Devo riferire una frase che l’altra sera ha detto Mic Mirelli, il mio Sensei, non solamente perché si rivela molto interessante già ad un primo approfondimento, ma anche perché è – allo stesso tempo – molto divertente. Commentando la mia esecuzione di uno shihonage in ki-no-nagare con un massiccio impiego delle braccia e scarso utilizzo delle anche ha esclamato: “Solo perché riesci a farlo, non significa che riesci a farlo”.
Per di più, la pratica dell’Aikido è condotta in una maniera molto più collaborativa di quella che potremmo incontrare in una aggressione per strada o in un torneo di combattimento. Coloro che si ritengono degli esperti basandosi sulla loro competenza nel Dojo, potrebbero avere delle brutte sorprese per la strada.
La pratica deve costantemente essere orientata alla ricerca della perfezione e deve spingere sempre in avanti i limiti della nostra auto-disciplina. L’esecuzione della tecnica può essere sempre migliorata con una azione sempre più rilassata e naturale. Il nostro equilibrio e la libertà di movimento richiede una diligenza cruciale, in cui l’addestramento “uno contro uno” è raramente messo alla prova. Durante la pratica in coppia con le armi, le ripetizioni servono per mantenere la concentrazione mentale ed evitare di essere colpiti dall’arma avversaria.
Noi dobbiamo essere i nostri critici più inflessibili, e per quanto lunga sia la nostra carriera, la nostra pratica deve essere sempre impegnativa ed interessante. Grazie a questo approccio di “miglioramento infinito”, nel ruolo di uke noi possiamo restituire il favore a coloro che ci aiutano nel nostro viaggio e nel ruolo di insegnante guidare quelli che verranno dopo di noi.