Ogni cultura ha dei numeri che considera particolarmente fortunati o, viceversa, infausti. In Occidente è molto comune considerare sfortunato il 17 ed il 13, tanto che in alcuni alberghi o palazzi dopo il dodicesimo piano c’è il “12 bis” e su molti aerei dalla fila 12 si passa direttamente alla 14. Stessa sorte per il 17, specialmente se accoppiato al venerdì, e per certi aspetti al quattro. Viceversa il tre è quasi unanimemente considerato un numero perfetto, ed anche il sette gode di particolari benevolenze. Singolare è il destino del 13 che è a volte, come detto, considerato sfortunato, ed altre volte invece preso ad esempio di fortuna (specialmente quando si parla di schedine del totocalcio). Anche l’oriente, ed in particolare il Giappone, hanno i loro numeri fortunati e sfortunati, e non è forse un caso che ci sia più di una coincidenza tra questi e quelli occidentali.
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Una delle discipline più interessanti, antiche e singolari del Giappone è senz'altro il Sumo, che lungi dall'essere uno scontro tra panciuti combattenti, è una disciplina dai risvolti affascinanti e interessanti che nulla ha a che fare, come pensa qualcuno, con la parodia che oggi, con il wrestler, viene offerta agli spettatori occidentali. Le origini del Sumo non sono certe, ma alcune testimonianze suggeriscono che questa attività possa aver avuto origine in Cina o in Corea poiché, anche se al giorno d'oggi il Sumo è tipicamente giapponese, si pensa che molti suoi aspetti culturali derivino comunque da queste due regioni. I giapponesi hanno incluso questa disciplina nella loro cultura, tanto da renderlo parte integrante sin dai più antichi albori della storia del Giappone; nei secoli il Sumo si è evoluto da rito religioso ad attività militare fino alla connotazione attuale di sport. Sul tatami io atterro dopo un lungo viaggio,
e tu senza dir niente hai trovato il coraggio, con il braccio potente di chi allena le spalle, di farmi cadere sbattendo le palle. E così su due piedi io mi sono rialzato, con lo scroto dolente e il tanden ammaccato. Se un uomo colpisce, colpisce l’hara, per cinque minuti e poi torna in seiza. Un film di Takeshi Kitano. Con Takeshi Kitano, Tadanobu Asano, Akira Emoto, Yuko Daike, Saburo Ishikura, Ittoku Kishibe, Yui Natsukawa, Michiyo Ookusu, Gadarukanaru Taka, Daigorô Tachibana, Ben Hiura, Kohji Miura, Koji Koike, Kanji Tsuda, Taigi Kobayashi, Ayano Yoshida Commedia, durata 116 min. - Giappone 2003. Ci sono diversi indizi che personalmente mi fanno dire che un film mi è piaciuto: ovviamente, il provare la voglia di rivederlo e il trovarvi citati o evocati uno o più film che mi sono a loro volta piaciuti. “Zatoichi” di Takeshi Kitano, uscito nelle sale cinematografiche nel 2003 ed oggi disponibile anche a noleggio, risponde in pieno ad entrambe le condizioni; la voglia di rivederlo, magari passando al rallentatore alcune delle scene di combattimento, è scattata appena terminato lo scorrere dei titoli di coda, i film citati o evocati sono diversi, dai precedenti dello stesso Kitano a “I sette samurai” e “La sfida del samurai” di Kurosawa. (un particolare ringraziamento a Daniele ed allo staff di hamakurashop.com per l'immagine. Una ampia varietà di hanko ed inkan possono essere visionati e ordinati QUI) Molti di noi avranno notato, ai bordi di un dipinto orientale oppure in fondo ad un diploma di gradazione di un arte marziale giapponese un timbro colore rosso, con caratteri o ideogrammi particolari. Si tratta dell’impronta lasciata da un hanko, un timbro particolare la cui origine si fa risalire a tempi molto antichi e che in principio era d'oro veniva usato solo dall'Imperatore e dai suoi sudditi più fidati, essendo un simbolo ed un sigillo del potere della casta regnante. Verso la metà del VII° secolo dopo Cristo l’hanko ha iniziato ad essere usato anche da nobili molto potenti e nel medioevo nipponico fu concesso il permesso di utilizzarlo anche ai Samurai, che potevano usare unicamente il colore rosso. In una società dove ben pochi erano coloro che sapevano scrivere e dove comunque venivano usati caratteri ideo-grammatici, l’hanko sostituiva la firma che attestava l’autenticità di un documento; poiché in precedenza questa attestazione veniva effettuata praticando un piccolo taglio sul pollice ed imprimendo una impronta digitale col sangue che ne fuoriusciva, per il timbro si impiegava esclusivamente inchiostro rosso carminio, che richiamava l’usanza precedente. Se immagino che tu sei qui con me
sto male, lo sai! Voglio illudermi di riaverti ancora com'era un anno fa. Io in seiza insieme ad un altro e tu sarai forse a ridere di me e del mio kaiten che non faccio più, ormai non faccio più. Traduzione di C.A. Regoli – Luni Editrice Il libro è la biografia di Yamaoka Tesshu, un personaggio eclettico vissuto in Giappone nel secolo scorso e che fu Maestro di spada, calligrafo, praticante dello Zen e politico di rilievo, tanto da ricoprire l’incarico di consigliere dell’imperatore Meiji. Tesshu iniziò giovanissimo a praticare calligrafia e ad esercitarsi con la spada, raggiungendo in entrambi i campi una perizia più unica che rara; la sua vita fu un costante esempio di dedizione al dovere e di aderenza ai suoi ideali, perseguiti tramite apparenti contraddizioni. Il termine kamae viene usualmente descritto come “postura” ed indica il modo in cui un praticante si dispone per eseguire una tecnica. Pur essendo ciascuno di questi identificato da una precisa postura fisica, il kamae non indica solo un modo di posizionare l’arma, i piedi o le braccia, ma anche (e forse soprattutto) la disposizione mentale, il modo in cui il praticante dispone la sua mente, la sua attenzione e la sua intenzione. Nel kenjutsu i kamae di seguito descritti, salvo qualche piccola variazione (inclinazione dell’arma, orientamento della lama) sono adottati dalla quasi totalità delle scuole; in aggiunta, ciascuna scuola adotta a volte anche altre posture (Seigan, Dai-seigan, Yo, Gassho, ecc.) legate alla propria tradizione ed alla modalità della pratica. Dopo un lungo oblio, riproponiamo al pubblico le canzoni del molto venerabile Maestro Kantoyo Keolawoche Sensei raccolte e trascritte nel Dojo Hariston della città di Sei-naru-kai Tira più un pelo di geisha che una coppia di uke (M° Kantoyo Keolawoche) La vita del Maestro Prima di presentare ai lettori la raccolta delle canzoni composte dal Maestro, abbiamo ritenuto opportuno fornire qualche particolare biografico che aiutasse a meglio comprenderne l’opera e lo spirito. Kantoyo Keolawoche Sensei era dotato di aspetto gradevole e di voce intonata, così fin da giovane iniziò a guadagnarsi da vivere cantando presso i piano-bar della sua città, riscuotendo un grande successo presso il pubblico che, sempre più numeroso, accorreva ad assistere ai suoi concerti. |
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Marzo 2017
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