samurai hanno perso il loro potere, i duelli sono proibiti e la loro spada non è più segno di rispetto come una volta, così la sua occupazione consiste nel lavorare come impiegato all'ufficio del clan e si barcamena tra mille difficoltà quotidiane: a causa morte della moglie per tubercolosi dopo il lavoro deve occuparsi delle figlie e della madre malata e non ha tempo per sé perché oltre al suo incarico ufficiale deve occuparsi dei campi e costruire e vendere gabbiette per gli insetti per aumentare i suoi guadagni. Tutto ciò gli lascia poco tempo fare esercizio di spada, dimentica di lavarsi e trascura di vestirsi dignitosamente indossando kimono consumati e lisi e mettendo in imbarazzo i superiori, non prende parte alla vita sociale degli altri samurai non potendo andare con i suoi colleghi a bere sake dopo il lavoro: tutte le sere torna a casa al tramonto e per tutti è “Seibei del crepuscolo” (da qui il titolo della pellicola). “Twilight samurai” di Yoji Yamada, una pellicola del 2002 candidata all'Oscar come miglior film straniero nel 2004 e premiato dal pubblico al Far East Film Festival dello stesso anno. Il protagonista Seibei Iguchi è un samurai di basso rango del clan Unasaka che è costretto a vivere con il misero stipendio di 50 sacchi di riso all'anno. Ormai i
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_Dal profilo facebook "KATORI SHINTO RYU" riporto una nota pubblicata dal M° Claudio Regoli Una delle cose più difficili da raggiungere sembra essere la spontaneità. Dopo un primo periodo da appprendista, nel quale deve studiare la tecnica per non avere alcuna remora nell’espressione della sua Arte, L'allievo deve ritrovare la naturalezza di una volta. Solo cosÏ potrà prestare attenzione ai vari messaggi ed alle emozioni che gli trasmette il mondo esterno di cui lui é ,secondo gli Orientali, solo un raccoglitore ed un trasmettitore. _Un noto motto afferma che <amare vuol dire non dover mai dire:”Mi dispiace”>, può però capitare la necessità di doversi scusare per una disattenzione, per chiedere una informazione o per avere involontariamente disturbato qualcuno. Per i giapponesi lo scusarsi è un atto molto più frequente che per gli occidentali, probabilmente per le differenze culturali che vi sono tra le due società. Noi occidentali siamo sempre abbastanza riluttanti ad ammettere le nostre mancanze, come se riconoscere di aver sbagliato ci portasse diritti ad un aula di tribunale o ledesse in modo irreparabile il nostro amor proprio e la nostra reputazione. Chiunque si occupi di sistemi di “Controllo Qualità” ne ha una prova quotidiana: questa “filosofia lavorativa”, nata appunto in Giappone e basata sul miglioramento continuo tramite l’individuazione e la risoluzione dei problemi che emergono durante l’attività lavorativa, presuppone appunto che ciascuno di coloro che partecipano a qualunque titolo ad una attività esamini il proprio operato al fine di contribuire a rilevare e risolvere eventuali errori ed imprecisioni, in base al principio per cui una catena (e una azienda produttiva è una “catena” di varie figure professionali tra loro collegate) è tanto robusta quanto lo è l’anello più debole, che va quindi “rinforzato” per portarlo al livello degli altri. _"L'Aikido è come un compasso ... ognuno che realizzi in sé l'Aikido, sarà incrollabile nel proprio centro, punto di forza della sua personalità ma saprà anche descrivere intorno a sé un cerchio di amore e di unione" Queste le parole riportate su una targa donatami dagli allievi del Seishin Dojo in occasione del Matsuri keiko di quest’anno, seguite da una dedica troppo personale e ricca di complimenti per poter essere riportata senza correre il rischio di peccare di autoesaltazione. Se dovessi commentare con una frase sola questo incontro e la parte di anno accademico di cui segna la conclusione, direi “concordanza tra parole e fatti”. Ho la presunzione di avere intorno a me un gruppo di allievi che forse hanno più di qualche carenza tecnica a causa della mia imperizia di insegnante, ma che sono, si sentono e si comportano come un gruppo coeso, che pratica con impegno e con il massimo rispetto e disponibilità verso il compagno. Ieri sera c’era anche chi – per motivi di salute o personali avrebbe potuto essere assente, e anche chi non c’è potuto essere non ha mancato di farsi sentire, per testimoniare il suo far parte del gruppo. Una grande soddisfazione ed una grande responsabilità, di cui mi auguro essere all’altezza. _(Traduzione ed adattamento di “The Physical and Psychological Benefits of Martial Arts Training” di Adam Paul Swiercz, disponibile su http://www.dctkd.org/library/papers/benefits-of-ma-training.cfm) Mentre la precisa origine delle arti marziali rimane abbastanza vaga per gli storici, è assodato che questa risale comunque a parecchi secoli indietro nel tempo. Attraverso gli anni, gli stili di combattimento sono stati tramandati da generazione a generazione e da paese a paese. Questi adattamenti alle necessità ed alle situazioni contingenti sono partiti dalla Cina per giungere in Giappone e Korea, dando origine alla eclettica varietà di stili che oggi conosciamo. Sviluppate per migliorare le risorse di difesa personale e aumentare le probabilità di successo negli scontri armati, le arti marziali furono create dalle antiche culture asiatiche unendo tecniche di combattimento, disciplina mentale, esercizi fisici e svariate componenti filosofiche. La maggior parte di queste arti comprendono concetti intellettuali e religiosi, come il concetto taoista del bilanciamento, la meditazione e la respirazione buddista e l’etica confuciana, da cui sono state grandemente influenzate. _La società giapponese è una delle più ritualizzate del mondo moderno ed il popolo nipponico cerca sempre di avere un comportamento consono ad ogni occasione sociale. A differenza di quanto avviene in gran parte del mondo occidentale, dove il diffondersi del concetto di democrazia ha contribuito a diffondere anche un certo “rilassamento” nel galateo e nella etichetta, nel paese del Sol Levante si pone grande attenzione anche al modo di salutare, che è una delle forme più comuni di approccio tra le persone. Come molti sanno, che comunemente in Giappone le persone si salutano con un inchino, e anche se questo modo di salutare è stato grandemente esagerato nei film e negli spettacoli televisivi, purtuttavia rimane il metodo con cui un giapponese si relazione con un altro. Come nella maggior parte delle azioni compiute dagli abitanti del paese del Sol Levante, anche le modalità dell'inchino sono caratterizzate da una serie di particolari, a prima vista insignificanti, che dipendono – tra l'altro - dall'età, dallo status sociale e dal sesso di coloro che si scambiano l'inchino. _"Il maestro insegna la tecnica senza spendere una parola sul suo significato; egli aspetta semplicemente che lo studente lo scopra da solo. Tutto ciò viene detto: tendere l'arco senza lasciar partire il colpo. Non dà spiegazioni, vero, ma si comporta così non per crudeltà. Lo fa semplicemente perché egli vuole che il suo studente raggiunga la maestria non solo con la pratica ma anche con la totale partecipazione del suo cuore. Quando lo studente si è esercitato con tutto il cuore ed è giunto ad una qualche meta con la sua personale energia, allora se ne va; ma prima si presenta al maestro. Il quale, visto che è il suo proprio cuore che glielo dice, conferma lo studente nella decisione presa. Non esiste impedimento alcuno da parte del maestro". (Tratto da “Tengu-geijutsu-ron” di Chozan Shissai pubblicato in “Zen and Confucius in the Art of Swordsmanship” a cura di Reinhard Kammer, Routledge and Kegan, London, 1978) |
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Marzo 2017
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