Ma un’altra cosa che insegna l’agone sportivo, la strategia militare e la vita nel suo insieme è che il nemico più pericoloso, l’avversario più subdolo, il contendente più ostico è quello che ti si avvicina sornione, ti spiazza con una finta apparentemente ingenua e ti sorprende senza difese. Tra questi, primo senza rivali è il lontano parente, il conoscente occasionale, il collega di lavoro impiccione che – una volta scoperto che pratichi Arti marziali o sport da combattimento - ti guarda come un reprobo, sottrae i bambini al tuo sguardo e ti giudica, senza possibilità di appello e redenzione, come un violento energumeno, volgare picchiatore, selvaggio teppista e altri simili simpatici epiteti.
Praticare Arti marziali o sport da combattimento espone a diversi rischi; alcuni sono abbastanza facili da immaginare, e solo un incosciente non li mette in conto: lividi, lussazioni, slogature, ferite, e via dicendo. Con buona pace delle assicurazioni e delle mamme chiocce però, un minimo di precauzione e attenzione rende queste disavventure rare se non uniche, senza fondamentalmente nulla togliere all’agonismo o all’impegno della pratica e l’esperienza mia personale registra più infortuni tra amici che giocano a calcetto che tra quelli che fanno ukemi sul tatami.
Ma un’altra cosa che insegna l’agone sportivo, la strategia militare e la vita nel suo insieme è che il nemico più pericoloso, l’avversario più subdolo, il contendente più ostico è quello che ti si avvicina sornione, ti spiazza con una finta apparentemente ingenua e ti sorprende senza difese. Tra questi, primo senza rivali è il lontano parente, il conoscente occasionale, il collega di lavoro impiccione che – una volta scoperto che pratichi Arti marziali o sport da combattimento - ti guarda come un reprobo, sottrae i bambini al tuo sguardo e ti giudica, senza possibilità di appello e redenzione, come un violento energumeno, volgare picchiatore, selvaggio teppista e altri simili simpatici epiteti.
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Chen Jian Zhui Zhou (chén jiān chuí zhǒu, Chen chien chui chou, 沉肩垂肘) Abbassare le spalle e far cadere i gomiti Sink the shoulders and drop the elbows. Durante la pratica le spalle (Jian) devono essere tenute basse (Chen), completamente rilassate ed aperte. Se non si riesce a rilassarle e ad abbassarle, le spalle rimarranno sollevate ed in tensione. Il Chi le seguirà spostandosi verso l’alto e l’intero corpo non potrà esprimere la sua potenza. “Far cadere (Zhui) i gomiti (Zhou)” significa che i gomiti devono essere tenuti in basso e rilassati; se i gomiti si sollevano, le spalle non potranno abbassarsi e sarà impossibile spostare lontano un avversario oppure – anche se ci riusciremo – la nostra tecnica sarà simile a quelle impiegate dagli stili “esterni” che utilizzano la forza muscolare. "Quando l'acqua è tranquilla può riflettere la barba e le sopracciglia di un uomo e la sua superficie è così ferma che può servire da livella al mastro carpentiere. Se la tranquillità dell'acqua permette di riflettere le cose, di che cosa non è capace quella dello spirito dell'uomo?" (Zhuang-zi / Chuang-tzu) Fen Xu Shi (fēn xū shí, Fen hsu shih, 分虛實) Distinguete tra sostanziale ed insostanziale Differentiate between insubstantial and substantial Questo è il primo principio del Tai Chi Chuan. Se il peso del corpo intero è sulla gamba destra, allora la gamba destra è “sostanziale” (piena) e la gamba sinistra “insostanziale” (vuota), e viceversa. Quando si distingue (Fen) tra sostanziale (Shi) ed insostanziale (Xu), si possono eseguire movimenti leggeri senza usare la forza. Se non facciamo distinzione tra sostanziale ed insostanziale, il nostro passo sarà lento e pesante, la nostra postura sarà instabile e potremo essere facilmente squilibrati. Xu Ling Ding Jin (xū líng dǐng jìng, Hsu ling ting chin, 虛靈頂勁) Tenere la testa dritta per consentire alla energia di raggiungere la sommità della testa Per consentire alla Energia (Jin, jing, Chin) di raggiungere la sommità della testa (Ding, Ting) bisogna tenere quest’ultima diritta, mantenendo una corretta postura, in maniera rilassata e priva di sforzi muscolari. La mente deve essere vuota (Xu, Hsu) e pronta a accogliere e valutare in maniera naturale ogni accadimento (Ling) senza però “attaccarsi” a nulla. La pratica delle Arti marziali contiene in sé un “paradosso” comune a molte altre attività umane, paradosso su cui ci si arrovella molto e – credo – ci si continuerà ad arrovellare in futuro. Di fatto, nella maggior parte dei casi – specie quando parliamo di discipline che non prevedono un impegno strettamente agonistico – la pratica delle Arti marziali è oggi profondamente diversa rispetto a quando queste sono nate. Se alla nascita lo scopo principale di una Arte marziale era quella di salvare la propria vita e toglierla ad un avversario, oggi – per tutta una serie di motivi questo obbiettivo è radicalmente mutato. C’è chi pratica per “tenersi in forma”, chi per approfondire determinati aspetti emotivi e spirituali, chi con un ottica fisico-terapeutica, altri ancora per sentirsi un po’ “samurai de’ noantri"!. In una discussione di diverso tempo fa, Enrico Lorenzi, un esperto schermidore ed utente di un forum di Arti Marzioali, affrontava con approccio metodologico da studioso e ricercatore analogie e differenze tra i trattati d’arme occidentali ed i Makimono orientali. Riassumendo il tutto ai minimi termini, si può affermare che anche se entrambi avevano lo scopo di riprodurre tecniche, principi e strategie di una Scuola o di una disciplina, i trattati spesso avevano un approccio più aperto e didattico, mentre i compilatori dei Makimono usavano non di rado un linguaggio criptico e fortemente simbolico, con lo scopo di velare i segreti ai non iniziati. Ma non tutti hanno la possibilità, il tempo, le conoscenze e l’esperienza per analizzare simili opere, così può capitare che interessanti spunti di riflessione vengano forniti – a chi ha occhi per vedere – anche da opere apparentemente più “leggere”, ma redatte però da autori che abbiano avuto esperienze belliche o marziali di qualche tipo. E’ questo il caso di Torquato Tasso e della sua “Gerusalemme Liberata”, che ci illustra - con lo spirito e la sapienza che lo contraddistingue – messer Gianluca Zanini in uno scritto di qualche anno fa, con una analisi che non mancherà di farci rileggere questo grande classico con un approccio affatto diverso da quello, spesso noioso, dei banchi di scuola. (N.d.R.) Pochi forse sanno che tra i cantori italiani del poema cavalleresco, solo il Tasso fu elevato al rango di schermidore e la sua “Gerusalemme Liberata” fu annoverata tra quelle opere letterarie schermisticamente più interessanti. Cominciarono a rivalutare il Torquato e la sua opera i maestri di scherma tra la fine del1700 e l’inizio del 1800, tra i quali i più famosi sono il Rosaroll e il Grisetti, ma dobbiamo aspettare la fine del secolo perché un insigne studioso e schermidore come il piemontese Alberto Cougnet scrivesse due bellissime opere, dove possiamo ammirare una profonda analisi tecnica della “Gerusalemme Liberata” ed una serie interessante di aneddoti sulla vita del Tasso. (Traduzione ed adattamento di “Without Hesitation” del Ven. Anzan Hoshin roshi - http://www.wwzc.org/book/zanshin) Zanshin si può tradurre come “la mente che rimane” oppure “la mente senza residui” ed è la mente della azione completa. Questo è il momento del Kyudo (arcieria giapponese) in cui la freccia è stata appena scoccata, è il “Om makurasai sowaka” nella pratica Zen dello oryoki (pranzo comune) in cui si beve l’acqua di risciacquo; quando si passeggia è il momento in cui il peso è tutto su un piede e comincia a muoversi l’altro piede, nella respirazione è quando è compiuta la inspirazione o la espirazione, nella vita è questa vita. Zanshin significa seguire completamente, senza lasciare traccia, significa ogni cosa, completamente, così come è. Quando corpo, respiro, parola e mente sono rotti l’uno dall’altro e sparpagliati in concetti e strategie, allora nessuna loro vera azione può rivelarli. Edizione: 2006, 126 pagine, brossura Traduttore: Origlia L. Editore : Feltrinelli (collana Universale economica) Yukio Mishima era convinto che la verità può essere raggiunta solo attraverso un processo intuitivo in cui pensiero e azione si trovano uniti. Questa filosofia di vita gli derivava dal pensiero di Wang Yang Ming (1475-1529) e dall'etica dei samurai che a esso si ispirava. L'ideologia dei guerrieri antichi era, per Mishima, l'essenza stessa della giapponesità, della sua natura più vera. Alla fine degli anni sessanta, egli risolse o credette di risolvere i dilemmi esistenziali, che aveva rappresentato nei suoi romanzi, con una scelta para-militare: contrapponendo il linguaggio della carne al linguaggio delle parole.
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Marzo 2017
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