La hakama è invece solitamente nera o blu, e questo per un motivo eminentemente pratico, poiché era una componente tradizionale dell’abbigliamento dei samurai, usata per proteggere le gambe dei cavalieri da graffi, strappi e ferite che potevano provocargli rovi, cespugli e rami bassi, al pari dei gambali di cuoio indossati dai cow-boy americani protagonisti di tanti film ambientati nel Far West. Il tipo di impiego rendeva la “hakama” facilmente soggetta a macchie e strappi e la necessità che le tracce delle prime ed il rammendo dei secondi fosse il meno visibile possibile per questioni di etichetta, portò a prediligere l’impiego di stoffe di colore scuro. Quando poi la classe dei samurai venne “disarcionata” e divenne più simile ai fanti, questi orgogliosi guerrieri continuarono a indossare la hakama per distinguersi dagli altri soldati ed essere più facilmente identificabili, nonostante si fosse di molto ridotta la sua necessità pratica.
Nei secoli che videro la presenza e l’attività della classe samurai, si sono indossate diverse tipologie di “hakama”, in funzione delle condizioni di impiego e delle consuetudini sociali; quella indossata al giorno d’oggi dagli artisti marziali è chiamata joba-hakama, un tipo abbastanza semplice che permetteva ad un cavaliere di montare la cavalcatura con un unico, rapido movimento. Un altro modello di hakama era una specie di gonna tubolare senza divisione delle gambe ed un terzo tipo era invece una versione allungata della seconda, che veniva indossata da coloro che si recavano a far visita dallo Shogun o dall’Imperatore. Quest’ultima era lunga all’incirca quattro metri ed era ripetutamente piegata tra i piedi ed il sedere del visitatore, obbligandolo a muoversi solo in shikko (la caratteristica “camminata sulle ginocchia”) e rendendogli così estremamente difficile nascondere un’arma o alzarsi velocemente per attaccare il suo ospite (a meno di non essere un campione di corsa nel sacco!).
Un’altra caratteristica della hakama sono le sue sette pieghe, (cinque frontali e due posteriori) che in molte Scuole hanno il seguente significato simbolico, ispirato ai valori del Bushido:
Yuki = Coraggio, valore, ardimento.
Jin = Umanità, carità, benevolenza.
Gi = Giustizia, integrità morale, senso dell’onore.
Rei = Rispetto, obbedienza, cortesia, gratitudine.
Makoto = Sincerità, onestà, verità.
Chugi = Lealtà, fedeltà, devozione.
Meiyo = Onore, gloria, reputazione, prestigio.
Proprio per il loro profondo significato simbolico, oltre che per questioni di etichetta, le pieghe della hakama dovevano essere sempre dritte e definite, ad indicare la saldezza e la consistenza delle virtù e delle caratteristiche rappresentate. Alla fine del keiko, che è ben più di un allenamento mera-mente fisico (come illustrato in un articolo di qualche mese fa), ciascuno deve ripiegare con cura la sua hakama, non solo perché conservi la forma senza false pieghe, ma anche per ricordarsi e riflettere su ciascuna delle qualità simboleggiate dalle pieghe stesse, che dovrebbero guidare il praticante in ogni momento della sua vita, dentro e fuori dal Dojo.