Nella pratica a mani nude, ed ancora di più in quella con le armi, assume importanza imprescindibile l'unità di "azione-movimento", ovvero ad un colpo (uchi, atemi o percossa che sia) deve essere unito uno ed uno solo movimento, di uno o più arti o di tutto il corpo. Se prendiamo in esame un attacco fondamentale di spada come il gyaku yokomen vediamo che si parte in guardia destra con la spada ad altezza media (chudan) e si dovrebbe avanzare direttamente col piede sinistro per chiudere la distanza mentre si porta il colpo, ma spesso accade che più o meno consapevolmente il passo sinistro sia preceduto da un avanzamento più o meno percettibile del piede destro che "scivola" avanti. Cosa apparentemente insignificante, ma che comporta un "ritardo" della azione che in realtà sarebbe fatale, non solo perché ci si avvicina al partner quasi scoperti, non solo per la frazione di tempo che si perde ma anche (e soprattutto?) perché ci si muove quando la nostra "intenzione" è ancora aldilà dall'essere consolidata.
L’esempio dello gyaku yokomen è forse il più eclatante ma non certo l’unico; spesso si chiede, per esempio, di fare "UN colpo supportandolo con UN passo", magari in una tecnica apparentemente elementare, e subito i passi divengono due, nello stesso modo in cui lo spieghi, oppure il braccio che porta il taglio "carica" inutilmente detto taglio. Tutti movimenti istintivi dovuti alle proprie posture mentali, alla propria coordinazione psico-motoria, alla propria consapevolezza dei propri arti... al proprio essere.... e chissà quante altre cose, che alla fine pongono il praticante "in ritardo" sulla sua stessa "intenzione", costringendolo, nel rendersi conto di ciò, a compensare con quei tipici passetti o saltelli un po' nevrotici per “far riuscire” la tecnica, sempre comandati dal proprio istinto e sempre poco funzionali in una disciplina marziale.