Due morali si rincorrono e scontrano, due visuali legate inscindibilmente ai mutamenti strutturali che rischiano di trascinare il paese in una crisi - materiale e di valori - senza uscita. Da un lato Ryunosuke e la sua rabbia ribollente, alla disperata ricerca di uno sfogo, di un obiettivo contro cui potersi confrontare ("Credo solo nella spada a questo mondo"). Dall'altra Hyoma, stanco difensore dei valori tradizionali, che cerca però di assecondare il mutamento senza esserne sopraffatto, seguendo gli insegnamenti del suo maestro, Taranosuke, interpretato mirabilmente da Toshiro Mifune. Entrambi sono destinati non tanto al fallimento, quanto alla resa: Ryunosuke cede alla follia in un finale spietatissimo, persino spettrale mentre Hyoma è costretto a scendere a patti con quanto il Giappone sta diventando, con questo entrando a pieno diritto nell'età adulta.
Lo sguardo di Okamoto si prosciuga, precipitando in un mondo sepolcrale entro cui non è più necessario l'appiglio a un narratore esterno o a scelte evidenti di regia: la profondità di corpi e personaggi è data dall'immobilità, dalle ombre, dai silenzi, in un ritorno ancora più marcato (e non casuale) a forme proprie del teatro. Scelta che consente di sottolineare con efficacia lo scarto tra la quiete riflessiva e gli scoppi catartici d'ira, e di portare in primo piano i gesti e gli sguardi come motore comunicativo degli stati d'animo - valgano i continui giochi prospettici dei volti o la lunghissima carrellata (giustamente divenuta celebre) in cui Ryunosuke, in un bosco avvolto dalla nebbia, semina la morte tra gli uomini che gli hanno teso un'imboscata.
Sovrasta su tutti la profondità di Nakadai Tatsuya, corpo attoriale che sembra cresciuto appositamente per dare vita a personaggi dibattuti, in sospeso tra la sublime perfezione e il baratro abissale della perdizione. La qualità della pellicola, considerando l’anno di produzione, è più che accettabile ed i sottotitoli in inglese sono leggibili e privi di macroscopici errori, l’unico problema è la reperibilità, poiché ben difficilmente “Sword of the Doom” potrà essere reperito nel “blockbuster” sotto casa.