Dal 1864 al 1867 il daimyo fu quasi sempre a Kyoto, supervisionando la Kyoto Shugoshoku (commissione militare) che man-teneva la città in pace e le strade relativamente tranquille e libere dagli “Ishin Shishi”, samurai rivoluzionari che si opponevano al potere dello Shogun. Il principato di Aizu era rinomato nella zona di Kyoto per aver fondato le truppe di polizia degli Shinsengumi e dei Kyoto Mimawaarigumi, che avevano contrastato nella zona del Choshu il complotto degli Ishin Shishi, che volevano bruciare Kyoto dalle fondamenta e rapire l’Imperatore, residente in quel periodo in città. Per un certo periodo, il dominio di Aizu fu sotto il controllo di Kyoto, con il supporto dei maggiori principati di Satsuma e Kuwana ed a cura del Kyoto Shoshidai (ufficio governativo per la amministrazione di Kyoto), e successivamente respinse il tentativo del Choshu di prendere la città. Nel 1867, Tokugawa Yoshinobu, l’ultimo shogun, rassegnò il potere nelle mani dell’Imperatore, restituendogli l’effettivo comando del paese.
Il principe di Satsuma, Shimazu Hisamitsu, decise di non seguire il declino dello shogun e cambiò fazione, schierandosi al fianco del Choshu nella guerra contro le forze ancora fedeli allo shogun. Le fortune del clan Aizu in Kyoto mutarono al peggio, e dopo una sonora sconfitta nella battaglia di Toba-Fushimi, il daimyo non ebbe altra scelta di ritirarsi. A questo punto i consiglieri proposero di dichiarare la sua obbedienza all’Imperatore ma Matsudaira Takayasu, fedele fino in fondo alla sua scelta rifiutò, decidendo di combattere sino alla fine in difesa del vecchio ordinamento. Questa decisione segnò il destino del clan Aizu e nel luglio del 1868, il castello di Nagaoka, a sud-ovest di Aizu, cadde dopo un lungo assedio, nonostante i difensori fossero armati con i nuovi fucili “Gatling”.
Così, il dominio di Aizu si trovò nel pieno della tempesta che si avvicinava ed il 23 agosto del 1868, la battaglia di Aizu cominciò. Le forze del clan vinsero diversi scontri sotto il comando di Sagawa Kampei, che organizzò delle truppe di assalto che con delle sortite notturne causarono notevoli perdite nelle file nemiche, in particolare tra gli artiglieri, che persero circa la metà degli effettivi. Durante il giorno però, il castello di Tsuruga subiva il fuoco della artiglieria nemica piazzata vicino al monte Oda e le donne e i bambini combattevano le fiamme sotto il comando di un gruppo di soldati appositamente addestrati provenienti da Edo. C’era inoltre un monaco buddista chiamato Nikkai che si era arrampicato sulla torre del castello e, pregando il Buddha Amida, suonava la campana ogni ora, giorno e notte, confortando i combattenti e comunicandogli che il castello ancora resisteva. Nonostante l’assedio, la gente di Aizu si difendeva tenacemente, senza nessuna speranza di aiuto dall’esterno, specialmente quando il resto delle forze ancora leali allo shogun sotto la guida dell’ammiraglio Enomoto Takeaki, fu bloccata nel porto di Hakodate nel sud di Ezo (l’attuale Hokkaido).
Il Bushido, l’antica Via del Guerriero, era durata secoli; attraverso gli anni si era adattata alle circostanze sociali ed al clima politico segnati da eventi quali rivoluzioni, invasioni straniere, introduzione di nuove tecnologie. La battaglia di Aizu mostrò che, a dispetto della superiorità nemica in termini di uomini e armi, la Via del Guerriero e le tecniche e gli insegnamenti ad essa correlati, erano così inculcate nella psicologia della popolazione di Aizu e di diverse altre regioni nipponiche, che moltissime persone, nonostante non appartenessero alla casta dei samurai, rifiutarono di tradire il loro Signore ed il clan, e rimasero fedeli combattendo sino alla fine, in Aizu nel 1868, ad Hakodate nel 1869, o a Satsuma nel 1876.
Anche grazie a ciò che il Bushido è sopravvissuto sino ai giorni nostri, sia pure ancora una volta adattato da nuove idee, nuove tecnologie e nuove circostanze. Una citazione di Nabeshima Naoshige, il principe che nel XVII° secolo governava l’omonimo dominio nell’isola di Kyushu, può appropriatamente riassumere la battaglia di Aizu: “I guerrieri non furono gli unici a morire. Tutte le classi della popolazione conoscevano il loro dovere”. Terminava così l'egemonia degli shogun. Ma termina anche un'era, quella dei veri samurai.