Tradizionalmente i kenzan sono realizzati in metallo, solitamente acciaio o bronzo per le punte e piombo – per via della sua facilità di fusione e colatura in stampo – o bronzo per il supporto. Il kenzan, disposto all’interno di un vaso o un contenitore, serve a mantenere in posizione eretta gli steli di fiori e piante, anche se pesanti, consentendo così di poter modellare la forma della composizione finale come si desidera. Dal Giappone l’utilizzo del kenzan è passato in occidente, ed è abbastanza frequente trovarlo anche nelle composizioni dei fiorai nostrani perché – a differenza di altri sistemi come creta, spugne biglie di vetro o gelatine, il kenzan assicura maggiore stabilità alla composizione per via del suo peso, è più igienico e riutilizzabile più volte.
Il Kenzan, chiamato anche “rana pungente” per via della sua forma, è un accessorio che vede la sua origine nella pratica dello stile “Moribana dell’arte giapponese dell’Ikebana, che studia la disposizione di fiori, piante ed altre componenti vegetali. Lo stesso nome – che letteralmente significa “montagna di spade” – è abbastanza esplicativo della sua composizione; si tratta infatti di una serie di spuntoni, solitamente metallici, disposti verticalmente molto vicini tra loro su un supporto pesante. Immaginate una specie di spazzola rovesciata o il proverbiale “letto di chiodi” dei fachiri indiani e avrete una idea approssimativa del kenzan.
Tradizionalmente i kenzan sono realizzati in metallo, solitamente acciaio o bronzo per le punte e piombo – per via della sua facilità di fusione e colatura in stampo – o bronzo per il supporto. Il kenzan, disposto all’interno di un vaso o un contenitore, serve a mantenere in posizione eretta gli steli di fiori e piante, anche se pesanti, consentendo così di poter modellare la forma della composizione finale come si desidera. Dal Giappone l’utilizzo del kenzan è passato in occidente, ed è abbastanza frequente trovarlo anche nelle composizioni dei fiorai nostrani perché – a differenza di altri sistemi come creta, spugne biglie di vetro o gelatine, il kenzan assicura maggiore stabilità alla composizione per via del suo peso, è più igienico e riutilizzabile più volte.
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Non lo sapevo, ma in qualche modo lo presentivo. Ma nonostante ciò, non posso non stupirmene. Che il lavoro con i “bo-shuriken” fosse ben più di una pratica di “tiro al bersaglio” del tipo gara dio freccette con una spruzzata di esotismo mi era chiaro, come mi appariva sempre più chiaro che i tempi dilatati tra l’approvvigionamento del materiale per costruirli ed il recepimento degli strumenti necessari non potesse (o dovesse…) essere solo considerato un ostacolo accidentale, ma meritasse una analisi più approfondita, eppure… eppure. Ho sempre pensato, in questo stimolato dagli insegnamenti che ho ricevuto, che i principi e le regole praticati in Dojo potessero, ed in qualche modo dovessero, venire applicati anche al di fuori di questo, nella vita quotidiana. Facile a dirsi certo, soprattutto dopo aver letto le considerazioni di Filippo Goti, curatore del sito internet www.fuocosacro.com, che descriveva come da un lavoro di giardiniere si potessero trarre indicazioni per pratiche di ben altra natura. Eppure… eppure. In una domenica di metà agosto, mentre la maggior parte della gente nuotava in mare, mio padre ed io abbiamo realizzato qualche decina di bo-shuriken, partendo da pezzi di profilo di acciaio con sezione tonda e quadrata di 6 mm. Poco più di un esperimento, partito con mio padre abbastanza scettico per i mezzi di fortuna adottati; abbiamo infatti utilizzato come forgia per scaldare i pezzi di ferro il caminetto esterno impiegato solitamente per il barbecue, e come incudine un pezzo di un binario poggiato su un vecchio ceppo. _Chi frequenta questo luogo virtuale con una certa assiduità ed attenzione avrà notato che il sottoscritto ha – tra le tante – due passioni: prodursi in lavori di bricolage usando come materia prima prodotti di scarto e possedere un giorno uno dei bellissimi kamidana disponibili su Hamakurashop.com Come è facile immaginare, più facile perseguire la prima, un po’ più complessa soddisfare la seconda; però qualche giorno fa ho pensato di unire almeno in parte le due cose, ed in attesa di poter godere dello splendido tempio shintoista proposto da Daniele san, ho pensato di provare a costruirne un qualcosa che almeno rozzamente avesse le parvenze del mio “oggetto del desiderio”. |
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