Questo mese ci occupiamo di uno dei “classici” delle biblioteche marziali, che a qualche decennio dalla sua pubblicazione costituisce ancora una lettura interessante e consigliabile. Il volume, edito dalle mai troppo lodate Edizioni Mediterranee, ha come titolo: “BUDO La Via Spirituale delle Arti Marziali” che è quanto mai esplicativo sul suo contenuto ed il libro è degno di attenzione – specie per i praticanti più giovani – perché è la testimonianza di atteggiamenti e punti di vista “occidentali” agli albori della diffusione delle Arti orientali in Europa, tanto che più di qualcuno potrà stupirsi nel ritrovare tra le pagine polemiche e considerazioni attuali allora come oggi. L’autore, Werner Lind, nato nel 1950 ha praticato Judo e Karate, ha insegnato per molti anni in Giappone e dal 1979 vive e insegna in Germania. La presentazione del libro si apre con queste parole: “Karate, T’ai Chi, Judo e Aikido significano saper dominare il proprio corpo e la propria forza nel combattimento e difesa personale. Ma queste arti marziali non significano solo forma, tecnica e neppure solamente contenuto e spirito: esse rappresentano la possibilità di ritrovare se stessi, di imparare a riconoscere le cose, di perfezionare l’anima e lo spirito. Nella teoria e nella pratica tale fondamento spirituale viene troppo spesso dimenticato: ci si concentra sul risultato sportivo agonistico che priva le arti marziali del loro vero senso. Werner Lind, fondatore e direttore di una scuola di karate orientata verso la tradizione, spiega, in questo libro cosa sono e cosa possono veramente essere le arti marziali se l’allievo scopre la Via, il Do. In modo comprensibile anche per chi poco conosce la materia, l’autore approfondisce i diversi gradi della Filosofia della Via -il Budo- emblema di tutte le arti marziali che, pur differenziandosi tra loro, hanno il medesimo scopo: istruire l’individuo in modo da superare la forma e la tecnica, stimolando l’energia vitale interiore ad un maggiore sviluppo per crescere moralmente e spiritualmente. Quindi, la Via per raggiungere il livello massimo non nel perfetto agonista, ma nell’uomo che ha raggiunto la pienezza nel pensiero, nel comportamento e nei sentimenti.
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Tra le cose che il caleidoscopico calderone denominato “new age” ha riportato in auge e diffuso al vasto pubblico, seppur ammantato dalla solita aura orientaleggante, vi è l’utilizzo dell’incenso. Non più relegato a funzioni religiose cattoliche ed a ricordi di sacrestia, attualmente l’incenso gode di una certa notorietà e spesso è utilizzato come fragranza per profumare gli ambienti. L’utilizzo dell’incenso risale a tempi assai remoti e non solo relegati all’area geografica est-asiatica. Nella Bibbia, nel Libro dei morti egiziano e tibetano e in moltissimi altri testi antichi si menziona l’atto di bruciare l’incenso. Esso veniva utilizzato nelle più disparate occasioni: nel corso di cerimonie religiose o magiche, durante l’imbalsamazione dei defunti, nello svolgimento di riti sacrificali. Gli antichi ebrei presero l’uso dell’incenso dalla Babilonia e dall’Egitto, ed erano soliti bruciarlo alla mattina e alla sera sullo altare del tempio e durante le cerimonie sacrificali, oltre che per il primo raccolto di frutta. Il Kenzan, chiamato anche “rana pungente” per via della sua forma, è un accessorio che vede la sua origine nella pratica dello stile “Moribana dell’arte giapponese dell’Ikebana, che studia la disposizione di fiori, piante ed altre componenti vegetali. Lo stesso nome – che letteralmente significa “montagna di spade” – è abbastanza esplicativo della sua composizione; si tratta infatti di una serie di spuntoni, solitamente metallici, disposti verticalmente molto vicini tra loro su un supporto pesante. Immaginate una specie di spazzola rovesciata o il proverbiale “letto di chiodi” dei fachiri indiani e avrete una idea approssimativa del kenzan. Tradizionalmente i kenzan sono realizzati in metallo, solitamente acciaio o bronzo per le punte e piombo – per via della sua facilità di fusione e colatura in stampo – o bronzo per il supporto. Il kenzan, disposto all’interno di un vaso o un contenitore, serve a mantenere in posizione eretta gli steli di fiori e piante, anche se pesanti, consentendo così di poter modellare la forma della composizione finale come si desidera. Dal Giappone l’utilizzo del kenzan è passato in occidente, ed è abbastanza frequente trovarlo anche nelle composizioni dei fiorai nostrani perché – a differenza di altri sistemi come creta, spugne biglie di vetro o gelatine, il kenzan assicura maggiore stabilità alla composizione per via del suo peso, è più igienico e riutilizzabile più volte. Sul sito della benemerita FISAS (http://www.scherma-antica.org) ho letto alcune note del Maestro Andrea Lupo Sinclair che ho avuto il piacere di conoscere in una sua Accademia romana qualche anno fa, grazie alla “intercessione” di Vivio, allora Prevosto d'armi della stessa Scuola. In alcune pagine del sito viene spiegata la filosofia ed il metodo alla base della pratica che vi si svolge, considerazioni che trovo condivisibili ed ampliabili anche ad altri ambiti. In particolare si dice: "La Scherma è paradigma e rappresentazione della vita. Tempo, Misura, Strategia e Natura sono presenti in ogni momento della nostra esistenza" ed anche: "La Scherma è innanzitutto conoscenza di sé stessi. Nessuna tecnica può funzionare se non è praticata con estrema consapevolezza e quieto spirito" Credo che chiunque abbia una sufficiente esperienza nella pratica marziale (e non solo, direi...) non possa che condividere queste affermazioni. (Prima conosci tè stesso e poi l'altro) Fa parte della natura umana partire dal presupposto che la propria opinione sia esatta e, anche conoscendo in modo superficiale le questioni altrui, voler dettare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Questo è un comportamento ingenuo. E già abbastanza difficile trovare la verità in se stessi. Tutte ciò che va al di là di questo necessita di un esercizio intenso ed è assolutamente impossibile senza un previo stato avanzato di maturità. Lo spirito concentrato in una specializzazione perde di vista i nessi più grandi. Siccome però li tecnica moderna apprezzi molto di più lo specialista concentrato su un ambito sconosciuto rispetto all'uomo che ha maturato nella vita, la persona inadeguata ma altamente specializzata viene ad essere sempre più spacciata per modello da seguire. Tuttavia ovunque questa persona venga ad operare al di fuori del proprio ambito sorgono degli equivoci. Lo specialista è una persona che capisce sempre più del sempre meno. Per i praticanti di un'arte marziale lo sforzo di conseguire uno spirito aperto e ad ampia portata è un'importante meta degli esercizi. È ingenuo e pretenzioso voler interferire nel giusto o nello sbagliato quando si tratta delle responsabilità altrui senza esserci dentro in prima persona. Un centinaio di partecipanti provenienti da tutta Italia, tre giorni di pratica intensa e coinvolgente, sei nuovi Maestri terzo Duan e una decina di nuovi allenatori primo Duan: questi alcuni dei numeri del decimo Seminario Tecnico Nazionale di Tai Chi Chuan “Old Fu Style” che si è solto a Sperlonga dal 27 al 30 settembre 2012, sotto la direzione del M° Severino Maistrello, discepolo interno del Maestro To Yu e suo rappresentante in Italia e in Europa. Le giornate sono cominciate con la pratica mattutina di esercizi di Chi Kung, seguiti poi dalla pratica a mani nude con studio della forma 88, delle sue applicazioni e del Tui-sao / push hands. |
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