Lo scopo di queste poche righe è rendere esplicito il mio punto di vista, sollecitato in una discussione privata da alcuni amici. Essendo quella che segue la mia opinione, la stessa è – ovviamente ed etimologicamente – opinabile, non ha quindi la pretesa di esser “più vera” o “più giusta” di quelle di altri, che magari la pensano in maniera diametralmente opposta da me, è una delle tante, possibili e legittime opinioni, che esprimo anche (e soprattutto…) a beneficio dei miei allievi, perché mi pare giusto è opportuno che sappiano in che “mani” hanno affidato il loro percorso sulla Via (in realtà ne abbiamo parlato diverse volte, ma “verba volant, scripta [anche se elettronica] manent”…).
Pur avendone avuto la possibilità, il sottoscritto non ha mai chiesto il “riconoscimento” Aikikai dei propri gradi, e questo per due motivi, uno “etico” ed uno “pratico”. Il primo è che non mi interessava avere un riconoscimento da un insegnante che – sia pure validissimo e autorevolissimo – io non avessi mai visto e che – soprattutto – non avesse mai visto me. I pochi gradi che ho li ho ottenuti (in alcuni casi, quasi senza neanche chiederli…) da insegnanti con cui c’è un rapporto costante, anche se non frequente, che riconosco come insegnanti ed a cui chiedo di permettermi di tentare di imparare quello che insegnano. Nello specifico, i gradi di Aikido che ho ottenuto mi sono stati concessi al M° Paolo Corallini per quanto riguarda la TAAI, e grazie al M° Massimo Aviotti per quanto riguarda la FIJLKAM. Non sono gli unici insegnanti che ho incontrato, ma sono coloro al cui giudizio mi sono affidato. Avere un diploma Aikikai rilasciato dal Doshu - che non mi ha mai visto e che quasi sicuramente mai vedrò – non avrebbe aggiunto nulla a quel poco che so, ed avrebbe solo aumentato il volume dello spazio in archivio occupato dai diplomi arrotolati già presenti.
Il secondo motivo, più prosaico, è brutalmente economico: oramai valuto la spesa di determinate attività in “seminario equivalente” per decidere se è opportuno affrontarla. Un metodo rozzo ma efficace, quando hai troppi chilometri e poche risorse economiche per migliorare le tue conoscenze. Il primo bokken serio l’ho acquistato ad un prezzo vantaggiosissimo pochi anni fa, al prezzo di un “seminario equivalente”, prima – semplicemente – preferivo investire quella somma in un seminario da frequentare con un bokken da una decina di euro piuttosto che stare a casa a rimirare il mio bokken da un centinaio di euro.
Stessa cosa per la hakama (“regalatami” dal mio primo insegnante) e per il jo (effettivamente regalatomi dal compianto M° Gianfranco Leone, credo per intercessione del M° Corallini).
Idem per i keikogi, a cui non dedico più di qualche decina di euro, essendo sostanzialmente “materiale di consumo”.
Ecco, se magari avessi molti più soldi da spendere per vivere la mia pratica e vellicare il mio ego, magari un pensierino al certificato Aikikai lo avrei fatto, ma stando così le cose, continuo a preferire frequentare seminari e viaggiare per l’Italia a scambiare tecniche, sudore e risate con gli amici.
Eccezione a quanto sopra è costituita dalla graduazione nella Shiseikan, Scuola giapponese di Daito Ryu Aikibudo, in cui dovrei (il condizionale è d’obbligo per i motivi che saranno più chiari nelle righe seguenti…) aver conseguito il grado di Shodan.
L’attuale Hombu-cho, per motivi di età e personali, è impossibilitato a venire in Italia e negli anni scorsi ha delegato due Istruttori a rappresentarlo in occasione dei seminari. Gli stessi istruttori hanno il compito di esaminare gli allievi per il passaggio di grado (sia Kyu che Dan). L’esame a cui io mi sono sottoposto l’anno scorso è stato condotto dai due Shihan delegati dall’Hombu-cho e videoregistrato integralmente; i due Shihan hanno valutato le tecniche eseguite ed espresso per ciascuna di queste una votazione riportata su un registro. La valutazione era condotta in maniera “riservata” da ciascun esaminatore, ovvero l’esaminatore Tizio non sapeva il voto espresso da Caio, e viceversa.
I due registri d’esame, insieme alla videoregistrazione, sono stati sottoposti alla visione dello Hombu-cho; qualora questi rilevi evidenti differenze nella votazione della stessa tecnica da parte dei due esaminatori chiede loro spiegazioni, e comunque confronta la loro valutazione con l’esecuzione videoregistrata dell’esame valutato. Se – e solo se – lo Hombu-cho ritiene che l’esame sia stato sostenuto con sufficiente perizia, l’esaminato viene promosso e nel corso del seminario successivo a quello a cui ha sostenuto l’esame, gli viene consegnato il certificato di graduazione vistato dallo stesso Hombu-cho.
Certo, non ho sostenuto l’esame fisicamente davanti allo Hombucho, ma sono quantomeno sicuro che se deciderà di concedermi il grado, lo avrà fatto avendo quantomeno visto in video come lo ho svolto ed avendo confrontato la valutazione di due insegnanti da lui delegati a farlo. Una soluzione apparentemente macchinosa e che certamente ha tempi lunghi, ma che credo sia un ottimo compromesso per limitare “errori di valutazione” e tentazioni scorciatoie poco chiare.
Altri decideranno diversamente, ma appartengo ad una generazione che ha visto tantissime persone spendere fior di quattrini acquistando i mirabolanti prodotti offerti dalla “Same Govi” per non essere consapevole che c’è stata, c’è e ci sarà sempre molta gente che crede che con i soldi si possa ottenere anche l’impossibile.