Come premesso, riportiamo in grassetto il "kuden" di O'Sensei, seguito in corsivo da una traduzione più o meno letterale e poi da una sua breve spiegazione. Motivi di spazio e, soprattutto, la necessità che ognuno dei lettori ne percepisca il senso in base alle proprie capacità fanno si che la illustrazione di ogni "kuden" si riduca a poche righe, che vogliono essere solo una spiegazione indicativa e non certo esaustiva del pensiero di O'Sensei Ueshiba.
Come in tutte le Arti, anche in Aikido l'insegnamento è stato ed è prevalentemente orale, previlegiando il rapporto diretto e personale tra il Maestro e gli allievi. a questo proposito è quindi fondamentale il "Kaiso kara kuden desu" (insegnamento orale dal Fondatore). Questo consiste in una serie di motti, brevi frasi o descrizioni che esprimono un principio o una tecnica. Molti degli insegnamenti che riportiamo di seguito hanno una formula spesso metaforica ed a volte oscura, espressa in forma condensata ed evocativa. Il motivo è da ascriversi sia alla loro natura "spirituale" che all'intento di celare la conoscenza ai semplici curiosi, poichè ogni formula rivela significati differenti a seconda della capacità di comprensione dell'allievo. Quanto sopra valga quindi come un avvertenza a non giudicare superficialmente quanto ci apprestiamo a leggere: ogni frase andrebbe non solo letta e fatta propria nel suo significato letterale o tecnico ma meditata profondamente nel tentativo di percepire quella scintilla di Conoscenza che O'Sensei Ueshiba vi ha voluto racchiudere a beneficio di chi, percorrendo la Via da lui indicata, cerca oggi come allora di sperimentare l'armonia con l'universo.
Come premesso, riportiamo in grassetto il "kuden" di O'Sensei, seguito in corsivo da una traduzione più o meno letterale e poi da una sua breve spiegazione. Motivi di spazio e, soprattutto, la necessità che ognuno dei lettori ne percepisca il senso in base alle proprie capacità fanno si che la illustrazione di ogni "kuden" si riduca a poche righe, che vogliono essere solo una spiegazione indicativa e non certo esaustiva del pensiero di O'Sensei Ueshiba.
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Spesso nella pratica nel Dojo, si sentono citare due termini che hanno importanza fondamentale nella efficacia e nella comprensione delle nostre Arti: parliamo di Hara e Ki. La cultura orientale non divide, o meglio non differenzia, l'energia fisica da quella mentale e psichica: l'energia è unica, mente e corpo rappresentano un unico fenomeno che, coordinato, permette una vita equilibrata. Il luogo in cui avviene questa coordinazione è individuato nell'Hara (addome): esso è di fatto il "centro" di ogni individuo a cui tutte le culture attribuiscono grande importanza. Per quanto riguarda la nostra cultura, ricordiamo la figura elaborata da Leonardo da Vinci dell'uomo compreso nel cerchio e nel quadrato. . Seminario internazionale di Daito Ryu Aikijujutsu diretto da Sasaki Masami Shihan e Norio Sato Sensei, allievi diretti di Sano Matsuo Shihan, Soke della Shiseikan di Kitami
L’autore era un samurai che fu al servizio del daimyo Nabeshima Mitsushige (1632-1700) del feudo di Saga. Quando il suo signore morì, egli divenne monaco buddhista col nome di Jouchou e si ritirò in monastero. Durante questo periodo compose, grazie all'aiuto dell'allievo Tashiro Tsuramoto, lo Hagakure, l'opera sullo spirito e il codice di condotta del samurai. Il titolo Hagakure significa letteralmente "nascosto dalle foglie" (oppure "all'ombra delle foglie"; il titolo completo era Hagakure kikigaki, ovvero “annotazioni su cose udite all'ombra delle foglie") e ben si adatta a un testo che per centocinquant'anni circolò segretamente fra i samurai indicando come comportarsi in maniera adeguata al loro compito. Antica quanto l'arte dell'arco e delle frecce, e forse ancora di più, era l'arte del bastone e di altri strumenti spuntati più o meno simili. Quest'arma, che per dimensioni e forma andava dalla tipica clava al modello allungato dell'asta di lancia, è vecchia quasi quanto I'umanità, e vi sono molti indizi che anche il bushi giapponese la conoscesse bene e vi si esercitasse assiduamente. In un certo senso, l'arte di usare come armi il bastone e simili strumenti di legno rappresenta la fase di transizione dai metodi di combattimento con le armi a quelli senz'armi e questo fatto contribuisce a spiegare la popolarità del bastone tra i membri di quelle classi sociali che detestavano l' idea di spargere il sangue dei loro simili. Oltre alla osservanza delle formalità stabilite dal Reigi (etichetta), nel Dojo e sul tatami è bene tenere sempre presenti alcune regole per la pratica che, seppure meno vincolanti di queste, sono parimenti importanti, tanto da essere state affisse dal fondatore su una parete del Hombu Dojo perché fossero di costante monito per tutti i praticanti.
Quello sopra riportato è un detto giapponese che esemplifica il concetto di amicizia e che tradotto significa “Approfittare dell'ombra di un medesimo albero, dissetarsi alla corrente di un medesimo ruscello, è legarsi con vincolo di amicizia per ritrovarsi poi ancora nell'altro mondo”.
di Stanley Pranin
Chiunque inizi la pratica dell’Aikido è motivato da un particolare scopo o da una serie di obbiettivi. Tra i più comuni ci sono il desiderio di imparare l’autodifesa, sviluppare il benessere fisico o cercare compagnia. Con il tempo queste mete iniziali assumono un diverso significato quando uno inizia a sperimentare la trasformazione che l’Aikido genera nella sua vita. Poiché l’Aikido – e le arti marziali in generale – sono discipline che insegnato tecniche capaci di ferire o uccidere un avversario, queste devono essere praticate con il senso di serietà ed attenzione ai dettagli dovuto ai rischi relativi. Letteralmente “Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero”. Questa è una delle espressioni più note del mondo dei samurai giapponesi. Il fiore di ciliegio è un po’ il simbolo del Giappone ed il guerriero, suggerisce il motto, è (o dovrebbe essere) l’uomo ideale, il migliore.
Uno degli ammonimenti che più frequentemente vengono impartiti nel dojo comprende la pronuncia di questa frase, che in giapponese significa “guardare una montagna lontana”. Si invita così il praticante ad avere una visione di insieme dell’avversario, piuttosto che guardare solamente i suoi occhi, le sue braccia o i suoi piedi bisogna osservare ogni suo singolo aspetto, dalla contrazione involontaria del viso al ritmo della sua respirazione, arrivare a comprenderne le intenzioni prima ancora che queste vengano manifestate.
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Marzo 2017
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