Intanto è bene ricordare che le nostre Arti derivano da quelle tradizionali giapponesi, sperimentate ed applicate per secoli sui campi di battaglia da soldati che avevano la vera forza non tanto nella spada e nella destrezza manuale con cui sapevano maneggiarla, ma nella fermezza interiore e nel distacco.
Un samurai era morto a sé stesso, non aveva domani, non aveva ieri, non aveva il presente, aveva solo il “qui e ora”, e non a caso nello “Hagakure” viene deplorata proprio la tendenza, da parte delle nuove generazioni di samurai, ad accumulare beni e denaro per la vecchiaia, condizione che presupponeva un minore impegno in servizio. In battaglia il samurai era il peggior nemico che si potesse incontrare, perchè non aveva niente da perdere, a cominciare dalla cosa più preziosa, la sua stessa vita. Il senso di questa disposizione d’animo è riassunto in una massima resa celebre dal libro "Lo zen ed il tiro con l'arco": "Un colpo, una vita". Tutta una vita spesa per preparare e attendere un unico colpo decisivo; tutta una vita salvata o recisa da un unico, definitivo colpo di spada.
La tecnica fisica é la stessa ma nel secondo caso entrano in gioco fattori che non scaturiscono dal primo (come ben sanno tutti coloro che sostengono un esame di passaggio di grado). Attaccare senza efficacia, senza portare l'attacco oltre il bersaglio ci abitua a difenderci da assalti inefficaci e non fa “scattare” tutta una serie di meccanismi più o meno inconsci che, in passato, facevano la differenza tra la vita e la morte sul campo di battaglia. Come detto l’attacco non può essere “vero” (perché dobbiamo comunque salvaguar-dare l’incolumità del compagno) ma deve essere “verosimile”, ovvero avvicinarsi quanto più possibile – nella intenzione, nella determinazione e nella energia – ad un attacco reale.
Prepararsi ad un combattimento vero senza poterlo mai praticare nel Dojo durante l'allenamento può sembrare frustrante ma è vero invece il contrario; allenarsi fisicamente e mentalmente ad affrontare un attacco "di mani e di piedi" ci prepara anche ad affrontare le aggressioni (fisiche e non, si pensi al mobbing, solo per fare un esempio) che quotidianamente la vita ci riserva; ci mostra che l’efficacia di un pugno o di una qualsiasi altra tecnica sta nella capacità dell'esecutore di applicarla nella forma giusta, nel momento giusto, alla distanza giusta, e soprattutto con lo stato interiore giusto; ci insegna a vivere in armonia con noi stessi e con tutto quello che ci circonda infondendoci calma, sicurezza e attenzione; giungendo infine a comprendere che – come dicono i grandi Maestri – “il bravo generale riesce a vincere senza combattere”.