Nella pratica dell’arte marziale è previsto l’allena-mento con le armi, sia come confronto tra due praticanti dotati della stessa arma o di armi diverse tra loro, sia come situazione in cui l’arma è strumento di offesa da fronteggiare a mani nude. Le armi impiegate sono quelle che si rifanno alla tradizione giapponese, ovvero la spada lunga (bokken), la spada corta (wakizashi o kodachi), il bastone (jo), il pugnale (tanto) ed altre meno frequentemente impiegate (jutte, tessen, ecc.). La domanda che spesso viene rivolta a chi pratica questo tipo di allenamento è: "Perché le armi?" ovvero, quale utilità può avere l’esercitarsi ad impiegare e/o fronteggiare armi che, al giorno d’oggi, nessuno usa più?
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Uno degli ammonimenti che più frequentemente vengono impartiti nel dojo comprende la pronuncia di questa frase, che in giapponese significa “guardare una montagna lontana”. Si invita così il praticante ad avere una visione di insieme dell’avversario e piuttosto che a guardare "solamente i suoi occhi, le sue braccia o i suoi piedi gli si evidenzia la necessità di osservare ogni suo singolo aspetto, dalla contrazione involontaria del viso al ritmo della sua respirazione, per arrivare a comprenderne le intenzioni prima ancora che queste vengano manifestate. Una delle maggiori difficoltà che molti principianti incontrano nella pratica marziale stà nell’eseguire tecniche o sequenze di movimenti che non riescono a spiegarsi. La nostra mentalità occidentale, permeata di razionalismo, ricerca sempre un “perché” e se fosse per qualcuno, sul tatami si dovrebbe più parlare che agire. Ma la pratica non si impara a parole, anche se le spiegazioni sono indispensabili all’allievo per capire “cosa” sta facendo, così come non si può imparare a cucinare o a guidare una autovettura solo vedendo una videocassetta o leggendo un libro, così l’apprendimento di una arte marziale richiede, anzi esige, un percorso formativo che non può e non deve essere eluso o saltato. (Traduzione ed adattamento di un articiolo apparso anni fa su "Aikido Journal" di cui non ricordo il titolo...) Una delle obiezioni che più spesso si possono ascoltare da chi assiste alla pratica della nostra Arte è che gli attacchi appaiono irreali. In particolare le critiche si esprimono con commenti del tipo "Nessuno attaccherebbe così", "Un aggressore reale potrebbe tentare di reagire" oppure "Tori è molto scoperto". Queste osservazioni sono spesso pronunciate come se chi parla fosse una autorità nel campo dei principi di attacco; in realtà ci sono assai poche persone che hanno allenamento ed esperienza tali da essere capaci di individuare un buon attacco, quando lo vedono. La questione però esiste e merita di essere affrontata. Attaccare fisicamente un’altra persona richiede un certo numero di presupposti; il primo e più importante è sicuramente l’intenzione, poiché senza intenzione non c’è attacco. L’intenzione precede l’attacco ed è quella che i grandi Maestri riuscivano a "sentire" prima ancora che l’attaccante si muovesse. |
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Marzo 2017
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