Tempo fa qualcuno disse che se Tizio ha una informazione e Caio un'altra informazione, ciascuno continuerà ad averne solo una finché rimarranno arroccati nelle reciproche posizioni, mentre – se le scambieranno – ognuno ne avrà due.
Tempo fa qualcuno disse che se Tizio ha una informazione e Caio un'altra informazione, ciascuno continuerà ad averne solo una finché rimarranno arroccati nelle reciproche posizioni, mentre – se le scambieranno – ognuno ne avrà due.
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_Dal profilo facebook "KATORI SHINTO RYU" riporto una nota pubblicata dal M° Claudio Regoli Una delle cose più difficili da raggiungere sembra essere la spontaneità. Dopo un primo periodo da appprendista, nel quale deve studiare la tecnica per non avere alcuna remora nell’espressione della sua Arte, L'allievo deve ritrovare la naturalezza di una volta. Solo cosÏ potrà prestare attenzione ai vari messaggi ed alle emozioni che gli trasmette il mondo esterno di cui lui é ,secondo gli Orientali, solo un raccoglitore ed un trasmettitore. _"L'Aikido è come un compasso ... ognuno che realizzi in sé l'Aikido, sarà incrollabile nel proprio centro, punto di forza della sua personalità ma saprà anche descrivere intorno a sé un cerchio di amore e di unione" Queste le parole riportate su una targa donatami dagli allievi del Seishin Dojo in occasione del Matsuri keiko di quest’anno, seguite da una dedica troppo personale e ricca di complimenti per poter essere riportata senza correre il rischio di peccare di autoesaltazione. Se dovessi commentare con una frase sola questo incontro e la parte di anno accademico di cui segna la conclusione, direi “concordanza tra parole e fatti”. Ho la presunzione di avere intorno a me un gruppo di allievi che forse hanno più di qualche carenza tecnica a causa della mia imperizia di insegnante, ma che sono, si sentono e si comportano come un gruppo coeso, che pratica con impegno e con il massimo rispetto e disponibilità verso il compagno. Ieri sera c’era anche chi – per motivi di salute o personali avrebbe potuto essere assente, e anche chi non c’è potuto essere non ha mancato di farsi sentire, per testimoniare il suo far parte del gruppo. Una grande soddisfazione ed una grande responsabilità, di cui mi auguro essere all’altezza. Sul nostro bollettino sono apparsi già diversi articoli che trattavano di come effettuare un buon attacco ma, data l’importanza dell’argomento, è senz’altro utile ed opportuno ritornare a parlarne. Capita frequentemente di vedere, durante la pratica, che uke attacchi non al massimo delle sue possibilità, riservandosi una specie di “seconda occasione”, falsando osì sia la sua azione che quella di tori, che dovrebbe invece sfruttare anche l’energia di uke per eseguire correttamente la sua tecnica. In effetti quello dell’attacco è un concetto difficile da fare proprio, per tutta una serie di motivi che proveremo di seguito a riassumere. Intanto è bene ricordare che le nostre Arti derivano da quelle tradizionali giapponesi, sperimentate ed applicate per secoli sui campi di battaglia da soldati che avevano la vera forza non tanto nella spada e nella destrezza manuale con cui sapevano maneggiarla, ma nella fermezza interiore e nel distacco. Un samurai era morto a sé stesso, non aveva domani, non aveva ieri, non aveva il presente, aveva solo il “qui e ora”, e non a caso nello “Hagakure” viene deplorata proprio la tendenza, da parte delle nuove generazioni di samurai, ad accumulare beni e denaro per la vecchiaia, condizione che presupponeva un minore impegno in servizio. In battaglia il samurai era il peggior nemico che si potesse incontrare, perchè non aveva niente da perdere, a cominciare dalla cosa più preziosa, la sua stessa vita. Il senso di questa disposizione d’animo è riassunto in una massima resa celebre dal libro "Lo zen ed il tiro con l'arco": "Un colpo, una vita". Tutta una vita spesa per preparare e attendere un unico colpo decisivo; tutta una vita salvata o recisa da un unico, definitivo colpo di spada. Più passa il tempo, più si radica la convinzione che con l’ottimo Gianluca Zanini esistano tanti di quei punti in comune da non ritenere esagerato il considerarlo un “fratello”. A lui, come dichiaro spesso, devo la mia ammirazione per il M° Paulo Fambri e la sua salace scrittura, con lui scopro oggi un comune apprezzamento per lo Zarathustra di Nietzsche, con lui in primis mi piace condividere questo brano, tratto proprio dal quest’opera che rimane uno dei libri più importanti della mia vita. Il seminario di settembre è forse l’appuntamento più importante tra quelli che caratterizzano l’attività didattica ed associativa della Takemusu Aikido Association Italy e questo non solo per la assemblea sociale che permette ai membri di discutere e confrontarsi sul presente e sul futuro della associazione stessa, ma anche perché, in qualche maniera, segna l’inizio ufficiale del nuovo anno accademico. Negli ultimi anni questo seminario è stato condiretto da Paolo Corallini e Ulf Evenas ma quest’anno c’è stata una novità che ha visto direttamente coinvolti alcuni dei sempai TAAI. Le varie sessioni didattiche sono state quindi dirette – oltre che da Paolo Corallini – anche da Francesco Corallini, Emilio Fornari, Adolfo Braga, Renato Visentini, Michel Nehme e Angelo Armano. Ciascuno degli insegnanti ha offerto un lavoro impostato sulla propria esperienza e sulla sua impostazione didattica, proponendo “possibilità di lavoro” varie e interessanti, che spaziavano da esercizi propedeutici al lavoro sulla sensibilità al contatto, dall’analisi dei particolari dei kihon alla esecuzione delle tecniche in ki-no-nagare, dalla esecuzione dei kata di aiki-jo alla loro applicazione nel lavoro in awase in coppia, passando per esercizi di kokyu-ho basati sulla respirazione. Sono sempre più convinto che partecipare ad un seminario di arti marziali sia prima di tutto una splendida esperienza umana, che ci permette di conoscere meglio non solo i nostri compagni di pratica, ma soprattutto noi stessi. Niente di nuovo sotto il sole (o – visto l’argomento – sopra il tatami... 9 ma constatarlo è ogni volta una esperienza unica, che vale la pena non tanto di essere raccontata (non riuscirei a trovare le parole adatte) ma almeno testimoniata.
Di questo seminario non mi rimarrà solo quel poco che sono riuscito ancora a capire delle tecniche praticate, non solo il dono che ogni volta i sensei ci portano da Giappone, ma le tantissime emozione provate prima durante e dopo la pratica. In occasione dell’esame di passaggio di grado degli allievi a cui insegno, uso spesso dire che “se sono bravi è merito loro, se non lo sono è colpa mia”. Certo la frase è un po’ estrema e non tiene conto di diverse variabili, ma nella sua essenzialità esprime un concetto che trovo corretto. Siamo pochi in Dojo, non abbiamo mai superato la decina di praticanti e spesso anche arrivare a cinque è un traguardo lontano; come quasi tutte le condizioni della vita, anche questa presenta vantaggi e svantaggi, tra i primi il poter seguire e conoscere ogni allievo abbastanza bene, tra i secondi quello di non avere una grande “varietà” nei compagni di pratica. Come è facile immaginare, un insegnante all’altezza di questo compito non ha bisogno di far sostenere un esame ad un suo allievo per conoscerne debolezze e punti di forza, quindi il momento dell’esame può (e forse deve...) diventare occasione di altro che una mera verifica formale della conoscenza delle tecniche in programma. Come ci si sente ad essere bocciati ad un esame di passaggio di grado che hai preparato per mesi, che hai eseguito quasi al meglio delle tue possibilità e che credi di aver passato sino alla pubblicazione dell’esito? Ve lo dico io, non molto bene. Le emozioni si alternano tra loro in rapida successione: delusione, irritazione, smarrimento, perplessità e chi più ne ha più ne metta. Però c’è sempre un però, e sto imparando a mie spese e guadagno che “quel che non ammazza, fortifica” e che anche da un evento negativo si possono trarre utili insegnamenti. Uno dei pochi vantaggi del partecipare a stage e seminari lontani da casa è che si hanno un po’ di ore a disposizione per riordinare pensieri e sensazioni e per tirare un primo bilancio “a caldo” della esperienza, sia tecnica che umana. Carlo Parisi è un praticante di scherma (e probabilmente molto altro...) che ammiro per la sua passione nella pratica marziale e per la sua perizia nella costruzione di simulacri di armi bianche. Un’altra delle sue doti che apprezzo è la sua cortese ironia, pungente ed affilata come le armi che utilizza. Una prova evidente di quest’ultima affermazione è nella sua nota, che col suo permesso trovate riprodotta di seguito. Leggetela con attenzione, sicuramente a molti – specie a chi da più anni calca i tatami – suonerà familiare... |
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Marzo 2017
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