Ho sempre pensato, in questo stimolato dagli insegnamenti che ho ricevuto, che i principi e le regole praticati in Dojo potessero, ed in qualche modo dovessero, venire applicati anche al di fuori di questo, nella vita quotidiana. Facile a dirsi certo, soprattutto dopo aver letto le considerazioni di Filippo Goti, curatore del sito internet www.fuocosacro.com, che descriveva come da un lavoro di giardiniere si potessero trarre indicazioni per pratiche di ben altra natura.
Eppure… eppure.
“Pertanto, o Ananda, siate lampade a voi stessi, siate rifugio a voi stessi. Non vi ritirate in nessun rifugio esteriore. Tenetevi stretti alla Verità come ad una lampada; tenetevi stretti alla Verità come a un rifugio. Non cercate rifugio in nessuno, se non in voi stessi.” (Samyuttanikaya)
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.”
(Vangelo secondo Matteo, 6,5-6)
Ovviamente è più facile e comodo effettuare certe “analisi” nella calma tranquillità della propria stanza, ma ciò non toglie che la stessa cosa, spesso con risultati sorprendenti, può essere compiuta – ad esempio - in un affollato vagone della metropolitana.
Un guerriero sa che i fini non giustificano i mezzi.
Perché i fini non esistono: ci sono solo i mezzi. La vita lo trasporta dall'ignoto verso l'ignoto. Ogni minuto è rivestito di questo mistero appassionante: il guerriero non sa da dove viene né dove sta andando.
Ma non è qui per caso. E la sorpresa lo riempie di gioia, i paesaggi che non conosce lo affascinano. Molte volte ha paura, ma questo fa parte della norma per un guerriero.
Se egli pensasse solo alla meta, non riuscirebbe a prestare attenzione ai segnali disseminati lungo il cammino. Se si concentrasse su una singola domanda, perderebbe le varie risposte che gli stanno a fianco.
Perciò il guerriero si concede.
(Paulo Coelho, “Manuale del guerriero della luce”)
Come spesso ama ricordare Pino, un praticante attendo al pensiero di Sri Aurobindo, ogni momento può essere parte della propria sadhana personale, e perde molte occasioni colui che separi la sua vita quotidiana dai momenti in cui si dedica al “lavoro” su (e con...) se stesso.
Due studenti dell’Università di Parigi andarono a trovare Ruysbroeck e gli chiesero di suggerir loro una breve frase o un motto da servir loro come regola di vita. “Vos estis tam sancti sicut vultis” rispose Ruysbroeck. “In tanto siete santi in quanto lo volete”. Dio è tenuto ad agire, a versarsi in te appena ti troverà pronto.
(Meister Eckhart)
Una cosa sembra assolutamente auspicabile: e cioè che tutta la vita lavorativa quotidiana di un uomo si trasformi in una specie di rituale continuo, che ogni oggetto nel mondo intorno a lui debba essere considerato un simbolo dell'eterno Fondamento del mondo, che tutte le sue azioni debbano essere eseguite con un senso di sacralità.
(Aldous Huxley)
Spesso, ahinoi, a mancare non sono tempo, modi e mezzi, ma la volontà...
Non bisogna mai smettere di lavorare e di fare degli sforzi: si deve esercitare incessantemente la propria volontà. Sì, la volontà: spesso, è questo che manca! Gli esseri umani capiscono dove sta il bene, auspicano il bene, desiderano il bene, aspirano al bene. ma la cosa finisce lì; essi non vanno oltre, non mettono veramente all'opera la propria volontà per realizzare quel bene che approvano e desiderano, e continuano a vivere come hanno sempre fatto: istintivamente, meccanicamente e in modo negligente. Certo, l'esistenza quotidiana esige un minimo di volontà: alzarsi dal letto al mattino, recarsi al lavoro, prendersi cura della famiglia, ecc. Ma tutti lo fanno, e non c'è grande merito in questo.
La volontà di cui vi parlo è una decisione del cuore e dell'intelletto, ispirati a loro volta dall'anima e dallo spirito. Volete sviluppare la vostra volontà? Iniziate con lo studiarvi in modo da conoscervi bene, poi decidetevi a prendere l'orientamento interiore migliore, che vi obbligherà a sviluppare le vostre qualità e a correggere i vostri difetti.
(Omraam Mikhaël Aïvanhov)
Riflettendo su questi argomenti mi è apparso sotto una luce diversa il noto motto “Ora et Labora”, in cui la congiunzione centrale era sempre stata da me letta come un trait d’union tra due momenti diversi tra loro, come la preghiera ed il lavoro manuale. Viceversa mi è sembrato invece credibile, se non auspicabile, leggere il motto come “prega e (quindi) lavora” oppure, applicando il principio matematico che afferma che invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia, “stai lavorando e (quindi) stai pregando” dove il “lavoro” può e deve essere visto nella accezione più ampia del termine.
“L'azione dovrebbe essere qualcosa che si aggiunge alla preghiera, non qualcosa che le si toglie.” (San Tommaso)
Quanto questa constatazione apra la strada ad altre interessanti constatazioni, che gira e rigira tornano sempre ad un principio cardine: Dire è importante ma Fare è indispensabile!
“Questo Sé non può essere compreso attraverso lo studio, né attraverso l’intelligenza o la dottrina. Il Sé rivela la propria essenza solo a colui che si applica ad Esso. Colui che non ha rinunciato alle vie del vizio, che non sa dominarsi, che non è in pace con se steso, la cui mente soffre di dispersione, non potrà mai conoscere il Sé, anche se è pieno di tutta la dottrina del mondo.”
(Katha Upanisad)
Certo non sempre i risultati saranno all’altezza delle attese, e questo comporta comunque delle scelte e delle “prese di coscienza”, quantomeno dei propri limiti e possibilità:
"In Aikido noi vogliamo sempre eseguire il "movimento ideale". Alcuni compagni ti attaccano in maniera sincera, con un attacco serio, e ti applichi nel "movimento ideale". Evidentemente questo non funziona.
Allora ricominci ritentando il "movimento ideale" ma sbagli di nuovo. In Aikido, vogliamo eseguire la tecnica più bella e sbagliamo. Lo scopo, infatti, è di eseguire la tecnica quanto più correttamente possibile! È quello che dobbiamo ricordarci, ma lo dimentichiamo troppo facilmente. C'è stato un pittore, Hans Menling, che non firmava mai i suoi quadri. Egli scriveva: "Ho fatto del mio meglio".
Ho seguito dei corsi in una scuola gesuita ed ogni giorno dovevamo scrivere nel nostro quaderno: "Ho fatto del mio meglio". Io penso che sia la stessa cosa per l'Aikido: cerchi di fare del tuo meglio dando il massimo di tè stesso, non di essere il migliore."
(Christian Tissier, citato da Elena Gabrielli in "L'Aikido possibile - un passo sul tatami")
Sono le parole di uno dei più noti Maestri occidentali di Aikido, che credo possano adattarsi anche ad attività al di fuori dell'Arte marziale. Personalmente mi è capitato spesso di "non fare" giustificandomi per il fatto che non ero al meglio delle condizioni.
“Se non vogliamo tornare indietro, dobbiamo correre”.
(Pelagio)
Ecco, il punto è forse questo, pensare di dover fare sempre e comunque "il meglio" e non "il meglio possibile date le condizioni del momento", il che chiarisce il significato del detto, apparentemente contraddittorio, che afferma che a volte “il Meglio è nemico del Bene”. Vi è più merito nel ricco che dona cento euro o nel povero che ne cede cinque a chi è messo peggio di lui? In queste mie ritrosie immagino agisca Pigrizia e anche - nascosta ma non troppo - la paura di sbagliare, di deludere di scoprire di non essere "perfetto".... eppure, mi dico, non è forse questa consapevolezza uno degli obbiettivi verso cui tendere?
Oggi so, sento, che la vera prova da sostenere non è sempre quella che abbiamo avanti agli occhi, che a volte per superarla bisogna intanto abbandonare l’idea di “vincere”, come ben racconta Paulo Coelho all’inizio del suo “Il Cammino di Santiago”.
“Colui che interrompe il corso dei suoi esercizi spirituali e delle preghiere è come un uomo che si lascia sfuggire di mano un uccellino; sarà ben difficile che lo riacchiappi.”
(San Giovanni della Croce)
Sta a noi, e solo a noi, cercare di capire quale è la vera prova, trovare il coraggio di affrontarla e la forza di perseverare, comprendere se ci è chiesto di insistere o di cedere, di avanzare impetuosi o arretrare prudenti.
“Il lavoro è destinato alla purificazione della mente, non alla percezione della Realtà. La presa di coscienza della Verità avviene per mezzo della discriminazione, e a nulla valgono dieci milioni di atti.”
(Sankara)
Gli altri ci possono essere amici e consiglieri, sprone e aiuto, ma su quel ponte c’è spazio solo per noi
“All’inferno non brucia altro che l’io”
(Theologia Deutsch)
ed a noi tocca decidere se il nostro destino è quello di giungere sull’altra sponda o proseguire alla ricerca di un guado che più si confà a noi, consapevoli che, qualunque sia la nostra decisione, noi non saremo più quelli di prima.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto...”
(Vangelo secondo Luca, 11,9).
Aldilà delle volontà, delle speranze, degli auspici e dei desideri, quello che conta – alla fine dei conti – sono i fatti compiuti.
Proteggere la tua casa con cerimonie misteriose non è abbastanza; devi custodirla con le tue buone azioni.
Con le buone azioni devi rivolgerti verso i tuoi genitori a Est, i tuoi maestri a Sud, tua moglie e i figli a Ovest e i tuoi amici a Nord.
Con le tue buone azioni onora lo spirito sopra di te e, sotto di te, sempre con le tue buone azioni, onora tutti coloro che ti servono.
(Majjhima Nikaya)
Ed alla fine eccomi qui, in una sera d’estate, in un garage-officina, che armato di lime e tele-smeriglio sto per pulire i “bo-shuriken” forgiati qualche giorno prima. Mi accingo a farlo in maniera meccanica e quasi un po’ insofferente, ma dopo il primo mi fermo, c’è qualcosa di stonato, di distonico, di inopportuno.
Eppure… eppure.
La lima è quella giusta, la grana della tela-smeriglio opportuna, cosa manca?
Manco io, realizzo. Manca la mia intenzione e la mia attenzione.
Il lavoro che mi accingo a fare non può e non deve essere eseguito in maniera distratta, sprecherei una occasione importante.
Mi pare che quei pezzi di ferro arrugginiti non mi stiano chiedendo pietosa attenzione, ma mi stiano consigliando di non sprecare questa occasione. “Pulisci noi e pulirai te stesso. Affila noi e affilerai te stesso, donaci attenzione e ti darai attenzione”, sembrano suggerirmi.
Strano? Assurdo?
Si, forse si per la maggior parte di coloro che leggeranno queste righe, che sarebbero dovute rimanere mai scritte. Ma un amico (e spero che lui mi conceda l’onore di considerarlo tale) mi ha telefonato stamattina segnalandomi una sua riflessione pubblicata su un blog, e da un breve scambio di battute è scaturita la riflessione che avete appena letto.
Ecco, credo che a lui, e ad altri con la sua stessa capacità di sentire, quanto ho scritto non sembrerà poi troppo strano; poi magari qualcuno dirà che ho "sgrossato la mia pietra grezza", altri che ho compreso che "Dio è nei dettagli", altri ancora che la mia è una personale variante del consiglio riportato nella Tavola XIV del "Mutus Liber", e forse tutti avranno ragione ma aloro ed agli altri, a tutti gli altri, basti sapere che mi attende un fine settimana di lavoro, in cui il movimento lento e costante della lima e dello smeriglio sull’acciaio sarà il mio personale mantra, come è giusto che sia.