Ebbene, capita oramai da un po’ di tempo, e via via in maniera sempre più chiara ed evidente, che la parte meramente “tecnica” di un incontro diventi quasi il sottofondo dell’esperienza umana che invece mi trovo a vivere.
Chiarisco subito che quanto detto non significa che la tecnica non conti, sia stata assente o insoddisfacente, tutt’altro! Ciò che voglio dire è che la tecnica diventa “la parte di un tutto” che al pari di un diamante brilla splendente grazie a ciascuna delle sue minuscole faccette.
La tecnica mostrata, praticata, appresa - pur eccelsa – riceve un ulteriore ed evidente arricchimento dalla esperienza umana vissuta, dallo scambio con le persone sul tatami e fuori, dal mangiare, dormire, viaggiare insieme.
Il tutto assumo non un senso più chiaro, ma sicuramente un gusto migliore.
Di quanto sopra però, come detto, non saprei dire molto di più, e mai come in questo caso credo che si possa parlare di “linguaggio del cuore”, chi ha vissuto con me queste sensazioni sa di cosa parlo e non ha bisogno di leggere altro, chi non ha vissuto con me queste sensazioni non potrà certo scoprirlo neppure leggendo una intera enciclopedia e quindi, neanche lui servirebbe leggere altro.
Pure qualcosa di altro devo aggiungerlo, non solo per formale cortesia ma per rinnovare il piacere dei momenti vissuti, e non posso che farlo descrivendo sommariamente ed in maniera insufficiente, lo svolgimento cronologico degli eventi, aggiungendo solo qualche spruzzata di emozioni per non tediare i pur pazienti lettori.
Parto alla volta di Salerno sabato di prima mattina, dopo un venerdì che definire agitato è riduttivo; lo spirito non è dei più gioviali ma tant’è, non può sempre splendere il sole.
Viaggio su un bus di linea seduto di fianco ad una giovane suorina, e opportunamente lascio nello zaino sia l’ultimo numero di “Cronaca Vera” fresco di stampa che l’agile manuale di impiego del coltello da parte dei Vympel russi con cui volevo affrontare il tedio del viaggio, consapevole del rischio di essere additato come un maniaco sessuale, un assassino o entrambe le cose.
Opto per una più tranquilla lettura di “Filosofia perenne” di Huxley e le ore scorrono veloci, sin quando la rotatoria di Salerno – Fratte è in vista. Mi viene incontro Angelo, che sulle prime non riconosco perché – indossando una serissima giacca blu – sembrava più un promoter finanziario della banca Mediolanum che il burbero orso gioviale che ho imparato a conoscere.
Per fortuna l’apparenza inganna, salgo sulla sua macchina e partiamo alla volta di un bar dove conosco “Mestr’Arturo”, il titolare del bar che mi racconta della sua vita di gaudente sciupafemmine in riva allo Jonio. Mi gusto il caffè preparato da Maria Rosaria, saluto Anna – la pazientissima moglie di Angelo – e insieme andiamo a prendere un regalo per la loro bimba.
Entriamo in un negozio di videogiochi e accessori per console ed ho l’ennesima dimostrazione del mio essere tecnologicamente primitivo, vergata con lettere di fuoco sotto la mia candida dichiarazione di ignorare cosa siano le Wii, i motion detector, piattaforme mobili e altre simili diavolerie.
Faccio pace col mondo grazie ad una sublime cedrata con vodka e gelato di limone, che Angelo mi offre mentre attendiamo che sia pronta la frittura di mare che prepara sul momento un simpaticissimo loro amico cuoco.
Sono a Salerno da neanche un paio d‘ore e mi sembra di conoscere tutti, magia del grande cuore di Anna e Angelo.
Prendiamo la piccola Angela da scuola, scambiamo quattro chiacchiere con nonni e genitori davanti ai cancelli della scuola e poi a casa per pranzo.
Checché se ne dica, il Destino fa sempre in modo di farci contare la nostra protervia e di ricordarci che siamo minuscoli escrementi di mosca su questa terra; nel mio caso la punizione arriva con una ripetuta, clamorosa ed inappellabile disfatta a pallacanestro, a ping-pong e (ahimè!) a chambara, dove sono stato picchiato, stracciato e umiliato dalla giovane ma esperta Angela, che mi ha battuto irridendomi con giovanile sarcasmo.
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Pranzo, un breve riposo e poi si parte alla volta della palestra dove tra qualche ora si terrà l’allenamento diretto da Angelo e Silvio. Cominciamo di buona lena ad officiare il rituale del “tatami keiko”, disponendo le materassine ed invocando l’arrivo di Silvio, l’eletto portatore di caffè. Col passare dei minuti arrivano tutti, ed è un susseguirsi di saluti, abbracci e scambi di convenevoli, da qualcuno malignamente scambiati come un subdolo modo per evitare di continuare a sistemare i tatami, mentre Angelo ricorre al vecchio ma sempre valido “mi fa male una spalla”.
Arriva anche Alessio, ma abbiamo poco tempo per chiacchierare, faccio giusto in tempo a chiedergli dei suoi mitici nonni, poi è ora di cominciare.
Della lezione condotta da Angelo e Silvio, per i motivi che ho detto all’inizio, vorrei dire tanto ma non posso dire molto; per motivi personalissimissimi il lavoro con la spada guidato da Angelo mi ha fornito un imprevisto e sorprendente strumento di confronto con me stesso medesimo (mai come in questo caso il “masagatsu agatsu” di O’ Sensei l’ho sentito mio...), il lavoro con il jo mi ha fornito invece, grazie alla puntuale didattica di Silvio, un intrigante modalità di verifica delle mie qualità di aikidoka rispetto ad un modo di agire e pensare che non fa parte delle mie usuali modalità di pratica (un esempio tra tanti, il già citato in passato argomento “Kurai dachi, questo sconosciuto”).
Dopo la pratica con le armi siamo passati a quella a mani nude, condotta in tandem da Silvio ed Angelo, con proposte di lavoro frutto di una didattica originale e convincente.
In tutto questo bloccare e proiettare, parare e percuotere, ogni tanto il mio sguardo andava ad Alessio, percepivo la sua soddisfazione ed il suo orgoglio di insegnante nel vedere come i suoi allievi incarnino al meglio lo spirito che gli ha trasmesso, la sua attenzione costante, i suoi discreti suggerimenti sul modo di dirigere la pratica lasciando il giusto spazio a chi aveva l’onore e l’onere di guidare la sessione di allenamento.
Alla fine del keiko, come un fulmine a ciel sereno, una breve dimostrazione di tecniche eseguita da ciascuno degli istruttori presenti, durante la quale il sottoscritto ha vieppiù violentato il malconcio polso del povero Luca, miseramente offerto come uke da parte dei suoi subdoli compagni.
In attesa della degna conclusione della serata e con buona pace del federalismo marziale auspicato da qualcuno, una lunga e piacevole telefonata con il cinghialesco Roberto “Roby” Granati, ancora una occasione per scambiare quattro chiacchiere, aggiornarsi sulle rispettive situazioni di vita e fargli i complimenti per la brillante promozione al grado di nidan del buon Luca, suo allievo, che ho scoperto essere un esperto della antica e segreta arte del “ferrodastiro jutsu” (ancora una volta, emerge chiaro come il sole che la soddisfazione maggiore di un insegnante è nel costatare la crescita dei suoi allievi).
Entriamo in pizzeria e mentre il resto di Italia spasimava per le sorti calcistiche dell’Inter noi scoprivamo i segreti del movimento dell’anulare applicati alla fotografia (e non solo...) mangiando una ottima pizza e davamo, da (in)degni kaishakunin, il colpo di grazia ad una bottiglia di grappa.
Torno a casa con Angelo per il meritato (?) riposo, portiamo a spasso la sua cagnetta per i rituali bisogni e per accarezzare ancora una volta, con lo sguardo e la immaginazione, il luogo dove un giorno sorgerà il Dojo dei suoi sogni; si parta di tutto e di niente, a cuore aperto, accarezzati dal liquido chiarore della luna, in uno stato di tempo ospeso che sembra quasi irreale.
Ma l’età avanza e non siamo più i leoni di una volta, il giorno dopo c’è un altro seminario a Napoli ed è meglio andare a nanna, il letto preparato per me da Anna e Angela è arricchito da un biglietto augurale commovente, per fortuna il buio della stanza nasconde i lucciconi che prepotenti salgono agli occhi.
Suona la sveglia la mattina, il tempo sembra promettere bene, il tempo di una gustosa colazione e poi via alla volta di Torre annunziata, dove ci attende il seminario di Aiki-jo diretto da Francesco Corallini sensei.
Aiutati da un navigatore che ci guida sicuro arriviamo con congruo anticipo ed abbiamo tutto il tempo per saluti, abbracci e presentazioni. Ancora una volta ritrovo quel clima di calda amicizia, non dichiarata ma espressa, che ci lega, anche se ci si vede una o due volte l’anno.
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Anche in questo caso, la pratica è proficua e interessante. Si comincia con una “rispolverata” ai jo-suburi, esercizi fondamentali che mi svelano nuovi particolari ogni volta che li vedo eseguire. La didattica di Francesco sensei è chiara ed attenta, gira instancabile tra i praticanti, dispensando consigli e correzioni sempre con un gioviale sorriso sulle labbra.
Dopo i suburi, un po’ di jo-awase “tanto per gradire”, esercizi a coppie in cui io e Angelo mettiamo più volte a rischio l’incolumità della telecamera piazzata incautamente vicino a noi e poi, al termine della sessione di allenamento mattutina, un po’ di jo-dori, durante i quali Angelo, nel ruolo di Uchi-jo, si ostina a voler fare ukemi fuori dal tatami, fingendo una sua agilità ed una mia bravura lontane anni luce dalla realtà.
Si pranza tutti insieme, si ride, si scherza e ci si gusta il gran finale con caffè e megatorta celebrativa, il tempo di risistemarsi la hakama e si ritorna sul tatami.
La seconda parte del seminario è dedicata alla pratica dei kumi-jo, prima studiati singolarmente e poi collegati tra loro.
Angelo con sublime pazienza sopporta i miei errori e con incosciente fiducia si affida ai miei suggerimenti; riusciamo comunque a non ammaccare nient’altro che la mia autostima di praticante, e questo testimonia che una qualche benevola divinità veglia su di me.
Il tempo, come sempre in questi casi, vola e la fine del seminario arriva sempre troppo presto.
Si ripete il rito dei saluti, si piega la hakama, si infila il keikogi nello zaino e il jo nella sacca ed è già ora di ripartire.
A differenza di tanti altri seminari, il viaggio i ritorno in questo caso l’ho fatto insieme a Mauro – fresco nidan di buki waza - e Stefano, suo altrettanto fresco allievo, chiacchierando di un sacco di argomenti interessanti e gettando le basi per una interessante e proficua collaborazione.
Due giorni intensi e interessanti, piacevoli e coinvolgenti, come sempre accade quando si fa qualcosa che piace insieme a persone a cui si vuole bene.
L’elenco dei ringraziamenti sarebbe sterminato, non per pigrizia riunisco tutti coloro che mi hanno aiutato a vivere al meglio questa esperienza con un unico, grande e sentito: “GRAZIE!”