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Dei mezzi, dei fini, degli obbiettivi e delle probabilità

3/31/2017

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Vi sono, nella nostra vita, delle periodiche ricorrenze; alcune sono quotidiane: bere, mangiare, dormire; altre hanno scadenze più lunghe: settimanali, mensili, annuali o anche più.
Chi in qualche modo è interessato alle Arti marziali sarà incappato – almeno una volta – nella “vexata quaestio” della efficacia delle tecniche studiate oggi, su quanto siano attuali, su quanto siano utili, su quanto siano dannose più per chi le pratica che per chi le subisce e via dicendo.
Capita, pochissime volte in verità, che la discussione sia sincera ma composta, e consenta di confrontare visioni diverse, a volte opposte, a volte complementari, ma comunque interessanti.
Più spesso si passa alla rissa verbale, al dileggio, alla offesa, al turpiloquio, con un fioccare di “e se il tuo aggressore ha una pistola allora che fai?”, “le vostre sono solo seghe mentali”, “andate a [] Quarto Oggiaro [] Centocelle [] Quartieri Spagnoli (mettere una crocetta sulla zona urbana malfamata che preferite) e vediamo che sapete fare” e via dicendo.
Dall’altra parte – occorre dirlo – si risponde con la stessa “Vis polemica”, citando “ipse dixit” improbabili, aneddoti al limite del mitologico, storie di Maestri che da soli hanno sconfitto decine di malfattori, passaggi di grado conquistati non sul tatami ma in risse da bar e chi più ne ha più ne metta.
Sarebbe folle, da parte mia, pensare di poter dipanare un simile garbuglio; non ne ho la autorità, non ho le conoscenze necessarie, non ho il tempo sufficiente e – soprattutto – non mi interessa minimamente farlo.
Perché questo scritto, mi si chiederà. Per chiarire alcuni punti a me stesso ed a chi mi conosce, per doverosa informazione di chi si affida alle mie indicazioni didattiche (spero che quello che scrivo non sia per loro una novità, ma “repetita iuvant”) e per contribuire comunque alla discussione, che comunque non è priva di interesse.
Ovviamente la mia opinione è – etimologicamente e sostanzialmente – opinabile; vale né più né meno (spero) di quelle altrui, non ho e non pretendo di avere nessuna Verità da rivelare e non credo assolutamente che chi la pensa diversamente da me sia nel torto, anzi!
Tutto ciò premesso, andiamo al sodo.
Detta in soldoni, credo che la pratica – anche pluriennale - di una arte marziale da tatami in un contesto di difesa personale “mors tua vita mea” sia utile quanto l’aver nuotato in piscina un naufragio causato da una tempesta in mare aperto. Ovvero non è condizione necessaria e tantomeno sufficiente.
Le ragioni sono tante, di ordine fisico, emotivo e psicologico.
Oggi come oggi neppure chi per professione dovrebbe (il condizionale è d’obbligo…) occuparsi della propria ed altrui sicurezza è in grado di in grado di intervenire in condizioni di efficacia ed efficienza in situazioni di ordine pubblico e le prove sono spiattellate dalla cronaca quotidiana: persone da sottoporre a TSO morte soffocate durante una immobilizzazione, tre o quattro agenti tenuti sotto scacco da un malfattore particolarmente aggressivo e via dicendo. I motivi sono tanti, alcuni li conosciamo, altri si possono immaginare, la Legislazione vigente ci mette del suo e chiudiamola qui.
Ora, se questo è lo stato dei fatti relativo ad un poliziotto, carabiniere, vigile, agente di PS medio, che ha sicuramente più probabilità di essere coinvolto in situazioni violente, e quindi maggiori probabilità di essere già stato coinvolto in situazioni simili, avendo comunque ottenuto un riscontro della sua preparazione, come possiamo noi pensare di essere messi meglio, visto che ci addestriamo comunque in condizioni “ideali”, con compagni più o meno collaborativi e protezioni? (ovviamente escludiamo dal discorso sia gli operatori di PS alla Rambo che i marzialisti alla Kobra Kai, che meriterebbero un ulteriore discorso a parte…).
Credo che più o meno tutti si possa concordare sul fatto che il marzialista medio – nonostante decenni di pratica – maturata però in allenamenti bisettimanali di un ora ciascuno, non è che abbia una preparazione tale da renderlo invincibile contro il cattivone di turno, anzi… a volte è proprio l’errata convinzione di essere un “samurai de’ noantri” ad esporlo a più danni di quanti ne potrebbe evitare una condotta saggiamente orientata ad evitare per quanto possibile scontri e conflitti.
Ma se così stanno le cose, allora perché spendere tempo, soldi ed energie sul tatami? Perché rischiare comunque lividi ed ecchimosi, fratture e slogature?
Per lo stesso motivo percui si va a nuotare in piscina senza pensare di prepararsi ad un futuro naufragio (in piscina c’è l’ulteriore vantaggio di poter ammirare anche i compagni di nuotata in costume, mentre il marzialista è solitamente imbacuccato in ingombranti divise che lo rendono spesso simile ad un palombaro, ma questa è un’altra delle nostre tante perversioni…).
Personalmente salgo sul tatami perché mi piace, mi diverto, scopro molte cose di me, del mio corpo, delle mie emozioni, della mia psiche. Tutto questo potrebbe servirmi in caso di aggressione? Non lo so, e – onestamente – spero di non doverlo scoprire mai.
Un praticante assai più bravo di me (e non ci vuole molto…) una volta disse che “l’arte marziale più forte è quella praticata da chi è disposto a morire”, e non ho dubbi in proposito, ma altrettante certezze ho in merito al fatto che semmai dovessi decidere della mia o altui vita, non lo farei per un parcheggio conteso, per un apprezzamento volgare a mia moglie o per difendere le poche decine di euro che ho in tasca.
Pratico ricordando sempre (e citando spesso), l’aneddoto raccontato da uno dei tanti Maestri che ho avuto la fortuna di incontrare, che raccontò di uno stage di Kendo in Inghilterra dove distribuirono come cadeau una maglietta con su scritto più o meno: “Pratico Kendo per avere un motivo per uscire a bere una birra con i compagni di allenamento”.
Ecco, io la penso così, perché una aggressione potrebbe non avvenire mai, i compagni di allenamento li incontri ogni volta che sali sul tatami.
 
p.s. il fatto che io scriva queste povere riflessioni nel giorno in cui si ricorda la nascita di Saito Morihiro Sesei, un Maestro che tutto era fuorché inefficace e che pure non ha mai “sboroneggiato” sul tatami è solo una fortuita – na forse non casuale – coincidenza

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“Piccolo manuale strategico per trainer di arti marziali”, Massimo Fenu

3/4/2017

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“Piccolo manuale strategico per trainer di arti marziali”
Autore: Massimo Fenu
Pagine: 179

 
Come ricordo spesso, soprattutto a me stesso, sono stato particolarmente fortunato nella mia carriera di praticante marziale ed ho incontrato diversi Maestri ed insegnanti capaci e tanto bravi da riuscire a far imparare qualcosa anche ad una zucca come me. Alcuni di questi li frequento regolarmente, con altri le strade si sono incrociate una o due volte, ad altri ancora non ho mai avuto il piacere e l’onore di stringere la mano, non avendoli mai incontrati di persona.
 
Massimo Fenu appartiene a quest’ultimo gruppo, eppure – come per gli altri – lo considero a buon diritto un mio insegnante, perché grazie a lui ho imparato molte cose. Ci conosciamo – sia pure virtualmente – da diversi anni, ho avuto il piacere di apprezzare la sua profonda conoscenza e la sua non comune capacità didattica in diversi momenti, sia attraverso i suoi scritti disponibili sul Web che attraverso le sue pubblicazioni cartacee.
 
Da qualche tempo, Massimo si è dedicato ad una missione tanto improba quanto meritoria, cercare di fornire strumenti didattici efficaci ed efficienti a chi ha scelto di dedicarsi all’insegnamento delle Arti marziali. E’ ben noto a chi frequenta anche solo superficialmente Dojo e sale d’armi che molti sono coloro che sanno, ma molto pochi sono coloro in grado di trasmettere con competenza ed in maniera strutturata il loro curriculum didattico. Va detto a parziale discolpa degli incapaci e ad ulteriore merito degli efficaci, che fino ad oggi pochissime sono le Scuole, le Federazioni o i singoli Maestri che si siano posti il problema di organizzare in maniera razionale il loro bagaglio tecnico e fino ad oggi si è oscillato da imitazioni più o meno in buona fede del “metti la cera, togli la cera” di karatekiddiana memoria, basato su infinite ripetizioni del singolo gesto senza nessuna spiegazione sul come e sul perché lo stessa gesto vada eseguito in un modo piuttosto che in un altro, ad “ipse dixit” con gli occhi a mandorla, in cui a qualunque perplessità ci si sente rispondere “si è sempre fatto così”.
 
Massimo Fenu è partito dalle sue esperienze, dalle sue conoscenze e dal risultato del suo addestramento ed ha scritto il manuale che avrebbe voluto leggere vent’anni fa, quando ha iniziato ad insegnare. Rimarrà deluso chi si aspetta segreti mirabolanti e soluzioni miracolose; i consigli di Massimo sono semplici (ma mai banali!), alla portata di tutti coloro che abbiano voglia di applicarli e coraggio per mettere in discussione “modus operandi” già noti. Il manuale (piccolo solo nel titolo, non certo nei contenuti) evidenzia concetti essenziali, analizzati anche attraverso esempi pratici ed uno stile diretto e per nulla pomposo. Come spiega l’Autore, il manuale può essere letto in diversi momenti, magari consultando solo la singola sessione che affronta il problema con cui ci si sta confrontando. Poca teoria e molti fatti, perché – come spiega Massimo Fenu: “L’insegnamento è materia viva ed estremamente pratica”, ed ogni insegnante ed ogni classe sono diverse dalle altre, e ciascuna deve trovare il proprio modo unico ed originale per funzionare al meglio, pur basandosi su principi comuni e universali perché “Un buon insegnante inizia dove finisce la presunzione di sapere come si fa qualcosa per tutti ed in qualsiasi condizione”.
 
L’Ego di qualcuno potrà risentirsi degli inviti alla coerenza ed alla sincerità che ricorrono nel libro, altri potranno dirsi (quasi certamente mentendo…) che i consigli ed i suggerimenti riportati nel manuale sono a loro inutili, altri ancora potranno trovare difficile assumersi la responsabilità non solo tecnica, ma etica, di essere degli insegnamenti che trasmettono e degli allievi che li ricevono. Massimo Fenu spiega come fare marketing efficace, come considerare il valore di Tempo e Denaro, sia che li si chieda sia che li si offra ad altri, rimarca l’utilità di una programmazione lungimirante ed i rischi di ingabbiarsi in uno schema incapace di evolvere ed adattarsi alle situazioni contingenti, “distrugge” la figura dell’insegnante come mero dispensatore di informazioni (non di rado mentre è assiso su un piedistallo….) e lo classifica, in maniera più moderna ed efficace, come un “facilitatore”,  capace di predisporre un ambito sicuro in cui l’atleta che a lui si affida possa fare esperienza di un determinato gesto atletico.
 
Questo manuale distrugge molti alibi, chiama tutti coloro che vogliano intraprendere la strada dell’insegnamento ad un lavoro continuo e costante di miglioramento, di verifica dei risultati e di adeguamento delle azioni, attingendo tanto a principi di saggezza millenaria quanto a moderne tecniche, come lo “OODA loop”. Al termine di ogni capitolo, una scheda riassuntiva degli argomenti trattati ed il link alle pagine del sito internet www.futurotrainer.it dove trovare ulteriori risorse ed esercizi per approfondire quanto presentato nelle pagine del Manuale.
 
Un manuale consigliato sia a chi sta cominciando a muovere i primi passi nel delicato ruolo di insegnante che a chi ha già qualche anno di esperienza nel ruolo, senza escludere che possa essere interessante anche a chi si cimenti con allievi anche al di fuori dello specifico mondo delle Arti marziali.



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“Ju Jitsu - Metodo Bianchi”, Giancarlo Bagnulo

1/7/2017

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"Ju Jitsu - Metodo Bianchi”
Autore: Giancarlo Bagnulo
Collana: Le Vie dell’Armonia – n° 61
Pagine: 224
Formato: 17 x 24 cm
ISBN: 9788879844611

http://www.lunieditrice.com/JU-JITSU-METODO-BIANCH

​Dopo molti mesi di gestazione, finalmente è stato pubblicato questo libro, dedicato ad un “Metodo” didattico tutto italiano che – piaccia o meno – si è comunque conquistato un posto di rilievo nel mondo delle arti marziali orientali.
Come recita chiaramente il sottotitolo, il volume offre una ampia panoramica delle tecniche raggruppate nei cinque settori del “Metodo Bianchi” e dei relativo concatenamenti, che costituiscono il programma didattico che va dalla cintura nera alla cintura marrone. Il volume prende il posto dell’ormai introvabile “Programma Tecnico di Ju Jitsu”, sempre curato dal M° Bagnulo, che - edito più di vent’anni fa dall’allora FILPJK – ha contribuito a formare generazioni di jutsuka.


Rispetto al suo predecessore,il volume “Ju Jitsu - Metodo Bianchi” è corredato da testi in tre lingue (italiano, inglese e francese) a testimonianza dell’interesse che questo metodo didattico riscuote anche oltralpe. Altra fondamentale differenza è il ricchissimo apparato iconografico; se nella versione del 1995 erano due o tre disegni ad illustrare ciascuna delle tecniche presentate, in questo volume vengono invece utilizzate immagini ampie e dettagliate, con evidente vantaggio per il fruitore. Il M° Giancarlo Bagnulo, ottimamente coadiuvato da diversi collaboratori, offre per ciascuna delle tecniche presentate una esauriente disanima, senza peraltro dilungarsi nel tentativo – sostanzialmente inutile – di addentrarsi in verbose spiegazioni che poco o nulla aiuterebbero il lettore. Ovviamente non è possibile imparare il Ju Jitsu solo leggendo questo libro, come non è possibile addestrarsi in qualsiasi arte solo studiando la teoria, percui il libro va inteso piuttosto come un promemoria utile - se non indispensabile, specie per chi non ha la fortuna di poter contare su un insegnante a portata di keikogi.

​Oltre alla descrizione illustrata delle tecniche del “Metodo Bianchi”, il volume comprende due capitoli curati dal M° Giacomo Spartaco Bertoletti, un excursus sulle origini di quella che è per molti la madre di tutte le arti marziali orientali a mani nude,  ed una panoramica storica dell’arrivo e diffusione in Italia del Ju Jitsu. Quantomai opportuno anche il breve ma significativo richiamo all’importanza dello “Zanshin” al termine della esecuzione di una tecnica, i cenni storici sulla nascita e sviluppo del “Metodo Bianchi” e l’illustrazione dei principi alla base di ciascuno dei cinque settori del Metodo.

Il corpus principale del volume è – ovviamente – costituito dalla illustrazione delle varie tecniche, raggruppare in funzione della progressione didattica indicata dal colore delle varie cinture indossate dal praticante ad evidenziazione del grado conseguito, per finire poi con alcuni esempi di applicazione di alcune delle tecniche nello specifico campo della difesa personale.
Il volume si presenta nella veste sobria ed elegante a cui ci ha abituato la Luni editrice, con una grafica chiara e testi ottimamente leggibili, tutte caratteristiche che aggiungono ulteriore valore ad una opera di cui si sentiva da molti anni la necessità.

Unici due peccatucci venalissimi – a parere di chi scrive (riportati per non far sembrare eccessivamente adulatoria questa recensione) sono una certa autoreferenzialità del M° Bertoletti in un paio di note a corredo del capitolo dedicato alla storia del Ju Jitsu in Italia e la mancata illustrazione fotografica dell’attacco portato da Uke (presa o atemi che sia) e quindi di come quindi comincia la tecnica presentata (mancanza che non crea problemi a chi la tecnica descritta la conosce, ma che potrebbe mettere in leggera difficoltà qualche principiante). Rilievi pignoli al limite della pedanteria, che non scalfiscono minimamente il valore e l’interesse di questo libro, consigliato non solo agli Jutsuka, ma anche a tutti coloro che vogliano avere una spiegazione chiara e lineare di come e quando si applicano tecniche e principi della “Dolce Arte”.
 
Giancarlo Bagnulo, Maestro 7 Dan di Ju Jitsu, Istruttore 3 Dan di Judo, insegnante tecnico di cultura fisica, abilitato all’insegnamento del metodo MGA (Metodo Globale Autodifesa), è esperto internazionale di Ju Jitsu e Self Defense; dal 1985 è membro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu e della Commissione Nazionale d’esame per la cintura nera e gradi superiori, della quale è divenuto Presidente nel 2014. È stato docente di difesa personale MGA presso l’Istituto di Formazione della Polizia Penitenziaria, il Centro di Specializzazione della Guardia di Finanza e per i corsi di formazione degli Istruttori della Guardia Costiera. Dal 1998 tiene regolarmente stages di Ju Jitsu e difesa personale a Cuba per conto della Federazione Cubana di Arti Marziali che gli ha conferito il 7 Dan e la carica onorifica di “Assessore Tecnico Internazionale”. Collabora regolarmente con le Federazioni sportive di alcuni Paesi africani (Mali, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Tunisia ed Etiopia) dove ha diffuso la pratica del Ju Jitsu e svolto corsi di formazione tecnica. 

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"Lei non sa chi sono io!"

10/20/2016

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Il buon vecchio Nanni Moretti spiegava in un suo film che “Le parole sono importanti”.
Questo è vero nella vita quotidiana in generale, ed è quindi vero anche in altri ambiti specifici della stessa, se la logica ha una sua ragione d’essere.

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Stage Tecnico Nazionale della Wudang Fu Style Association, Lignano settembre 2016

9/28/2016

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Con Shigemi Inagaki sensei e Paolo Corallini sensei - Osimo, settembre 2016

9/28/2016

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Post keiko a San Benedetto del Tronto con Norio Sato sensei

9/28/2016

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Stage di Takemusu Aikido diretto da P. Corallini Shihan, Ostia 20-21 febbraio 2016

2/22/2016

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Mostrare agli altri, dimostrare a sé stessi (ovvero: perché facciamo quello che facciamo?)

12/20/2015

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Come ho scritto altre volte in passato, il ritorno a casa dopo una sessione di pratica è una occasione proficua per far sedimentare prima e far emergere poi impressioni e sensazioni originate dalla pratica stessa. Se questo è vero per eventi straordinari con un seminario o un corso intensivo, è altrettanto vero anche per la “semplice “ (e le virgolette sono d’obbligo…) lezione quotidiana.


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Stamattina alcuni praticanti del nostro Dojo hanno partecipato ad un evento pubblico che vedeva la presenza di molte altre discipline marziali e sportive; un momento prezioso per confrontarsi con gli altri ma anche con sé stessi, a mio avviso. Al termine di qualche ora di pratica condivisa, non posso che essere contento di aver speso così questa mattinata, e questo per una serie di motivi personali, ma che vorrei condividere con la speranza di stimolare ulteriori riflessioni in chi leggerà queste note. Premetto subito che sarei stato felice se la partecipazione del nostro Dojo fosse stata più numerosa; gli assenti avevano certamente un valido motivo per non esserci e non voglio assolutamente farli sentire “colpevoli” per questo; spero di tutto cuore che il tempo speso da loro in altri impegni sia stato tanto proficuo quanto è stato per me. La prima riflessione che faccio e che vorrei che anche gli altri facessero è proprio questa; chiedersi, sinceramente e onestamente, perché si è voluti essere presenti e perché invece si è deciso di non esserci; la risposta è dovuta solamente a sé stessi  e – per quanto mi riguarda – è illuminante nel chiarirsi sugli obbiettivi e sulle motivazioni della pratica in Dojo. Ripeto e ribadisco, nessuno si senta accusato di “alto tradimento” per la assenza perché so che ognuno riteneva di avere validissimi motivi per non esserci; la riflessione dovrebbe essere più generale e complessiva, e posso assicurare che più a disagio ci si sentirà nell’affrontarla e più utile questa sarà alla fine, il che è poi vero per qualunque pratica si affronti. Valga a confermare questo invito all’analisi la consapevolezza che di ogni situazione dobbiamo saper cogliere tanto il lato evidentemente “omote” che quello più “ura” più nascosto, il luminoso “yang” e l’oscuro “Yin”, l’apparente punta dell’iceberg che spunta dal mare e la ben più corposa massa subacquea che permette a quella superiore di apparire: ad osservare la nostra esibizione c’erano – tra gli altri – un allievo praticante di Aikido ed un altro praticante di Tai Chi Chuan e Pa Kua: entrambi hanno visto la stessa cosa, ma ciascuno ha tratto dall’osservazione riflessioni diverse in base alla propria esperienza.

Tornando al sottoscritto, doverosi i ringraziamenti per chi ha voluto condividere con me questo momento pratica – anche sacrificando qualche impegno familiare, ancor più pressante visto il periodo festivo; un ringraziamento dovuto non solo e non tanto per la quantità di tempo speso, ma soprattutto per la qualità dello stesso; conosco tutti da anni, eppure è sempre una piacevole sorpresa constatare quanto la serietà dell’impegno riesce a convivere con la serenità della pratica; nessun adepto del “Kobra Kai”, nessuno che si sentisse un guerriero invincibile, tutti pronti a mettersi in gioco, a spiegare a chi era meno esperto ed a farsi “storcere le braccine” (come direbbe un fratelli di pratica) per sperimentare le tecniche proposte. Un doppio grazie a Giuseppe, che nonostante i tanti mesi di lontananza dal nostro tatami non ha esitato ad andare a prendere il keikogi da casa e ad unirsi a noi, ed un quadruplo grazie ai due karateka yudansha che si sono “tuffati” nella nostra pratica con umiltà e rispetto. Ancora grazie a chi ci ha fatto sentire la sua amicizia assistendo alla nostra esibizione e vigilando sui nostri indumenti.

Ultimo e doveroso grazie va ai miei Maestri, i cui ammonimenti, consigli ed indicazioni mi sono ritrovato ancora una volta a ripetere e citare; è stata una emozione per me, questa più di altre volte, perché mi ha dato la sensazione quasi fisica che qualcuno dei tanti semi di conoscenza che hanno avuto la bontà di donarmi sta forse germogliando e allungando le sue tenere radici in me, permettendomi di migliorare ancora un po’ la mia pratica.

Le ore sono volate, come al solito – rispettando una tradizione oramai consolidata del nostro Dojo – il programma che avevamo intenzione di eseguire è stato quasi completamente stravolto, questa volta a causa delle condizioni logistiche su cui ci siamo trovati ad operare ed anche questo è un utile spunto di riflessione: prendere tecniche e principi solitamente sperimentati in un luogo privato e protetto come il Dojo e riportarli in una piazza pubblica dal pavimento umido e scivoloso, circondati da gente curiosa e musica ad alto volume e riuscire a farlo in maniera attenta a non creare danni a sé stessi, al compagno di pratica o agli incauti spettatori che ti passano troppo vicino non è cosa facile, ed ancora meno lo è il farlo mantenendo un atteggiamento sereno e pronto ad accogliere il “qui ed ora”; Gunny Highway ci avrebbe consigliato di “improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo”, O’Sensei ci avrebbe invitato ad “armonizzarci” in maniera efficace con la situazione; io non so se e quanto non li avremmo delusi, so però che nessuno di noi si è fatto male (nonostante la situazione "scivolosa"…), qualcuno degli spettatori si è incuriosito alla nostra pratica ed io sono tornato a casa più contento e soddisfatto di quando sono uscito, quindi direi che il bilancio è più che positivo. 

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Meditare? Non è facile ma è semplice! Un illuminante manuale a cura di Marco Rubatto

10/31/2015

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​“E’ semplice, ma non è banale”. Con questa frase al limite del sibillino si potrebbe racchiudere l’essenza della pratica della meditazione, una disciplina (nel senso più ampio del termine), che racchiude e raccoglie diverse sfaccettature, anche notevolmente diverse tra loro.


La meditazione va di moda, ammettiamolo, e più di qualcuno ritiene che basti mettersi a sedere in un posto tranquillo ad occhi chiusi, magari assumendo una postura al limite del contorsionismo, bruciando qualche incenso e facendo suonare un disco di musica rilassante per avere tutti gli ingredienti necessari ad una efficace pratica meditative. Purtroppo o per fortuna così non è, meditare è apparentemente semplice , e per certi aspetti lo è anche nella sostanza, ma anche le pratiche più semplici richiedono il rispetto di regole e precauzioni. A fornire una utile bussola per navigare nel “Mare Magnum” di questa pratica è Marco Rubatto, che con il suo “Introduzione alla Meditazione” (Editore: youcanprint, ISBN: 9788891131591) appronta un utile ed agile manuale in grado di fornire ben più che le indicazioni indispensabili per approcciarsi consapevolmente a questa pratica.
 
In poco più di un centinaio di pagine, con una scrittura fluida ausiliata da immagini esplicative, Marco Rubatto fornisce un quadro esaustivo dei vari aspetti di questa pratica, che può essere approcciata da tutti con utilità e vantaggio. A differenza di molti sedicenti Guru ed improvvisati Maestri, l’Autore sa bene di cosa parla, ed anche per questo – oltre che per la sua evidente formazione intellettuale – riesce a trasmettere con chiarezza ed efficacia i concetti alla base di questa pratica. Interessante il suo approccio per “approssimazioni successive”, così come l’ampia panoramica delle tradizioni meditative più conosciute, tanto in Oriente quanto in Occidente.  Altrettanto interessante l’analisi, condotta con sincerità e chiarezza senza però mai scendere nel pregiudizio e nella supponenza, tra le varie modalità di esecuzione (posizioni del corpo, occhi aperti o chiusi? I tempi della pratica, il rapporto della musica e del silenzio), così come ampia ed esaustiva è la parte dedicata ad una analisi “tecnica” dei principi e degli effetti della Meditazione, affrontandone gli effetti biologici, il rapporto con la mente ed il cervello e le sue connessioni con la salute.
 
Altrettanto interessante, e vera ciliegina sulla torta, è la analisi di un aspetto tanto importante quanto spesso colpevolmente taciuto al riguardo di pratiche meditative condotte con leggerezza e senza l’ausilio di una guida affidabile. Marco Rubatto affronta nel suo libro anche i pericoli e gli abbagli che possono derivare da questa pratica, e lo fa essendo chiaro quanto più non si potrebbe, evitando però – ancora una volta – un tono saccente e verboso. Dei pericoli che descrive è in effetti assai difficile dire, specie a chi della pratica meditativa conosce poco o nulla,  ed a Marco Rubatto va reso l’ulteriore merito di affrontare l’argomento – come lui stesso dice “senza peli sulla lingua”.
 
Il libro si presta come utile manuale a chi della Meditazione voglia cominciare ad apprendere i rudimenti, ma si rivela altrettanto interessante anche per chi già abbia una qualche dimestichezza con questa pratica, non foss’altro che per le frasi riportati in testa ad ogni pagina dispari, che costituiscono, ciascuna da sola, interessanti suggerimenti, illuminanti indicazioni ed efficaci “semi” meditativi.

​Un libro più che consigliato quindi, scritto con Cuore sincero e con Mente limpida, due degli attributi che quasi certamente l’Autore avrà ottenuto anche grazie alla sua pluridecennale esperienza in questo campo.
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