Miserabili, hanno sofferto invano.
(Dal “Vangelo di Filippo” in “Vangeli gnostici” a cura di Luigi Moraldi – Edizioni Adelphi)
Spesso, troppo spesso, alcuni praticanti ritengono che a “certificare” la propria bravura ed esperienza sia sufficiente evidenziare il loro periodo di pratica; “Sono dieci anni che mi alleno”,”sono cintura nera da 15 anni” e così via. Se è vero, come è vero, che una quercia non nasce in un giorno e che c’è un periodo minimo senza in quale – semplicemente – una pratica non può essere appresa e compresa, è altrettanto vero che detto periodo è condizione necessaria ma non sufficiente all’acquisizione dell’esperienza desiderata.
Se molte Arti e discipline di origine giapponese contengono nel loro nome il suffisso “Do” ad indicare un percorso, una Via, un tragitto che ha un inizio ed uno sviluppo, è evidente che questo percorso va misurato anche attraverso tappe e prove “intermedie” specie nel caso in cui – come nel caso della dette Arti (marziali e non) un vero e proprio traguardo non esista. Non parlo necessariamente dei famigerati (e spesso sopravvalutati) “esami di passaggio di grado”, ma piuttosto di una verifica onesta e sincera, da compiere con il proprio insegnante e con i propri compagni, ma soprattutto con sé stessi. Chiedere e chiedersi se si è un po’ migliori di ieri e se si potrà essere ancora migliori domani non significa titillare la propria autostima o gonfiare il proprio Ego, quanto piuttosto impegnare saggiamente il proprio ed altrui tempo, altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi come l’asino del detto evangelico citato in apertura.
Attualmente la scuola pubblica ci fa considerare la bocciatura come un’onta insopportabile e la promozione alla fine dell’anno di studio un fatto stabilito a priori ed indiscutibile. Ma così non è sempre e dovunque, nelle Arti, nelle botteghe artigiane, nelle sale d’armi il migliore va avanti, il meno dotato o il più neghittoso resta indietro, e la cosa è ed appare così naturale e consequenziale che nessuno si sogna di gridare allo scandalo.
Ci si interroghi, allora, sul motivo ultimo della nostra pratica: se è quello di acquisire diplomi, certificati, gradi ed attestazioni, oggi più di ieri troveremo chi sarà ben disposto a concederceli, e non di rado chiudendo un occhio sulle nostre reali capacità per tenere aperto solo quello che serve a contare il denaro che gli versiamo; se la nostra pratica è volta ad acquisire capacità e destrezza, consideriamo che siamo su una Via senza fine, in cui incontreremo sempre qualcuno più bravo di noi da cui imparare e qualcuno meno esperto a cui insegnare, indipendentemente dalla data che stabilisce burocraticamente il giorno, il mese e l’anno in cui quella Via abbiamo cominciato a percorrere.