Nonostante la pace stabilita dallo shogunato Tokugawa, la polizia feudale giapponese si trovava spesso ad affrontare situazioni critiche e dovette sviluppare in fretta nuove tecniche e attrezzature per fronteggiare la criminalità. In una società maschilista come quella del periodo Edo la competizione era feroce e con il rapido aumento delle interazioni tra le varie classi sociali e l’espandersi degli agglomerati urbani spesso le discussioni sfociavano in rissa. La giustizia era spesso sinonimo di violenza e l’ampia percentuale di popolazione armata faceva si che il minimo disaccordo sfociasse in un bagno di sangue. per mantenere il controllo, gli ufficiali di polizia ed i loro assistenti svilupparono molte armi e tecniche di arresto dei facinorosi, spesso armati e pronti a tutto. Tra queste c’era un bastone munito di ganci metallici per catturare i vestiti dei sospetti e immobilizzarli forzandoli al suolo; inoltre per catturare persone disarmate spesso venivano usati bastoni e randelli di legno.
Una delle più originali armi della polizia di quel periodo fu senz’altro il jutte, un manganello di acciaio che deve la sua diffusione alla capacità di parare i fendenti di spade affilate come rasoi e di disarmare gli assalitori senza causargli gravi danni. Essendo essenzialmente un arma di difesa e costrizione, la lunghezza del jutte richiedeva a chi l’impiegava di essere molto vicino a chi doveva essere catturato. Un uncino o una forca, chiamata kagi e posizionata vicino all’impugnatura, consentiva al jutte di bloccare ed addirittura spezzare la lama di una spada, così come di colpire di punta o di afferrare i vestiti o le dita del sospetto, in maniera da disarmarlo o catturarlo senza gravi spargimenti di sangue, inoltre il suo impiego da parte delle forze di polizia finì per farlo considerare come un simbolo dello status di pubblico ufficiale.