Nel mondo delle Arti marziali coesistono, a mio avviso, una serie di domande ricorrenti, le famose F.A.Q. che si possono racchiudere, con apprezzabile approssimazione, in due filoni principali: il primo è quello che gli esperti (veri o presunti) si scambiano tra loro, il secondo racchiude le domande ed i quesiti che gli allievi ed i principianti rivolgono agli gli esperti (sempre veri o presunti). Come è facile immaginare, la suddivisione tra i due filoni non è così drastica, e molte sono le domande che possono collocarsi sia nell’uno che nell’altro senza grandi forzature. Tra i quesiti più ricorrenti, foriero spesso di polemiche e aspre discussioni, e certamente destinato a trovare una risposta diversa per ciascun interpellato, c’è il classico: “Come si riconosce un buon Maestro di arti marziali?”.
5 Commenti
Non lo sapevo, ma in qualche modo lo presentivo. Ma nonostante ciò, non posso non stupirmene. Che il lavoro con i “bo-shuriken” fosse ben più di una pratica di “tiro al bersaglio” del tipo gara dio freccette con una spruzzata di esotismo mi era chiaro, come mi appariva sempre più chiaro che i tempi dilatati tra l’approvvigionamento del materiale per costruirli ed il recepimento degli strumenti necessari non potesse (o dovesse…) essere solo considerato un ostacolo accidentale, ma meritasse una analisi più approfondita, eppure… eppure. Ho sempre pensato, in questo stimolato dagli insegnamenti che ho ricevuto, che i principi e le regole praticati in Dojo potessero, ed in qualche modo dovessero, venire applicati anche al di fuori di questo, nella vita quotidiana. Facile a dirsi certo, soprattutto dopo aver letto le considerazioni di Filippo Goti, curatore del sito internet www.fuocosacro.com, che descriveva come da un lavoro di giardiniere si potessero trarre indicazioni per pratiche di ben altra natura. Eppure… eppure. Wazawai wa gelai ni shozu (La sventura accade sempre per una disattenzione) II momento di distrazione è il peggior nemico di tutti gli obiettivi. Può capitare qualsiasi tipo di disavventura, perché la persona in una data situazione non è concentrata al punto giusto ovvero le manca quell'intuizione decisiva che metta in condizione di valutare correttamente. Attraverso l'esercizio del Budo si può far propria una tale condotta positiva, una condotta contraddistinta da un'attenzione vigile al cospetto degli eventi. Trattasi più o meno di una questione di esercizio e chi lo vuole davvero, può imparare. L'assenza di spirito nell'agire presente, la disattenzione o l'eccessiva attività cerebrale su quella che è la vita, su quanto omesso o perduto o su ciò che sarebbe potuto essere, questi sono i peggiori nemici della concentrazione. Girando attorno a una mola un asino fece cento miglia; quando fu sciolto, si trovò ancora allo stesso posto. Certi uomini camminano molto, ma non arrivano mai da nessuna parte; quando per loro giunge la sera non vedono né città né villaggio ne creazione né natura né forza né angelo. Miserabili, hanno sofferto invano. (Dal “Vangelo di Filippo” in “Vangeli gnostici” a cura di Luigi Moraldi – Edizioni Adelphi) Spesso, troppo spesso, alcuni praticanti ritengono che a “certificare” la propria bravura ed esperienza sia sufficiente evidenziare il loro periodo di pratica; “Sono dieci anni che mi alleno”,”sono cintura nera da 15 anni” e così via. Se è vero, come è vero, che una quercia non nasce in un giorno e che c’è un periodo minimo senza in quale – semplicemente – una pratica non può essere appresa e compresa, è altrettanto vero che detto periodo è condizione necessaria ma non sufficiente all’acquisizione dell’esperienza desiderata. I gradi costituiscono una unità di misura per svariate grandezze: dalla temperatura alla ampiezza angolare, passando per la gerarchia militare e quella marziale. In questi ultimi tempi avviene un fenomeno singolare – stimolato o amplificato dalla possibilità di condivisione di informazioni ed opinioni offerta dalla Rete – ovvero la “presa di distanza” dai gradi rilasciati dall’Aikikai Foundation, il principale organismo mondiale che sovraintende (o dovrebbe farlo…) alla diffusione ed alla tutela dell’Akido a livello mondiale. 1) Sia l'uno che l'altro si chiedono, a volte: "Chi me lo fa fare?". Più spesso glielo chiedono gli altri. 2) Sia l'uno che l'altro fanno parte di una Scuola, Associazione o Federazione che ritengono essere la migliore, e sono in perenne conflitto con gli appartenenti ad altre Scuole, Associazioni o Federazioni che coltivano la stessa convinzione nei confronti della loro Scuola, Associazione o Federazione. 3) A ulteriore complicazione della situazione evidenziata nel punto precedente, sia l'uno che l'altro fanno parte di una Scuola, Associazione o Federazione in cui spesso le idee ed i principi del Fondatore sono stati travisati già dalla seconda generazione dei successori, ed il cui le lotte intestine per il potere fanno sembrare le vicissitudini di Maria Tudor o di Nerone delle scaramucce tra adolescenti. Questa volta il Maestro Claudio Regoli ci racconta una storia che - pur non essendo tra le sue preferite, è molto celebre, e la si trova, parafrasata, ne “I sette samurai" di Kurosawa. Un maestro di spada, avendo invitato un amico a casa, parlava di come si sentisse stanco e stesse pensando di cedere la direzione della scuola ad uno dei suoi tre figli. La discussione portò presto su quale dei figli scegliere, e per chiarire la cosa all'amico il padrone di casa,messo un vaso in bilico sulla porta, chiamò uno dei tre. Questi arrivò di corsa ed aprendo la porta fece cadere il vaso, ma, con una contorsione, riuscì ad evitarlo e lo afferrò un attimo prima che toccasse il suolo; poi lo rimise sullo stipite e si precipitò agli ordini del padre, che lo spedì fuori con una commissione. “E’ il mio secondo” commentò quindi il genitore all'amico:”Ha ancora da imparare, ma è sulla strada giusta e migliora ogni giorno”. _(Tratto da: “Okuden: to get along with your wife” di Ryoichi Shimano, traduzione a cura di Amalia Bernini) Vado al Noma Dojo situato in Gokoku-ji, Tokyo, ogni mattina. La mia casa si trova nella parte a nord della prefettura di Saitama, e ci vogliono circa due ore in treno per arrivare al Dojo da casa mia. Così, se mi alzo intorno alle 4:00 di mattina e prendo il primo treno, posso arrivare in tempo per l’allenamento del mattino che inizia alle 7:00. Tre anni fa, quando divenni idoneo per la pratica ed entrai nel Dojo, un Sensei venne verso di me e mi sussurrò: “Shimano-san, Shimano-san. Vuole sapere il segreto per diventare un forte Kendoka?” Mi chiesi cosa stava cercando di dirmi, e al tempo stesso, perché mi aveva avvicinato, dato che c’erano tanti altri praticanti di kendo. Ero alquanto confuso, ma anche curioso. Così, anche se pensavo che si stesse comportando in modo strano, gli chiesi: "Si, mi potrebbe dire qual è il segreto?” Il maestro mi fissò negli occhi serio per un istante, ma poi disse gentilmente: “Andar d’accordo con tua moglie”. Poi, mi lasciò e ritornò al suo posto nel Dojo. Ora, io divenni veramente confuso. Andar d’accordo con mia moglie? Come poteva essere quello il segreto per diventare un buon kendoka? Ero completamente scombussolato. _Chi mi conosce da un po’ sa quanto io apprezzi gli scritti di Paulo Fambri e di quanto io sia grato a messer Gianluca Zanini di avermelo fatto conoscere prima, e di avermi fornito una copia dell’introvabile volumetto del 1895 “Ginnastica bellica”, in cui il Fambri, con una salace ironia supportata da una precisa conoscenza dei fatti ed una robusta fiducia nelle sue opinioni, sostiene la necessità per i ragazzi di una ginnastica che più che “estetica” o “medica” sia soprattutto bellica. Impossibile ridurre in poche righe lo spirito e le arguzie di quest’opera, di cui ho appuntato non poche frasi. Ve ne ripropongo oggi un paio, supportato in questo dal contributo di Messer Zanini, che si è assunto l’onore e l’onere di trascriverle. _
“Desidereremmo concludere questa intervista con una massima, una frase, che lei ritiene particolarmente significativa, e che pensa possa riassumere il suo pensiero e la sua visione in merito a Kendo e Iaido.” “Vorrei raccontare un aneddoto simpatico. Alcuni anni fa degli studenti di Oxford, praticanti di Kendo, avevano organizzato una grande competizione, e in tale occasione avevano preparato delle magliette con scritto in giapponese, “Si fa Kendo per poter bere birra dopo”. Per combinazione, a quella manifestazione, assolutamente inaspettato, è arrivato il Principe ereditario giapponese, che ha comprato tutte le magliette per regalarle ai suoi amici in Giappone” (Intervista di Roberto Tresoldi al M° Claudio Regoli, su “Arti d’Oriente”, luglio – agosto 2006) |
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Marzo 2017
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