In molte fattorie del Giappone centrale e orientale del XVII° e XVIII° secolo il kamidana veniva sistemato vicino alla tradizionale bassa alcova decorativa (oshi-ita) presente nel soggiorno (hiroma) mentre in rari casi, nelle case che avevano esclusivamente caratteri shintoisti ed erano quindi prive del butsudan, il kamidana era sistemato in una delle stanze di ingresso (zashiki).
Come detto, ci sono diversi modelli di kamidana, dalla semplice mensola di legno alla elaborata miniatura di un tempio tradizionale; tra gli oggetti che ospitano ve ne sono alcuni che sono comuni a tutti gli altari per il loro valore simbolico condiviso, su cui ci soffermiamo brevemente con una veloce descrizione. Il primo è lo shimenawa, o anche più brevemente shime, che è una corda di paglia di riso intrecciata dalla quale pendono striscioni di carta bianca. Questo festone è usato nel culto shintoista per indicare un luogo o oggetto sacro (ad esempio un albero, un sasso, un recinto, etc.). La parola shimenawa è composta da tre kanji: uno è nawa (corda), mentre gli altri due corrispondono grosso modo ai termini "scrosciare" (sosogu) e "serie", "gruppo", "raccolta" (ren) perchè dallo shimenawa pendono striscioni di carta raccolti come un flusso scrosciante. Quasi sempre presente è una composizione floreale, un bonsai o un ramo di sakaki, nome giapponese della Cleyera japonica, considerato sacro nel culto shintoista e dal cui legno vengono ricavati oggetti rituali come il gohei, una bacchetta usata nelle cerimonie come strumento di purificazione. La parola sakaki è composta da un unico kanji che contiene al suo interno i significati che le sono attribuiti: a sinistra il radicale di albero (ki) e a destra il carattere che indica la divinità (kami). Altrettanto spesso sul kamidana ci sono uno o due strisce di tessuto di cinque colori (goshikinuno), detti anche ma-sakaki, realizzati ad immagine dei tre “divini veicoli”, un piccolo specchio (kagami) quale indicazione della Verità e di una mente libera da ogni pregiudizio; delle candele, come anche nel caso degli altari occidentali, per richiamare la luce Divina ed indicare la purificazione per mezzo del fuoco sacro e bruciatori di incenso in grani o in bastoncini.
Uno spazio al centro del kamidana è poi riservato alle offerte di cibo: riso, che può essere crudo o cotto e che in quest’ultimo caso, dopo l’offerta, deve essere mangiato; una ciotola d’acqua per indicare la semplicità e la chiarezza, del sale per indicare la Purezza e del sake. Compatibilmente con gli spazi a disposizione, i kamidana rispettano dimensioni e proporzioni con specifici significati simbolici. Per concludere, un rapido accenno al saluto rituale che viene dedicato al kamidana: ci si inchina per due volte in segno di rispetto verso i kami, si battono due volte le mani, per scacciare gli spiriti maligni e richiamare quelli propizi e poi ci si inchina per un’altra volta; dopo la preghiera o la pratica – nel caso di un Dojo – si ripete la stessa sequenza, che può essere eseguita sia in piedi che in ginocchio (seiza).
Immagini tratte dal sito internet www.hamakurashop.com