Dopo diversi anni di attesa è finalmente arrivata il libreria la traduzione del terzo volume delle tecniche di base dell’Aikido presentate dal compianto Morihiro Saito sensei. La versione inglese era disponibile da diversi anni (e le foto illustrative testimoniano evidentemente la loro non giovane età) e questa traduzione era attesa e richiesta dai praticanti di Aikido (e non solo) per la caratura tecnica e le qualità pedagogiche di Morihiro Saito sensei, che ha dato un contributo fondamentale alla diffusione ed alla conoscenza di questa Arte marziale. Proprio questo è il motivo che rende consigliabile questo volume anche ai non praticanti dell’Aikido della Iwama Ryu: M. Saito sensei ha speso la quasi totalità della sua vita prima ad assitere il fondatore dell’Aikido, O’Sensei Morihei Ueshiba, poi a mantenerne vivo il ricordo e l’insegnamento con una dedizione ed un rispetto con pochi uguali.
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Agli appassionati di storia giapponese o agli spettatori di film ambientati nel medioevo nipponico quali ”Ran”, “Kagemusha” o “I sette samurai” di Kurosawa, sarà capitato di chiedersi che significato avessero i simboli che venivano riprodotti sugli stendardi dietro le armature dei combattenti (sashimono) o sulle fasce che gli stessi si stringevano intorno alle tempie (hachimaki) e che ancora oggi alcune ko-ryu (scuole antiche) marziali riportano sulle giacche dei keikogi indossate dai loro praticanti, solitamente appena sotto il colletto, nella parte che veniva lasciata scoperta dalla allacciatura posteriore dell’armatura. Si tratta dei mon, ovvero dei tradizionali emblemi araldici giapponesi che rappresentavano una singola persona o, più comunemente, un clan. Il Kagami Biraki è un festeggiamento molto antico e consiste nella usanza di spezzare e mangiare il Kagami Mochi, una specie di torta di riso pestato dalla forma rotonda. Prima del periodo Edo (1603-1886) questa festa era celebrata il 20 di Gennaio, successivamente il giorno fu spostato all’11 Gennaio. All’inizio dell’anno nelle famiglie samurai era preparato il Kagami Mochi e offerto agli Dei, alcuni giorni dopo, questo era poi diviso fra i familiari durante la festa del Kagami Biraki. Il senso di questo evento era quello di offrire alle divinità (Toshigami, gli Dei che visitano le case) il cibo preparato, ringraziandole di quanto ottenuto nell’anno passato e ricevendo da esse forza per affrontare il nuovo anno. Nel maggio del 1333 la grande famiglia degli Hojo, che per oltre un secolo aveva governato il Giappone, è al tramonto. La città di Kamakura è attaccata dalle truppe di Nitta Yoshisada e data alle fiamme, lo Shogun Hojo Takatoki preferisce il suicidio alla resa e si uccide con tutti i familiari, i parenti, i servitori ed i samurai. Tra questi ultimi c’è Shiaku Shinsakon Nyudo, un samurai di rango non molto elevato che, prima di eseguire il seppuku, chiamò il figlio maggiore Saburozaemon e gli disse: “Kamakura, circondata dai nemici, sta per cadere. Io sto per seguire il destino del mio signore come suo leale vassallo. Tu sei ancora giovane e non hai obbligo della fedeltà verso di lui perché non sei ancora entrato al suo servizio. Sfuggi alla tragedia e diventa un monaco: al servizio del Buddha potrai celebrare i riti per i nostri spiriti e nessuno ti biasimerà se ti salverai per fare ciò”. Shiro Saigo rimane per il Giappone moderno un esempio di dedizione e di grande forza nonostante siano passati tanti anni dalla sua morte. La storia di Shiro Saigo inizia nella turbolente epoca della restaurazione Meiji. Nato nel 1867 col nome di Shiro Shida, perse i genitori proprio durante una delle tantissime battaglie avvenute durante la restaurazione imperiale. Il giovane Shiro visse diversi anni da emarginato finchè un giorno non incontrò colui che gli avrebbe cambiato la vita: il monaco Tanomo Saigo (Chikanori Hoshina). Di come avvenne l’incontro tra questo ragazzino e il monaco non si hanno notizie certe. Ciò che si sa è che questo fu decisivo per il giovane orfano; Tanomo Saigo era stato un alto dignitario del clan Aizu ed un famoso samurai al servizio dello shogun e per costui combattè fino alla fine . I suoi familiari, considerando la sconfitta in in battaglia come un umiliazione insopportabile, eseguirono in gruppo il suicidio rituale (seppuku) mentre Tanomo Saigo decise di lasciare la via della spada per dedicarsi allo spirito, scelta frequente tra i samurai. Una delle particolarità che per prime colpiscono un curioso osservatore della nostra Arte, è che chi la pratica veste la “hakama”, una sorta di gonna-pantalore indossata usualmente dagli yudansha, ovvero da coloro che abbiano conseguito almeno il grado di shodan. Il keikogi, la divisa normalmente usata anche nel Judo o nel Karate, era originariamente indossata al di sotto dello abbigliamento normale e questo ne spiega anche il colore, poiché il bianco indica la purezza e la pulizia e tutto quanto è a contatto (fisicamente e spiritualmente) con l’uomo dovrebbe essere puro e pulito, proprio per non “inquinarlo”. |
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Marzo 2017
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