La maggior parte di noi hanno usato la parola “Deshi”, spesso senza sapere con precisione cosa significasse; molti l’hanno tradotta semplicemente come “studente” ma in realtà il termine ha un significato più profondo, poiché in giapponese il termine “studente” si traduce come “gakusei” mentre il termine “discepolo” come “deshi”, e questa è una differenza. Diamo una occhiata ai kanji del termine “Deshi”, composto da due caratteri: il primo è TEI, DAI, DE e significa “fratello più giovane” mentre il secondo è SHI, SU, KO che significa “bambino”, mentre in “Kanji & Kana” il significato di “deshi” è “alunno, apprendista o discepolo”.
Come abbiamo visto prima, c’è il significato “assistente di un insegnante a studenti”; può questo significare solamente l’essere lo studente anziano del Dojo? Oppure significa essere sulla strada per diventare un insegnante? Bel dilemma... A molti di noi, quando hanno cominciato a frequentare un Dojo tradizionale, è stato detto che ci si aspettava che fossimo un po’ più che semplici studenti; può esserci persino stato detto che dovevamo essere dei deshi o dei discepoli, qualcosa che per alcuni poteva essere abbastanza scoraggiante. A causa di motivazioni religiose alcuni possono interpretare il termine “discepolo” come un traguardo da raggiungere, ma dopotutto noi probabilmente non vogliamo aderire ad una comunità religiosa, specialmente se questa è sostanzialmente diversa dalla religione in cui siamo cresciuti.
Ho il forte sospetto che è per questo motivo che il reale significato di deshi non venga spiegato agli studenti principianti piuttosto che – forse – per una banale ignoranza del significato stesso. Comunque sia, ritengo che una comprensione del significato di questo termine e di ciò che implica sia necessaria per una reale comprensione delle tradizionali Arti marziali nipponiche e del nostro ruolo nella pratica delle stesse. Primo, è importante tenere a mente che lo scopo di una Ryu (Scuola tradizionale nipponica) non è quello di insegnare un arte marziale... “Cosa? Ma allora cosa dovrebbero fare?” si chiederà qualcuno; beh, lo scopo di una Ryu è la continuazione della stessa Ryu ed è perché questo avvenga, che nella Ryu si insegna un arte marziale. L’insegnamento dell’arte è quindi un “mezzo” e non un “fine”.
Come molti sanno, la maggior parte delle Ryu non considerano qualcuno un membro a tutti gli effetti della Scuola finchè costui non ha conseguito almeno il grado di shodan; ovviamente, il tempo che l’aspirante membro trascorre come mudansha è una specie di periodo di prova, per verificare se è pronto ad assumersi la responsabilità di essere un deshi della Ryu. Perciò, vediamo che un vero deshi è qualcuno che la Ryu considera conveniente addestrare, piuttosto che qualcuno che ritiene (a torto o a ragione...) di avere qualcosa da offrire alla Ryu. Dal punto di vista delle necessità della Ryu, questa abbisogna di membri che intendono operare per la continuazione della Scuola, e non per il proprio tornaconto o successo personale, poichè per la mentalità giapponese, ciò che è bene per la comunità ha la precedenza sulle esigenze del singolo. In questo caso, la comunità è la Ryu e l’ego personale è un male per la Scuola.
Ora un cambio di prospettiva: un deshi è qualcuno che la Ryu considera un potenziale erede della Scuola, quindi essere un deshi comporta assumersi delle responsabilità precise; non si può semplicemente andare in giro a fare l’ “artista marziale” ma bisogna essere all’altezza di rappresentare la Ryu. Questo concetto si applica nella maggioranza delle Arti non-marziali che alcuni di noi studiano? Forse no, e questa constatazione non vuole essere un attacco all’Arte praticata da ciascuno di noi, ma è solo l’evidenza di una notevole differenza tra una scuola che sostanzialmente enfatizza le tecniche di combattimento e un’altra che considera la propria continuazione nel tempo come obbiettivo di suprema importanza, aldilà del fatto che nella Ryu si pratichi e studi kenjutsu, ikebana o altro. Si tratta di una differenza sostanziale nell’intento da perseguire e nella “forma mentis” adottata per farlo. Un deshi può esistere solo in una Scuola che è una Ryu; il termine Ryu può essere tradotto come: “corrente, flusso, ruscello, fuoriuscire, essere influenzati da, passaggio del tempo, discendenza, scuola, stile, forma, maniera, sistema, classe, ordine di appartenenza, grado gerarchico”, oltre al altre definizioni.
In altre parole, abbiamo visto che un deshi è il potenziale erede e successore di una tradizione o di un sistema familiare che, nel nostro caso, è incidentalmente un’Arte marziale. Per essere davvero un deshi bisogna dare se stessi aldilà delle necessità della Ryu; da uno shodan non ci si attende più di un comportamento dignitoso ed una conoscenza delle tecniche e dei principi basilari, ma via via che si sale di grado bisogna assumersi responsabilità sempre maggiori e cominciare a mettere da parte i propri desideri personali. Un buon esempio di questo assunto è costituito dalla figura dell’istruttore: in molte Ryu questo ruolo è ricoperto da membri che abbiano almeno il grado di renshi, in altre è normalmente richiesto come minimo il grado di yondan. Questo requisito fa si che il tempo necessario per conseguirlo consenta non solo al deshi di diventare pratico del cerimoniale della Ryu ma anche di sviluppare una propria personale dignità. Ora è bene chiarire le differenze tra il deshi di una Ryu ed un deshi personale; ovviamente diventare deshi di una Ryu è il massimo obbiettivo raggiungibile, ma un allievo può anche diventare deshi di un praticante anziano. Questa è una scelta diversa e poco comune in cui un praticante decide di eleggere un praticante esperto come proprio mentore, che non è la stessa cosa che l’essere lo studente più anziano del Dojo o perfino avere molti incarichi come sensei o insegnare in più di un Dojo, è piuttosto un maggiore e formale impegno di dedicare più tempo e sforzi all’insegnamento di quanto già faccia un praticante anziano.
Diventare un uchideshi significa entrare in una relazione così intensa e personale col proprio insegnante che solo pochi tra coloro che non l’hanno sperimentata possono comprenderla. E’ importante rilevare che in questa relazione anche il sensei ha degli obblighi verso lo uchideshi poichè, come tutte le relazioni che si basano su un mutuo accordo e sulla reciproca comprensione, si tratta di uno scambio nei due sensi. Ragazzi, la cosa si sta facendo complicata. Ma d’altronde, chi ha mai detto che la cultura giapponese sia qualcosa di semplice? Lasciatemi provare a semplificare un pochino le cose: uno studente principiante non può essere un deshi di una Ryu finchè non abbia raggiunto almeno il grado di shodan. Senza Ryu non ci sono deshi. Dopo essere diventato deshi, col tempo che passa e l’aumento di grado, uno può essere sempre più coinvolto nel ruolo di deshi. Per essere sicuro, uno studente deve essere leale con il suo sensei e con il Dojo in cui è stato accolto come studente (e si noti la differenza tra “essere accolto” ed “essersi iscritto”).
Ma essere un deshi richiede un impegno che molti non hanno voglia di compiere, ed è questa una delle particolarità che caratterizza una classica Ryu giapponese rispetto al resto del mondo delle Arti marziali.
Un occhio attento rileva la differenza.