidenziato parlando del percorso marziale, a questa consapevolezza di status originario, si può arrivare solo tramite un lungo e costante lavoro supportato, è il caso di ricordarlo ancora una volta, da una intenzione chiara e da una mente lucida.
E’ difficile raggiungere l’unità interiore anche praticando una disciplina per tutta la vita. Finché la tua mente non è pura, non può dire di aver conseguito la Via. Perciò persevera nella pratica con grande coraggio.
(Hagakure)
Intenzione chiara e mente lucida sono causa ed effetto di una azione consapevole e volitiva, agli antipodi da una cieca e passiva ripetizione di rituali vuoti e fini a sé stessi.
Un giorno Chao-chou trovò un discepolo inchinato davanti ad una statua del Buddha e lo colpì con un bastone. Il monaco protestò: "Non è un atto meritorio adorare il Buddha?"
"Si," rispose il maestro "ma è ancora più meritorio lasciar perdere gli atti meritori."
Riprendendo allora un paragone già fatto, Corpo, Mente e Anima sono i tre piedi su cui si deve basare la pratica; se uno di questi predomina sugli altri il risultato sarà un equilibrio instabile e provvisorio, se viceversa ciascuno “collabora” integrandosi con gli altri due, il risultato sarà ottimale.
Anche se il corpo è tranquillo non rilasciare l'attenzione, e quando il corpo si muove veloce non permettere alla mente di rallentarne il ritmo; non lasciare che il corpo venga influenzato dalla mente, o viceversa. Controlla la mente e lascia libero il corpo. Fornisci ogni dato alla mente e non distrarti con particolari superflui.[7]
Questa interrelazione tra corpo e mente è spesso presente in molte opere di Maestri marziali: la troviamo in Musashi, in Munedori e Takuan Soho, giusto per citare i più famosi:
Se non si pensa che si è in procinto di colpire, se non si permette che nascano pregiudizi o riflessioni, se, nell'istante preciso in cui si vede la spada che oscilla, questa visione non invaderà totalmente la mente, si potrà intervenire nell'azione dell'avversario strappandogli la spada. [8]
Nel caso dei citati Maestri marziali, il binomio in esame è – come si è visto – quello di Corpo e Mente mentre nel nostro caso si aggiunge, stante la particolarità dell’avversario da affrontare, anche l’Anima. Ecco allora che se illuminiamo con questa luce l’ultimo passaggio del brano sopra citato, “ intervenire nell'azione dell'avversario strappandogli la spada” può essere letto come un prendere consapevolezza dei nostri Ego/limiti/paure e circoscrivere o annullare la loro azione privandoli dei modi e dei mezzi e delle occasioni in cui questa si manifesta.
Questo impiegare i principi marziali per un lavoro più intimo è particolarmente proficuo quando si ha a che fare con Maestri orientali, non fosse altro che per la mancanza di dicotomia tra Corpo e Spirito/Anima rispetto alla visione dell’uomo che si è affermata in Occidente dopo il fenomeno dell’Illuminismo. Giusto ad esempio seguono alcuni passi del già citato Takuan Soho, che credo possano essere tenuti in considerazione anche se ci si dedica ad una pratica meditativa o di auto-osservazione: [9]
La mente è immutabile quando vede senza guardare. Per guardare si dovrebbe fermare. Quando la mente si ferma su qualcosa, poiché il cuore si riempie di ogni genere di preconcetti, trattiene diversi movimenti in sé. Quando i movimenti nella mente cessano, la mente che si era fermata si muove, senza però muoversi affatto.
Quando si sono raggiunti il luogo costante e la saggezza immutabile, braccia, gambe e corpo ricordano cosa fare, senza che la mente ne sia coinvolta.
Se si pensa di porre la mente sotto l'ombelico per non farla vagare, la mente sarà soggiogata dal fatto di pensare a questo stratagemma. In tal modo non si avrà alcuna abilità nel movimento e si sarà eccezionalmente vincolati.
Non ha importanza quale sia il luogo in cui la poni, se metterai la mente in un luogo, il resto del tuo corpo perderà la sua abilità.
Tenere la mente in scacco dentro di sé, impedendole di vagare, è come legare un gatto. Se la costringerai dentro il tuo corpo, non andrà in nessuna sua parte.
Disciplina significa sforzarsi per non fermare la mente in un solo posto. Non fermare la mente è scopo ed essenza. La mente sarà ovunque purché non venga fermata in qualche luogo. Anche quando si sposta la mente fuori dal corpo, se la si rivolge in un unica direzione, sarà assente in altre nove. Se la mente non sarà vincolata in una sola direzione, sarà in tutte e dieci.
La Mente Corretta è quella che non si ferma in un luogo. E' la mente che si estende per tutto il corpo e il sé. La Mente Confusa è quella che, ripensando a qualcosa, si congela in un luogo.
La mente che pensa al fatto di dover rimuovere ciò che ha dentro, sarà assorbita da questa stessa azione. Se non si pensa, la mente si libererà da sola e, sempre da sola, diventerà Non-Mente.
Una antica poesia recita:
Pensare: “Non penserò”.
Questo è già qualcosa nei propri pensieri.
Semplicemente, non si pensi
che non si deve pensare.
Quando si è di fronte ad un albero, se si guarda una sola delle tante foglie rosse, non si vedranno tutte le altre. Quando l'occhio non si concentra sulla singola foglia, e si sta davanti all'albero con la mente vuota, si vedrà un numero infinito di foglie. Ma se l'occhio si fermerà su una sola foglia, sarà come se le altre non fossero lì.
Quest’ultimo concetto si riverbera nel “ Enzan no metzuke”, uno degli ammonimenti che più frequentemente vengono impartiti nei Dojo marziali e che in giapponese significa “guardare una montagna lontana”. Si invita così il praticante ad avere una visione di insieme dell’avversario e piuttosto che guardare solamente i suoi occhi, le sue braccia o i suoi piedi bisogna essere capaci di osservarne ogni suo singolo aspetto, dalla contrazione involontaria del viso al ritmo della sua respirazione, arrivare a comprenderne le intenzioni prima ancora che queste vengano manifestate.[10]
L’unità tra Corpo, Mente e Spirito consente di affrontare in maniera singolare anche il fattore “tempo”, come espresso nel termine “ Hishiryo”, ovvero “pensare al di là del pensiero”.
L'intuizione e l'azione devono sgorgare nel medesimo istante: non ci può essere pensiero nella pratica del budo. Questa è la coscienza hishiryo."
(Deshimaru Taisen)
A differenza degli sport, nei quali il fattore tempo riveste un'importanza particolare, nel Budo e nelle Arti marziali il tempo non esiste, o meglio, ha delle connotazioni del tutto particolari. Facendo un discorso pseudo-scientifico, si potrebbe dire che il tempo che impieghiamo a compiere un'azione è dato dall'intervallo più o meno lungo che intercorre dal momento che il cervello decide di fare qualcosa (per esempio: prendere un bicchiere) a quando questa decisione viene trasmessa al corpo (il braccio che si allunga verso il bicchiere). Naturalmente, il movimento può essere più o meno veloce, per cui parleremo di tempo più o meno lungo. Nel Budo le cose non stanno in questo modo. Eseguendo una tecnica, infatti, non deve esserci alcun intervallo di tempo dal momento in cui si decide di eseguirla ed il momento in cui la si fa.
Prendiamo ad esempio le tecniche di spazzata ( ashi barai): se la tecnica viene eseguita prima che uke poggi il piede, la spazzata risulterà inefficace, in quanto il peso del corpo di uke è ancora su quell'altro piede; ugualmente, la spazzata risulterà inefficace anche se si esegue dopo che uke abbia poggiato il piede, perché il peso del suo corpo sarà tutto sul piede da spazzare. Esiste un solo momento in cui la spazzata potrà essere efficace, e cioè quando uke sta per poggiare il piede; ora, se tori cerca di vedere qual è il momento giusto non farà mai in tempo a spazzare, in quanto dal momento in cui "vede" al momento in cui spazza sarà passato del tempo, ancorché minimo, ce ha fatto perdere a tori l'attimo giusto. Il momento preciso va intuito, va sentito con il corpo: questa è la coscienza hishiryo. Naturalmente, questo vale non solo per le tecniche di spazzata ma anche per tutte le altre: esse devono partire direttamente dal corpo, senza la mediazione del pensiero razionale.
Anche questo concetto, a mio avviso, può essere utilmente trasfuso dalla pratica marziale a quella più indirizzata al lavoro intimo; “pensare senza pensare” consente di tentare di uscire dal paradosso dell’osservatore che è contemporaneamente osservato, con la conseguente influenza sui risultati dell’osservazione che sono ben noti a chi si occupa di fisica quantistica.
Un lavoro simile non può che essere condotto unendo – come detto – la capacità speculativa della mente e la sensibilità empatica del cuore, ciascuno al meglio delle sue capacità, in modo che le passioni del cuore vengano temperate dalla analisi della mente e la razionalità di questa venga “vivificata” dai sentimenti del cuore.
Indipendentemente dal credo professato, la cosa più importante è possedere una mente fredda e un cuore caldo.
(Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)
Alla mente, alle sue possibilità ed ai suoi rischi, sono stati dedicati fiumi di parole; valgano per tanti i diversi passaggi del già citato Dhammapada, uno dei più conosciuti canoni buddisti.[11]
[1] La mente precede tutte le cose, la mente le governa, sono fatte di mente. la sofferenza, perciò, segue chi parla o agisce con mente impura, come la ruota segue l'incedere del bue che traina il carro.
[2] La mente precede tutte le cose, la mente le governa, sono fatte di mente. la felicità, perciò, segue chi parla o agisce con mente pura come un'ombra che non si diparte mai.
[13] Come la pioggia penetra attraverso un tetto sconnesso, così la passione penetra nella mente non esercitata.
[35] È meraviglioso addestrare la mente, così rapida nel movimento, che afferra quel che le garba. È bene avere una mente ben addestrata, perché una mente ben addestrata arreca felicità.
[43] Nessuna madre e nessun padre né alcun altro congiunto possono far più bene di una mente ben diretta.
Come si fa a (tentare di) tenere sotto controllo la mente? Beh, si comincia con l’esercizio della attenzione, qualità tanto importante quanto spesso misconosciuta.
Un giorno un uomo andò da Ikkyu e gli chiese: «Maestro, scriveresti per me qualche massima della più alta saggezza?. Ikkyu prese il pennello e scrisse: «Attenzione». «Tutto qui?» chiese l'uomo. Ikkyu allora scrisse: «Attenzione. Attenzione». «Bene» disse l'uomo. «Ma non vedo una gran profondità in quel che avete scritto». Allora Ikkyu scrisse la stessa parola tre volte: «Attenzione. Attenzione. Attenzione». Un po’ irritato, l'uomo chiese: «Cosa significa quella parola "Attenzione"?». Ikkyu gentilmente rispose: «Attenzione significa attenzione». [12]
Così ho udito: "Riguardo ai fattori interni, non vedo nessun altro singolo fattore come la giusta attenzione che sia così importante nell'addestramento di un praticante che non abbia ancora raggiunto la meta del cuore, ma sia intento al suo conseguimento. Il praticante lascia perdere ciò che non è utile e sviluppa ciò che è utile. La giusta attenzione è la qualità del praticante in addestramento: nient'altro è così importante per il raggiungimento dell'obiettivo supremo. Il praticante, con il giusto sforzo, raggiunge la fine dello sforzo.
(Itivuttaka, I, 16)
La maggior parte della “sofferenza esistenziale” che proviamo ha origine nella mente, ma è difficile ammettere che siamo noi stessi i creatori di tutto questo malessere. La mia esperienza mi porta a credere che questa considerazione venga spesso istintivamente rifiutata non tanto per scaricarsi la coscienza del passato quanto per non assumersi la responsabilità del da farsi nel presente/futuro per ovviare alla situazione. Così capita che ascoltare (o di pronunciare...) giustificazioni e doglianze che di volta in volta eleggono a capro espiatorio il Karma, il Fato, Dio, gli Altri e chi più ne ha più ne metta.
La mente è il precursore di tutti i modi d'essere. La mente è il loro capo; sono fatti di mente. Se una persona parla o agisce con malizia, a causa di questo la sofferenza lo segue, proprio come la ruota segue lo zoccolo del bue da traino.[13]
In un perverso gioco di specchi proiettiamo all’esterno cause e responsabilità che ci sono proprie e la nostra mente, causa prima dello “ status quo”, non vuole ammettere che questa situazione è creata dalla nostra intenzione, conscia o inconscia che sia, arrivando infine a determinare un percorso di vita a cui è sempre più difficile sottrarsi.
Semina un pensiero e nascerà un'azione.
Semina un'azione e nascerà un'abitudine.
Semina un'abitudine e nascerà un carattere.
Semina un carattere e nascerà un destino.
Poiché la mente precede i modi d'essere, originati dalla mente, creati dalla mente.
Nella mente ha origine la sofferenza; nella mente ha origine la cessazione della sofferenza.
(Anguttara Nikaya)
Come un pesce catturato da una nassa, siamo noi stessi la causa della nostra insoddisfazione ma tutto quello che riusciamo (o vogliamo...) fare è invocare un dio qualsiasi, perché ce ne liberi, perché ci pensi lui. Il fatto è che siamo in una prigione di cui noi soli abbiamo la chiave, noi abbiamo scavato la fossa in cui siamo caduti, noi abbiamo caricato il fucile di chi ci spara, noi abbiamo consegnato il timone in mani altrui e finché non ci assumiamo la completa responsabilità di questo atto, continueremo ad essere spaventati dalle ombre a cui noi stessi diamo vita muovendoci davanti ad una lampada, continueremo ad piangerci addosso credendo di essere più piccoli di quel che noi stessi abbiamo creato.
A Ch'eng-t'ien fu chiesto: "In che modo devo applicare la mente ventiquattr'ore al giorno?".
Rispose: "Quando i polli hanno freddo, si appollaiano sugli alberi; quando le anatre hanno freddo, s'immergono nell'acqua".
L'interrogante disse: "Allora non ho bisogno di coltivare la realizzazione e non perseguirò la padronanza dello Zen o della buddità".
Ch'eng-t'ien rispose: "Mi hai risparmiato metà dello sforzo".
(Da "The pocket Zen reader")
Se, invece, prendiamo atto che è la nostra mente a condizionarci con le sue creazioni, allora ci renderemo conto, nello stesso tempo, di avere un potere che nemmeno sospettavamo. Un potere che risiede nell'intenzione e nell'attenzione. Anche per questo il Buddha disse che il suo Dharma va controcorrente e restituisce all'uomo la piena signoria sul proprio destino non alimentando il fatalismo ne', tantomeno, la rassegnazione.
L'ego è la mente che pensa. La mente che pensa, l'ego, l'io, me, sono tutti la stessa cosa. Sono nomi diversi per la medesima cosa, che è un'illusione.
(Ramesh Balsekar) Naturalmente questo non significa che, come si usa dire quando si riceve un regalo tanto gradito quanto di modesto valore economico, “è il pensiero che conta”; le mente può tanto; ma guai a pensare che basti alzarsi la mattina convinti di sapere come funziona il giochetto per poterlo comandare invece di esserne comandati: il rischio è quello di farsi male sul serio, come ci racconta questa storia indù:
Un giorno un discepolo che andò dal suo maestro per chiedergli che cosa fosse il Brahman. Il maestro rispose: «È ogni cosa». «Anche l'elefante del Maharaja?» insistette il discepolo. «Si - rispose il maestro - tu sei il Brahman e lo è anche l'elefante del Maharaja». Al che il discepolo se ne andò molto soddisfatto. Per strada si imbatté nell'elefante del Maharaja, ma non si scostò al suo passaggio perché, pensò, se lui e l'elefante erano entrambi il Brahman, l'elefante l'avrebbe riconosciuto. Non si mosse neppure quando il conducente dell'elefante gli gridò di spostarsi, e così l'elefante lo afferrò con la proboscide e lo scaraventò sul ciglio della strada. Il giorno dopo, il discepolo, tutto ammaccato, tornò dal maestro e gli disse: «Mi avevate detto che io e l'elefante eravamo entrambi il Brahman e invece guardate come mi ha conciato». Il maestro, imperturbabile, domandò al discepolo che cosa gli avesse detto il conducente dell'elefante. «Di togliermi di mezzo» rispose il discepolo. «Avresti dovuto obbedirgli,» disse il maestro, «perché anche il conducente dell'elefante è il Brahman».
Occorre insomma saper discernere non tanto il vero dal falso, ma piuttosto il vero da quello che vorremmo fosse tale, cercando per quanto possibile di essere sempre presenti a sé stessi sottraendosi agli inganni della mente, risvegliando la nostra Coscienza e sforzandosi di porre come centro di gravità coscientivo il proprio sé qui e ora.
La mente è come una cipolla ed ogni giorno e mese di pratica pelano via a uno a uno gli strati di illusione.
(Geshe Ngawang Dhargyey, "Consigli di un amico spirituale")
Laddove la nostra illusione e fantasticheria mentale ci proietta, là è la nostra coscienza; quindi se viviamo proiettando il nostro pensiero al passato o fantasticando sul futuro, immaginandoci alle Maldive o costruendoci mentalmente ipotetiche situazioni di vita quotidiana, lì è la nostra coscienza, imbrigliata in un turbinio di vani pensieri.
Il maestro Tanzan era in viaggio con il suo allievo Ekido lungo una strada fangosa.
Ad un certo punto incontrarono una bella ragazza in kimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare quella melma, senza rovinare il suo bel vestito. Senza problemi, Tanzan la prese in braccio e la trasportò sull'altro lato della strada.
Ekido rimase pensieroso per tutto il giorno. Alla sera, non resistendo più, chiese apertamente al maestro: "Noi monaci non avviciniamo le donne, è pericoloso. Perché l'hai fatto?"
Tanzan rispose: "Io quella ragazza l'ho lasciata laggiù. Tu la stai ancora portando con te"
Quando si è più presenti a sé stessi, si è ciò che si è, e la nostra Coscienza è dove noi siamo. Per essere più presenti occorre domandarsi "Chi sono? Che faccio? Dove sono?" cercando di rendersi conto veramente di tutto questo e senza dare per scontata la risposta apparentemente banale. Ma questo argomento merita ben più che un cenno, e ci introduce quindi al capitolo successivo, dedicato agli “strumenti”, non senza concludere ricordando quanto importante sia la “manutenzione” degli strumenti stessi...
"Noi possiamo percepire chiaramente le cose, e ragionare correttamente in base a tali percezioni, solo se i nostri apparecchi funzionano bene. E quali sono questi apparecchi? L'intelletto, il cuore e la volontà. Purtroppo, si è costretti a riconoscere che nella maggioranza degli esseri umani, quegli apparecchi sono sfasati: troppi colpi, troppo nervosismo, troppe emozioni, troppe influenze negative... Ecco allora che l'intelletto si oscura, il cuore si raffredda e la volontà s'indebolisce. Come fidarsi di simili apparecchi? È chiaro, dunque: bisogna occuparsi della loro revisione. Che cosa accadrebbe con le automobili, i treni o gli aerei, se non si facesse mai una verifica dei freni, del motore o del pannello di bordo? Gli esseri umani, invece, pensano che dentro di loro non ci sia mai nulla da verificare: essi sono al di sopra di tutto questo! Ecco perché ci sono così tanti incidenti; tutte le loro difficoltà e tutte le loro disgrazie derivano dal fatto che il loro intelletto, il loro cuore o la loro volontà sono sfasati. Occorre quindi che, di tanto in tanto, si facciano delle domande sullo stato di quegli apparecchi, che sono stati dati loro per pensare, per amare e per lavorare."
(Omraam Mikhaël Aïvanhov)
[1] Tratto da "La testimonianza segreta della saggezza immutabile" - cap. 13: “La pioggia arde il cielo, il fuoco purifica le nuvole” in "Lo Zen e l'Arte della Spada" di Takuan Soho - Oscar Mondadori, traduzione di Paola Gonella
[2] Si veda in proposito “L’etica del Bushido” di Mario Polia, edizioni Il Cerchio.
[3] Come è facile immaginare, è questo un concetto che meriterebbe ben più dettagliate spiegazioni. Per un interessante approfondimento si può consultare “L’essenza dell’Aikido – Gli insegnamenti spirituali del Maestro” a cura di John Stevens – Edizioni Mediterranee
[4] Tratto dal Pancakrama indiano (VI, 30), citato in “L’etica del Bushido” di Mario Polia, edizioni Il Cerchio.
[5] Insieme ai Veda, le Upanishad sono i più importanti Testi Sacri della millenaria religione hindù
[6] Da “Volume primo, l'uomo solo con se stesso, 483, Nemiche della verità” in "Umano troppo umano", Op. cit.
[7] Da “Il libro dell'acqua” da "Il libro dei cinque anelli" di M. Musashi
[8] Tratto da "La testimonianza segreta della saggezza immutabile" - cap. 1: "L'infermità nel permanere nell'ignoranza" in "Lo Zen e l'Arte della Spada" di Takuan Soho
[9] Op. cit.
[10] Si veda in proposito il concetto di "Enzan no metzuke" in "Kendo - I Kata" di Paul Buden - Edizioni Mediterranee.
[11] Per queste ed altre citazioni tratte da testi buddisti e vedici il mio ringraziamento va al sito internet www.risveglio.net e – sopratutto a Flavio Pelliconi, suo curatore.
[12] Ikkyu Sojun, detto “Nuvola Pazza” (1394-1481) è una delle figure più eccentriche nella storia dello Zen Rinzai ed è divenuto una specie di eroe popolare nel Giappone moderno, una sorta di omologo del Nasreddin islamico
[13] Dhammapada, 1