Come sa bene chi pratica arti marziali orientali, ogni momento della vita presenta un aspetto omote ed uno ura. L’aspetto omote è quello visibile, evidente, facilmente percepibile. L’evento ura è quello più nascosto, in ombra, meno apparente.
In base alla mia modesta esperienza, mi sento di affermare con ragionevole sicurezza che nell'Arte, come nella vita, valgono sempre gli stessi Principi universali. E così, absit iniura verbis, e senza sfociare nella ossessiva paranoia del Sgt. Hartman, considero le armi che impieghiamo nella pratica dell'Arte come "compagne di Via", che vanno trattate con la stessa cura ed attenzione che dedichiamo (o dovremmo dedicare...) alla persona in carne e ossa con cui condividiamo un pezzo della nostra vita.
Capita sovente di leggere ed ascoltare discussioni in cui gli interlocutori mettono in discussione il sistema di esame e concessione dei gradi tecnici in vigore nelle Scuole di Arti marziali praticate e nelle Federazioni ed associazioni che ne sono la loro necessaria propaggine burocratica amministrativa. Facciamo subito piazza pulita spiegando che dal novero della discussione sono esclusi gli accaparratori di gradi con specializzazione nel salto della federazione, i clonatori più abili con scanner e fotoritocco che con keikogi e hakama, i Soke-fondatori autonominati dalle origini fumose e quelli che in un fine settimane affermano di aver imparato (e di poter insegnare…) un menkyo kaiden. Rimangono in pochi, forse, ma comunque abbastanza per poter costituire un campione statistico, sono quelli che – come me – sono afflitti da tanti difetti ma non dal feticismo da diploma.
Fatte salve le comprensibili necessità pratiche della struttura fisica che lo ospita, un Dojo non ha porta. Ciò non significa, come alcuni purtroppo credono, che da un Dojo si possa entrare o uscire come e quando ci aggrada, incuranti delle attività che sono in corso, ma piuttosto che nessuno dovrebbe essere obbligato all’ingresso o all’uscita contro la volontà propria o altrui.
Fare il primo passo dopo la soglia dell’ingresso è – ovviamente – tutt’altro che esservi accettati, così come si può essere distanti da un Dojo per anni e chilometri, senza esserne in realtà mai usciti. Anche questo principio, come quello riportato in precedenza, lo dobbiamo al Maestro Takuan. il Ri da questi spiegato è il controllo assoluto dello spirito che si pone in essere con la liberazione da se stessi, spogliandoci da tutte le cose terrene. Questo tipo di condotta interiore, il “non aderire” (mushotoku) ai fenomeni non visibili oggettivamente (Shiki), raggiungibile esclusivamente attraverso l’assoluto superamento dell’Io, riconduce all’insegnamento di Buddha e, nel medioevo giapponese, divenne nel Bushido l’insegnamento essenziale della filosofia delle arti marziali.
Da qualche anno ormai, mi piace celebrare le festività natalizie con un piccolo scambio di doni con gli allievi del nostro Dojo. Ogni anno ho cercato di regalare qualcosa che fosse unico ed interessante aldilà del valore economico, spesso ricorrendo al ricco catalogo di Hamakurashop, altre volte scegliendo aggetti un po’ meno “orientali” ma – spero – altrettanto validi.
E’ questo il caso di quest’anno, in cui ho donato ai membri del Dojo un piccolo libretto, non recentissimo, ma che credo conservi, nonostante gli anni, una profonda attualità. Si tratta di “Nessun luogo è lontano” di Richard Bach, lo stesso autore del forse più famoso “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Anche in questo libro si parla di volo e di sogni, di compagni che ti comprendono e di altri che non ti capiscono, di viaggi senza meta e di contingenze quotidiane. Un libro piccolo e colorato, apparentemente quanto di più lontano possibile dalla austera monocromia orientale, eppure…. Eppure credo che questo libro sia molto interessante per chi sta percorrendo una Via, quale che sia il risultato che voglia raggiungere, perché per il Viandante è certamente più importante andare che arrivare, ma è altrettanto importante avere al fianco compagni con cui valga la pena condividere il viaggio e persone per cui questo viaggio valga la pena farlo. C’è questo, credo, in questo libretto, semplice ma non banale, c’è questo e credo tanto altro, e mi auguro che coloro a cui ho avuto il piacere di donare questo libro potranno apprezzarlo così come io continuo a fare. E’ un libro che ogni tanto riapro a caso e le cui pagine continuano ad affascinarmi, un libro che mi fa credere che in fondo, il nostro viaggio valga davvero la pena di essere fatto. Quasi tutti i praticanti di arti marziali marziali cinesi conoscono il Pa Tuan Chin, o Baduanjin, (letteralmente: "otto pezzi di broccato", perché il benessere psicofisico che procura è prezioso come la seta pregiata), una serie di otto esercizi che abbinano all'allenamento muscolare e respiratorio un massaggio degli organi interni e che si ritiene facilitino lo scorrere dell'energia vitale nei “canali” chiamati “Jing Luo”, praticati solitamente all’inizio di ogni sessione di allenamento con lo scopo di termoregolare in modo uniforme tutti i gruppi muscolari e di sciogliere le articolazioni, onde evitare stiramenti o altri incidenti dovuti alla mancanza di riscaldamento.
Il Pa Tuan Chin venne introdotto in Cina dal generale Yueh Fei, un eroe cinese maestro di combattimento a mani nude e con la lancia che visse tra il 1103 e il 1142. Yueh Fei, mise a punto gli esercizi del Pa Tuan Chin con l'intenzione di dotare i militari di un valido sistema di riscaldamento muscolare e di scioglimento articolare, che facilitasse l'allenamento marziale. Yueh Fei, creò il Pa Tuan Chin unendo in una sola pratica alcune delle migliori tecniche di respirazione del Taoismo ed i 18 esercizi di Ta Mo (chiamato anche Bodhidarma) che venivano già praticati dall'anno 600 d.C. Questo articolo ha lo scopo di illustrare in maniera sommaria le similitudini e differenze tra la scherma sino-nipponica e quella occidentale. Il lavoro originale risale alla fine del 2007 ed ha visto la luce grazie ai contributi di alcuni utenti della sezione “armi bianche” di www.forumartimarziali.com . Tra questi, un particolare debito di riconoscenza va espresso ancora oggi a Carletto, Jon, Rodomonte e Viviolas, per i loro contributi in pubblico e in via privata. Grazie ragazzi! (NdR)
Alcuni utenti hanno fatto una sintetica descrizione dei colpi che vengono portati durante la pratica, sia del ken-jutsu giapponese che delle varie Scuole di scherma europea. Le descrizioni dei colpi sono ovviamente indicative, e non possono (ne’ hanno la pretesa) di sviscerare il metodo e la strategia che li originano; lo scopo del confronto non era il desiderio di voler eleggere la scherma più efficace ma più che altro il fornire una serie di elementi ai vari praticanti per consentire di conoscere a livello basico quanto praticato da altri. Se non mancano le differenze - e non potrebbe essere diversamente viste le differenze di armi, protezioni e tattiche impiegate – pure alcuni punti di contatto possono essere trovati, illuminando sotto una luce diversa, tecniche e pratiche note e conosciute. Chi ha qualche anno superato l’età adolescenziale, ricorderà che per imparare a scrivere sui banchi dell’asilo ha riempito pagine e pagine di quaderno con aste e pallini tracciati prima con mano malferma e poi via via più precisa; quegli strani segni servivano per tracciare altri segni più complicato chiamati “lettere”, che corrispondevano ad un suono ben preciso. Passati alle scuole elementari o medie si scopriva poi che le lettere avevano avuto origine da antichi alfabeti in cui rappresentavano simbolicamente animali, oggetti o altri componenti della realtà circostante. Ad un occidentale abituato ad un alfabeto fonetico e dimentico delle origini, potrà allora apparire senz’altro originale l’origine ideogrammatica dei caratteri sino-giapponesi, a volte composti da uno o due tratti, altre volte ricchi di ghirigori incomprensibili e impossibili da interpretare.
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Marzo 2017
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