L’articolo seguente è la traduzione di un capitolo del libro di Nishioka Tsuneo intitolato “Budo-teki na Mono no Kangaekata: Shu, Ha, Ri” (Budo Via del Pensiero: Shu, Ha, Ri). La traduzione dal giapponese è spesso problematica a causa della ambiguità propria dello stile tradizionale di scrittura dei saggi nipponici. Con l’obbiettivo di chiarire le idee dell’autore e di presentare al meglio il suo pensiero, il testo originale è stato arricchito con una serie di conversazioni personali avute con altri autori, con lo scopo di trasmettere la sensazione dell’insegnamento trasmesso dal maestro al discepolo. Si noti che in questo articolo i suffissi –do (Via) e –jutsu (abilità o pratica) sono usati nella accezione giapponese, che non fa una distinzione netta e precisa tra i due termini. In particolare l’autore non ritiene che questi rappresentino due entità separate, quanto differenti aspetti di una singola realtà, che viene a volte definita Budo, altre volte Bujutsu, percui quando nell’articolo seguente varrà impiegato l’uno o l’altro termine, questo dovrà intendersi come comprensivo sia della definizione relativa tanto alle arti classiche (Ko Ryu) quanto a quelle moderne (Gendai Budo). L’articolo comincia con una disanima del concetto giapponese di “Rei”, termine che presenta una notevole difficoltà di traduzione; anche se infatti può essere tradotto come “decoro”, “etichetta”, “cortesia”, “educazione”, nessuno di questi termini corrisponde completamente al concetto giapponese, così si è preferito lascialo non tradotto, immaginandolo come la qualità e l’essenza delle corrette relazioni tra individui.
Diane Skoss (traduttrice)
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Il cuore del bujutsu è il “rei” ed è responsabilità dell’insegnante trasmettere questo concetto agli allievi. Se ciò non avviene, questi ultimi possono tenere comportamenti scorretti e perdere il vero significato dell’addestramento. Sfortunatamente, al giorno d’oggi ci sono tanti esempi di abuso di potere nel Budo giapponese e solo pochi maestri insegnano correttamente i principi del Budo. il Rei nel Budo è diventato artificiale, somigliando alla gerarchia militare nipponica “vecchio stile”. Il vero significato del Rei non è più espresso e vediamo preservata solo la parte peggiore delle tradizioni e cultura giapponesi, cosa che rende necessario trovare un modo per cambiare questa situazione. Il Bujutsu è guidato dal Rei e l’istruttore agisce in maniera da condurre idealmente i suoi studenti verso un traguardo più elevato ma alcune persona, anche abili o in possesso di un grado elevato, mettono da parte ciò che dovrebbero aver imparato circa il Rei. Coloro i quali omettono di praticare così diligentemente da migliorare lo spirito così come migliorano la tecnica è come se dimenticassero l’umiltà del vero Rei e finiscono per diventare irrispettosi e orgogliosi.
Una volta, il mio insegnante, Shimizu Takaji Sensei (1896-1978), mi disse di non copiare il modo di praticare del suo studente Otofuji Ichizo Sensei. Finche non si riflette attentamente su quello che Shimizu Sensei voleva realmente dire, la sua affermazione potrebbe facilmente essere fraintesa. Egli sapeva che c’erano diverse differenze tra il suo modo di usare il jo ed il tachi e quello in cui li usava Otofuji Sensei; perfino nei Kata di bujutsu è naturale che ci siano differenze tra le varie esecuzioni, poichè persone differenti hanno differenti livelli di conoscenza della tecnica e differenti livelli di predisposizione mentale. Questo comporta che i praticanti possano muoversi in modo leggermente differente tra loro e che possano trasferire queste caratteristiche individuali nel loro insegnamento successivo. Shimizu Sensei temeva che gli studenti inesperti potessero notare queste differenze, confondersi ed insospettirsi e credere che l’uno o l’altro modo fosse sbagliato. Egli sembrava preoccupato dagli inevitabili errori che potevano essere causati dal fatto che uno studente non volesse o non potesse seguire un solo insegnante e mi esortò a seguire un unico istruttore per la maggior parte possibile del tempo e ad evitare di confondermi guardando altri insegnanti.
Avere più di un insegnante può creare seri problemi all’addestramento ma d’altra parte, pretendere che gli studenti seguano ciecamente “uno ed uno solo” insegnante può generare delle fazioni e impedire che studenti di differenti istruttori riescano a praticare insieme.
Quando uno spettatore osserva l’esecuzione di un kata, gli sembra che Uchidachi perda e Shidachi vinca, e questo è intenzionale, ma c’è molto più di questo. Uchidachi deve avere lo spirito di un genitore che educa un figlio, e deve guidare Shidachi eseguendo un attacco realistico; questo permette a Shidachi di imparare la corretta postura del corpo, la distanza di pratica, lo spirito corretto e la percezione della opportunità di attacco. Uno spirito umile è la condizione necessaria per Uchidachi, al pari di una tecnica corretta. Falsità, arroganza e la attitudine alla prevaricazione non devono mai essere consentite durante la pratica, ricordando sempre che la missione di Uchidachi è di vitale importanza. In passato questo ruolo era assegnato solo ai praticanti esperti, capaci di eseguire una tecnica precisa ed avevano la giusta attitudine e la corretta comprensione del compito. Uchidachi deve offrire un esempio di precisione nelle linee di taglio, e nella gestione della distanza di pratica mantenendo sempre una espressione autorevole e concentrata.
Se Uchidachi è il genitore – insegnante, allora Shidachi è il figlio – discepolo, il cui obbiettivo è fare proprie le abilità mostrate dalla tecnica di Uchidachi. Purtroppo gli studenti spesso agiscono come se volessero mettere alla prova la propria perizia contro quella di un Uchidachi più esperto, vivendo il confronto più come una competizione che come un addestramento. Nei fatti, poichè la corretta relazione tra Uchidachi e Shidachi è traviata, questo comportamento non porta ne ad un miglioramento della tecnica e neppure ad una crescita spirituale. Solamente la ripetizione costante della tecnica con una disposizione d’animo come quella tra genitore e figlio consente la crescita dello spirito attraverso la pratica. I ruoli di Uchidachi quale esperto e Shidachi quale principiante vanno conservati senza considerare l’effettivo livello di esperienza dei partner, poiché il kata va praticato in maniera che entrambi imparino sia a “dare” che a “ricevere”, in maniera da rendere possibile un miglioramento tecnico e una crescita spirituale. Sfortunatamente, nella pratica con il jo o con il ken, a volte si pensa che praticare l’uno o l’altro ruolo consista nella sola memorizzazione della sequenza dei movimenti da eseguire, e ci sono persino alcuni istruttori che insegnano che lo scopo dello Shinto Muso-ryu jujutsu sia come imparare a vincere un attaccante armato di spada impiegando un bastone, ma questo è un errore e se questo errore persevererà il kata di bujutsu moriranno, poichè la tecnica e lo spirito di Uchidachi non saranno adeguatamente sviluppati.
Al giorno d’oggi ci sono poche persone che eseguono correttamente il ruolo di Uchidachi; io credo che il bujutsu possa evolvere nel budo solo se preserva i concetti di Uchidachi e Shidachi, poiché questa idea è una caratteristica fondamentale del bujutsu classico. Sebbene le Arti giapponesi, quali kenjutsu, iaijutsu e jojutsu, siano state trasformate da “jutsu” in “do”, se il ruolo di ciascun praticante non è correttamente conservato l’Arte “do” procederà in una direzione errata. Ovviamente, c’è una differenza tra tentare di conservare la corretta distinzione tra Uchidachi e Shidachi pur senza raggiungere la perfezione, ed una completa mancanza di impegno o comprensione circa questa distinzione. L’esistenza di una intenzione o la qualità dell’intenzione stessa si manifesta nella azione e nella pratica quotidiana, e coloro che hanno gli occhi per vederla ed esperienza per valutarla possono spiegare la differenza.
Comunque la mia opinione è che attualmente poche persone abbiano compreso questo concetto, e nel futuro queste persone saranno ancora meno, poiché diminuisce l’impegno e la capacità di comprendere che l’esistenza di Uchidachi e Shidachi è l’essenza dell’addestramento al budo. Considerando tutto ciò, sono convinto che la cosa più importante che ho appreso dal Shinto Muso-Ryu e da Shimizu Takaji Sensei sia il ruolo di Uchidachi e Shidachi nel kata. Non c’è alcun modo di trasmettere un kata della tradizione classica giapponese senza una corretta comprensione dello spirito del dare e del ricevere. Nell’eseguire il ruolo di Uchidachi, i praticanti più esperti non hanno il diritto di maltrattare o umiliare i principianti, mentre al contrario il loro compito è di guidarli ed educarli.
Allo stesso modo è terribile vedere Shidachi assumere un atteggiamento “patricida” tentando di distruggere Uchidachi, situazione che porta ad affermare che questo spirito non è mai esistito. Shimizu Sensei diceva sempre “Voi dovete praticare sempre con me” (ovvero ciascuno deve praticare con il proprio insegnante); egli assumeva sempre il ruolo di Uchidachi e perfino quando praticava con i principianti non rilassava mai la sua attenzione, mantenendo una espressione seria con tutti, senza mai essere arrogante o prevaricatore nei confronti degli altri. Io credo che questa attitudine sia il più importante insegnamento del kata di bujutsu, e l’addestramento di Shimizu Sensei ne era un meraviglioso esempio. Questo spirito è difficile da educare, non solo nel jojutsu ma anche in qualsiasi altra situazione, ed è completamente differente da quello di un istruttore o un praticante esperto che mostra la sua abilità agli studenti trattandoli con arroganza.
Diventa facile allora rimanere in un circolo vizioso che spinge Shidachi a reagire ed a competere contro Uchidachi, situazione che è assolutamente necessario evitare ponendosi sotto la guida di un Maestro. Uchidachi insegna a Shidachi sacrificando sé stesso, praticando come se venisse ucciso ad ogni momento; questo auto-sacrificio incarna lo spirito dell’insegnante e del genitore ed il kata non è i nessuna utilità se non si comprende questo. Questo spirito consente a Shidachi di crescere e depurare il proprio spirito. Il kata di bujutsu non insegna ne’ vittoria ne’ sconfitta, ma piuttosto come far crescere gli altri spingendoli al più alto livello possibile. Questo è budo. Io spero vivamente che tutti, in specie coloro che praticano jojutsu, ricordino questa frase: “Non esaltarti nella vittoria, non umiliarti nella sconfitta. Perdi con dignità”. Questo è lo spirito che dobbiamo imitare.