Una delle maggiori difficoltà che molti principianti incontrano nella pratica marziale sta nell’eseguire tecniche o sequenze di movimenti che non riescono a spiegarsi. La nostra mentalità occidentale, permeata di razionalismo, ricerca sempre un “perché” e se fosse per qualcuno, sul tatami si dovrebbe più parlare che agire.
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Una delle obiezioni che più spesso si possono ascoltare da chi assiste per la prima volta alla pratica della nostra Arte è che gli attacchi appaiono deboli, falsi o irreali. In particolare le critiche si esprimono con commenti del tipo <<Nessuno attaccherebbe così>>, <<Un combattente reale potrebbe tentare di reagire>> oppure <<Tore è molto scoperto>>. Queste osservazioni sono spesso pronunciate come se chi parla fosse una autorità nel campo dei principi di attacco; In realtà ci sono assai poche persone che hanno allenamento ed esperienza tali da renderli capaci di individuare un buon attacco, quando lo vedono.
La mitologia occidendale ha tramandato ai posteri la memoria di spade quasi magiche, dalla Durlindana del paladino Orlando alla Excalibur di Re Artù; in maniera diversa anche in Oriente la spada è qualcosa di più di una semplice arma; infatti, secondo il “bushido” (il codice di onore dei Samurai), nei periodi di guerra le spade sono lo strumento mediante il quale il pensiero dei samurai si concretizza in azioni. I professionisti della guerra si impegnano quindi a perfezionarle, decorarle e definirne le norme d'uso affinché la loro bellezza esteriore ne rispecchi la nobiltà dell'impiego. La spada simboleggia l'anima stessa del samurai e perciò è un oggetto sacro e prezioso.
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La “ch” ci legge come la “c” di città La “j” si legge come la “g” di giù La “g” si legge come la “g” di gatto La “k” si legge come la “ch” di chiosco La “sh” si legge come la “sc” di scivolo Awase ................. Armonia, invito ad attaccare Atemi .................. Percossa Ari-gaeshi ............ Cambio di guardia frontale Ayumi-ashi .......... Avanzamento “ad arco” Nel momento in cui una persona calca il Tatami (la materassina su cui si pratica), diviene membro di una comunità che osserva regole particolari e precise, comuni a tutti i luoghi in cui si pratica Aikido, con l'eccezione di piccole usanze, che possono variare da Dojo a Dojo, ma sempre in ottemperanza allo spirito Aiki. Rammentando che il Dojo è letteralmente il “Luogo in cui si pratica la Via", l'insegnante, gli allievi ed i collaboratori sono tenuti al rispetto per il luogo e per le persone che vi si trovano. In ciò non vi è nulla di più o di meno di quanto conforme alle regole delle buone maniere e di educazione: vi sono solo delle regole particolari derivate dalla tradizione giapponese, che sono considerate importanti per il prosieguo della Via sia tecnica che spirituale. Brossura, 384 Pagine, Editore: Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, Data di pubblicazione: Novembre 2008 Sono sempre più convinto che offrire la propria esperienza, per quanto modesta, a chi ne sa meno di noi consente di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze. Mi rendo sempre più conto che un argomento non lo si conoscerà mai del tutto, che ci sarà sempre un punto da approfondire, un aspetto da sviscerare, uno sviluppo da seguire. Confrontarsi con un principiante, con le sue domande, con le sue curiosità, con i suoi dubbi e le sue perplessità è una iniezione di nuova linfa, è la possibilità di ritornare ad immergersi nella “mente del principiante” che Deshimaru Taisen e tanti altri Maestri hanno spesso sottolineato come atteggiamento imprescindibile per una pratica corretta. Per questo motivo sono sempre molto contento quando ricevo domande e richieste di chiarimento, perché ritengo che questo mi aiuti ad essere più chiaro nelle mie spiegazioni e – nel contempo – che il seme che ho lanciato abbia attecchito, sia germinato ed abbia cominciato a far spuntare i primi germogli. Tiziana Colasanti, “Quell'arte che ti cambia la vita”, Editore “Il Filo”, 2006, 103 pagine, ISBN 978-88-7842-332-7, €14,00. Tiziana Colasanti, “La leggenda della gru bianca”, Editore “Caribou”, 2009, 119 pagine, ISBN 978-88-96514-02-3, €8,00. Cosa hanno in comune un quadro di Bosh, un assolo di chitarra di Santana o una scultura di Giacometti? Certamente il fatto che esprimono nella loro singolaritàlo stile ed il carattere dell'autore. Chiunque conosca, anche solo superficialmente, le opere di uno degli artisti citati lo riconosceràcome autore anche di una opera mai vista o ascoltata prima. La stessa cosa si può dire dei racconti contenuti in questi due libri: nonostante una ambientazione ed uno stile narrativo abbastanza diverso tra i due volumi, è praticamente impossibile non cogliere la personalità dell'autrice, che ne segna in maniera indelebile trama e sviluppo dei racconti. (Traduzione ed adattamento di “Controlling emotions in karate sparring & fighting” di David Walker) Il kumite, ovvero la pratica dello sparring nel Karate mette alla prova le emozioni tanto quanto la mente ed il corpo. L’emozione derivante dalla paura di essere feriti, per esempio, è la più importante sfida personale del kumite, seguita dalla rabbia e dalla frustrazione. In questo articolo, tratterò di come – in base alla mia esperienza – la rabbia e la frustrazione hanno portato gli avversari a commettere degli errori tecnici ed a perdere l’incontro, quindi spiegherò come le tecniche di respirazione, la corretta postura ed il costante allenamento nel kumite possano contribuire al controllo della rabbia e della frustrazione e portare a maggiori successi nello sparring. (Traduzione ed adattamento di “Approach - Close – Entry” di Hunter B. Armstrong)
Il combattimento contro dei nemici include tre componenti vitali, ovvero: Approccio, Avvicinamento e Entrata. Questi tre componenti sono solitamente compresi nei sistemi di addestramento al combattimento classico (ad esempio, quelli delle antiche arti marziali) e sono ancora oggi parte indispensabile dell’addestramento di piccole unità militari tattico-operative. D’altra parte, l’integrazione di Approccio, Avvicinamento, Entratasono solitamente trascurati in molti sistemi di combattimento sviluppati di recente, sia a mani nude sia che comprendano armi manesche o da fuoco. Per la maggior parte, i sistemi moderni tendono a ignorare tutto quello che precede il momento dell’impatto per la entrata sull’avversario, incuranti degli altri due terzi del conflitto, ovvero Approccio eAvvicinamento. L’ APPROCCIO comincia dal momento in cui si ha consapevolezza del rischio o minaccia avversaria. E’ a questo punto, all’incirca a 7 metri di distanza, che bisogna cominciare a muoversi verso l’avversario in preparazione all’ “AVVICINAMENTO” per dominare la situazione. In sostanza, l’Approccio è relativo alla direzione che bisogna prendere per prendere contatto con l’avversario. L’ Approccio è sempre parte di uno scenario di combattimento, ed è un aspetto particolarmente importante del combattimento stesso, essendo basato – ed allo stesso permettendo di migliorare - la consapevolezza e sulla dominanza combattiva. Questo è il principale livello di confronto in cui bisogna sottrarsi ed evitare una potenziale situazione di confronto fisico oppure agire per finalizzare l’azione. Nelle tattiche militari, questo stato è quello in cui si dispongono i protagonisti di un assalto. L’AVVICINAMENTO è la fase di riduzione della distanza dal nemico al fine di giungere alla possibilità di colpire, ovvero la fase immediatamente precedente a quella di entrata in cui si stabilisce il contatto. In questa fase la direzione di movimento può cambiare quando ci si approssima all’avversario e può essere condotta mantenendo una velocità costante o modificandola a seconda delle necessità. La combinazione di un efficace approccio e avvicinamento possono determinare il risultato di un confronto prima dell’effettivo contatto, o perfino rendere superfluo il contatto stesso. L’ENTRATA è la fase finale dell’attacco ed include l’esecuzione dei colpi, delle percosse o delle prese di bloccaggio necessarie per ottenere un effetto fisico sull’avversario. Mentre gli antichi sistemi di addestramento al combattimento generalmente includevano e addestravano i principi di Approccio, Avvicinamento, Entrata come un insieme integrato, molte delle moderne arti marziali, sistemi di autodifesa e discipline ricreative partono dalla Entrata, quasi sempre trascurando la fase di Avvicinamento, e senza preoccuparsi dell’Approccio. In merito al rapido avvicinamento verso un avversario, le ricerche compiute sia dai militari che dagli etologi mostrano che precipitarsi addosso ad un avversario (uomo o animale che sia) ha un notevole effetto dirompente sul suo equilibrio. Muoversi rapidamente contro un avversario è notevolmente efficace per “prepararlo” ad essere bersaglio dei nostri colpi, permettendoci di ottenere un maggiore controllo e supremazia nel colpire. Questo concetto è ampiamente contemplato ed utilizzato nelle arti marziali classiche, ma ancora una volta bisogna constatare che è invece perso o trascurato nelle arti moderne, e questa trascuratezza comporta una mancanza del feedback combattivo. Nel caso dei sistemi di combattimento sviluppati di recente, compresi i moderni sistemi a mano armata come le moderne discipline che hanno tentato di riprodurre i sistemi classici, questi sono stati sviluppati per la maggior parte in un ambiente artificiale, in un ambiente con combattivo, senza nessun feedback combattivo. Questi metodi sono stati ulteriormente stravolti per adattarli ad un impiego sportivo o competitivo. A questo proposito, è importante sottolineare che nella maggior parte dei sistemi pre-moderni di addestramento al combattimento, la forma predominante di addestramento era organizzata tramite modelli di movimento predefiniti, strutturati ma flessibili. Era in questo contesto strutturato che gli aspetti vitali dell’approccio e dell’avvicinamento potevano essere insegnati ed appresi on profitto. Di contro, la gran parte degli sport da combattimento, sia a mani nude (pugilato, lotta, judo, karate, taekwondo, ecc.) che armate (scherma, kendo, ecc.) partono a circa un passo i distanza dalla entrata. La entrata è, ovviamente, l’area di combattimento più interessante ed appassionante, che sono gli obbiettivi che si propongono di raggiungere gli sport da combattimento. D’altro canto, in un combattimento reale, trascurare l’approccio e l’avvicinamento – due delle tre componenti di un combattimento – può avere conseguenze fatali per chi si macchia di questa negligenza. (Traduzione ed adattamento di “Basic Physical Principles of Martial Arts and Ways” di Ed Thibedeau)
Nella maggior parte delle Arti e delle Vie Marziali gli istruttori parlano di “principi”, e questo implica la necessità di comprendere i principi per poter poi eseguire le tecniche comprese in qualsiasi stile di Arte o Via marziale si pratichi. Molto spesso gli istruttori forniscono solo una breve traduzione del termine giapponese utilizzato, senza esplorare il significato completo della parola. In alcuni casi l’omissione di una dettagliata spiegazione verbale è intenzionale, poiché l’obbiettivo è che gli studenti scoprano il principio alla base delle tecniche solo tramite il loro impegno fisico e mentale. Questo modo di fare spesso genera frustrazione negli studenti, che di conseguenza smettono di praticare. In alcune altre scuole la definizione tradotta è invece così ridotta rispetto all’ampiezza del significato che il senso originario del termine giapponese viene persa. Capita così che gli studenti, e gli istruttori, eseguono delle manovre con poca o nessuna comprensione del motivo percui lo fanno. Lo scopo di questo articolo è di fornire una esauriente spiegazione dei principi fisici o meccanici alla base della efficace esecuzione di una tecnica. Taisabaki Nella sua forma più semplice il “taisabaki” viene identificato come un movimento del corpo. In realtà il taisabaki è in principio intricato che deve essere pienamente compreso per poter eseguire una qualsiasi tecnica marziale. In un senso più profondo il taisabaki è la gestione del movimento corporeo. Non si tratta semplicemente di muovere il proprio corpo ma piuttosto di gestire il proprio movimento corporeo in maniera evidente e controllata per consentire l’esecuzione di una tecnica esatta e adeguata. Ashi sabaki Questo è il principio del movimento dei piedi. Lo ashi sabaki è il movimento dei propri piedi in una maniera specifica in base alle intenzioni del movimento e della distanza (maai) tra noi ed il nostro avversario. nella pratica delle arti marziali ci sono due tipi principali di ashi sabaki, ovvero lo tsugi ashi, in cui il piede arretrato segue scivolando quello avanzato, ed è un movimento che può essere eseguito in qualsiasi direzione, e lo ayumi ashi, che corrisponde grossomodo alla normale camminata e che viene eseguito con un piede che passa avanti all’altro, con un movimento che solitamente prevede spostamenti in avanti o indietro. Kamai - Kamae Con il termine “Kamai” si indica la postura. Nel jujutsu con il termine kamai si indica una postura in cui siamo pronti a proteggere noi stessi da eventuali aggressioni, mentre la postura rilassata viene indicata con il termine hontai ed è quella che assumiamo quando siamo in posizione eretta e naturale, con le braccia rilassate lungo i fianchi. Jigo hontai è invele la posizione di difesa, che è un po’ più larga della postura normale, con le gambe leggermente piegate alle ginocchia, che rimangono mobili e non bloccati. Molto importante è la posizione delle mani, sollevate all’altezza del busto e pronte sia a bloccare o parare i colpi dell’avversario, così come a percuoterlo o afferrarlo. Le variazioni nella forma di una jigo hontai sono numerose, e l’impiego di armi di diversa tipologia richiede di conseguenza anche l’adozione di posture diverse da quelle assunte a mani nude. La cosa importante da sapere e ricordare nelle tecniche a mani nude è che quando un piede scivola in avanti all’altro, la mano corrispondente al piede che avanza deve a sua volta andare avanti all’altra mano. A seconda dello specifico stile o arte che si sta studiando, la mano che avanza può essere alla stessa altezza oppure più alta della mano arretrata. Tenere la mano avanzata più alta è solitamente la postura preferita poiché permette più facilmente di parare e bloccare gli attacchi diretti alla testa ed alla zona delle spalle, mentre la mano bassa svolge lo steso compito a protezione del busto e del bacino. Quando si utilizzano le armi, lo specifico tipo di strumento impiegato determina quale delle mani è avanzata. Se si utilizza una spada la mano destra viene sempre tenuta in avanti con la presa destra che viene comunemente utilizzata in tutte le Scuole di scherma. Se si utilizza il jo ed in funzione della specifica tecnica che deve venire eseguita, la mano corrispondente al piede avanzato può o no muoversi in avanti insieme al piede stesso. L’obbiettivo da raggiungere assumendo una kamai corretto è di mantenere una postura centrata e bilanciata, pronti per muoverci senza esitazione verso qualsiasi direzione. Maai Questo è considerato come il modo più semplice per indicare lo spazio o la distanza tra due combattenti. Come per il taisabaki, anche maai ha un significato più profondo ed è un principio che deve essere pienamente compreso per poter essere in grado di eseguire una tecnica efficace. Maai non è semplicemente la distanza di ingaggio ma piuttosto il principio di conoscenza della corretta distanza a cui una specifica tecnica può essere eseguita con successo. Di conseguenza, ed ancora più importante, maai implica il conoscere quale tecnica sia efficace a seconda della distanza che intercorre tra noi ed il nostro avversario. Per ottenere ciò, non è sufficiente solo valutare la distanza tra noi e l’attaccante, ma è necessario anche valutare l’angolo d’attacco; anche se certe tecniche funzionano ad una specifica distanza, le stesse possono risultare inefficaci se agiscono in direzione di specifici angoli di attacco, anche se la distanza tra i due avversari è corretta Kuzushi Questo è il principio della “rottura” della postura dell’avversario, ovvero il riuscire a sbilanciarlo ed a portarlo “fuori dal suo centro”. In un senso più profondo, implica il riuscire a sbilanciare l’avversario mantenendo il proprio equilibrio e la propria centratura. Termini come hara, tanden, jushin, shindai son a volte utilizzati per definire il centro di gravità o il centro di equilibrio. Mettere in crisi il centro di una persona o il suo equilibrio è un obbiettivo che può essere raggiunto sia attraverso un contatto fisico (come nel caso di una percossa) che tramite l’esecuzione di un movimento che però non implica un contatto tra i due avversari (ad esempio, una finta). Tsukuri E’ l’entrata in una tecnica. Per quanto questo termine sia generalmente utilizzato per indicare l’avvicinamento e la preparazione di una successiva proiezione, il principio è applicabile a tutte le tecniche, con o senza presa dell’avversario. Tsukuri significa posizionare correttamente il nostro corpo per eseguire una tecnica nella maniera più efficacie ed efficiente possibile. Questo potrebbe consistere semplicemente nel fare un passo in avanti quando si colpisce con il jo oppure nell’avanzare, ruotare ed abbassare il proprio centro per eseguire un koshi nage. Kake Kakesignifica attaccare o eseguire una tecnica. Questo principio può essere espresso tanto nel ruotare e nel colpire con un jo come nella rotazione del torso e del bacino necessarie per la esecuzione di un koshi nage. Applicare i principi Una volta stabilite una serie di definizioni, vediamo adesso come questi principi funzionano tutti insieme per eseguire correttamente una tecnica. Quanto segue è la descrizione di questi diversi principi in un contesto di judo shiai. Se non avete familiarità con il judo non è un problema, poiché la descrizione sarà abbastanza dettagliata da consentire un paragone con altre arti marziali. Si comincia con due avversari (uke e tori) che stanno l’uno di fronte all’altro ad una certa distanza e si inchinano. Usando taisabaki ed ayumi ashi si avvicinano l’uno all’altro, e quando la distanza tra i due è all’incirca di una cinquantina di centimetri cominciano a muoversi in tsugi ashi. Questo permette loro di eseguire dei passi misurati che consentono di mantenere il maggior equilibrio possibile sino a raggiungere il maai corretto per il combattimento. Allo tesso tempo in cui cominciano a muoversi in tsugi ashi ciascuno dei due protagonisti assume il proprio kamai offensivo o difensivo, ovvero alzano le loro mani davanti al corpo in modo da poter eventualmente afferrare l’avversario ed assumono una postura leggermente più larga del normale abbassando il proprio centro. Ukee Tori si muovono in tsugi ashi cercando di percepire le intenzioni dell’avversario, mentre tentano di assumere un maai che possa consentirgli di afferrare il contendente ed eseguire una tecnica. Ona volta eseguita la presa, l’obbiettivo seguente è eseguire il kuzushi sull’avversario, e quando questo è realizzato Tori deve muoversi nella maniera corretta per piazzarsi in una posizione idonea ad eseguire una proiezione, realizzando il tsukuri. In pratica kuzushi e tsukuri devono realizzarsi quasi allo tesso tempo, e il kuzushi deve essere mantenuto durante lo tsukuri. Una volta realizzati kuzushi e tsukuri sono realizzati non resta che eseguire kake, ovvero il completamento della proiezione, effettuato mentre Uke viene mantenuto in una posizione di squilibrio e Tori muove il proprio corpo (spazzando con la gamba, ruotando il bacino, ecc.). L’obbiettivo è quello di eseguire kuzushi, tsukuri e kake in maniera veloce e continua, impiegando meno energia possibile. Mentre Tori ha un certo grado di controllo su come Uke si muove, quest’ultimo non deve essere messo in grado di muoversi liberamente. Il livello di resistenza e la differenza di esperienza tra Uke e Tori possono essere i principali fattori su cui Tori può contare per squilibrare e controllare l’avversario. Non si può predeterminare (ad eccezione che nel kata) quale tecnica si andrà ad eseguire; il maai del momento e l’angolo d’attacco che si viene a creare tra i due contendenti determinano quali tecniche possono essere eseguite con successo e quali altre invece si risolverebbero – se eseguite – in una perdita di tempo ed energia. Per questo motivo è importante conoscere le tecniche possibili e le loro variazioni in base ad un particolare maai o angolo d’attacco, al fine di adottare, in ogni situazione, una tecnica efficace ed appropriata. Bisogna inoltre considerare che in judo, jujutsu ed in poche altre arti le tecniche vengono eseguite mentre si è sdraiati, seduti o in ginocchio sul tatami, nella modalità indicate come newaza o suwariwaza. Questi principi possono essere applicati in newaza o suwariwaza così come nelle tecniche in stazione eretta (tachiwaza) e l’adeguata comprensione ed impiego di questi principi nelle newaza può migliorare notevolmente l’abilità di un praticante nell’applicare le tecniche con il minor impiego di energia possibile. Nel quadro sopradescritto ogni principio è stato descritto in una sequenza lineare me nella pratica molti di questi principi possono, ed in molti casi devono, eseguirsi contemporaneamente. Peraltro, è abbastanza comune per certi principi meccanici essere ripetitivi: il maai di stringe quando si arriva alla distanza di ingaggio e si apre quando la distanza aumenta, si passa dallo ayumi ashi allo tsugi ashi in funzione del maai e della reazione di uke, il kuzushi può essere ottenuto, perso e riguadagnato. Il punto importante da comprendere è quale è il prossimo principio che deve realizzarsi, partendo da quello che stiamo realizzando, per eseguire la tecnica che desideriamo effettuare. |
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