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Mon

8/23/2010

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Agli appassionati di storia giapponese o agli spettatori di film ambientati nel medioevo nipponico quali ”Ran”, “Kagemusha” o “I sette samurai” di Kurosawa, sarà capitato di chiedersi che significato avessero i simboli che venivano riprodotti sugli stendardi dietro le armature dei combattenti (sashimono) o sulle fasce che gli stessi si stringevano intorno alle tempie (hachimaki) e che ancora oggi alcune ko-ryu (scuole antiche) marziali riportano sulle giacche dei keikogi indossate dai loro praticanti, solitamente appena sotto il colletto, nella parte che veniva lasciata scoperta dalla allacciatura posteriore dell’armatura. Si tratta dei mon, ovvero dei tradizionali emblemi araldici giapponesi che rappresentavano una singola persona o, più comunemente, un clan.

Come accennato, il mon veniva riportato in tempi di guerra sugli stendardi delle armate e sugli hachimaki dei combattenti, per distinguersi negli scontri campali, mentre in tempo di pace faceva bella mostra di sé sugli abiti da cerimonia, per testimoniare la discendenza nobile di chi lo indossava.

Le origini dei mon risalgono agli inizi dell’XI° secolo (tardo periodo Heian), quando alcune famiglie nobili adottarono simboli particolari per decorare e individuare le loro proprietà e specialmente i carri da trasporto; agli inizi quindi il mon non aveva un significato strettamente marziale ma rappresentava più che altro una dichiarazione di possesso. Le cose cambiarono agli inizi del periodo Kamakura quando, durante la guerra Gempei (1180 – 1185), le due fazioni in lotta adottarono rispettivamente stendardi bianchi e rossi senza nessun altro ornamento per identificarsi sul campo di battaglia arrivando poi, nel XIII° secolo, ad aggiungervi i mon per consentire una più precisa identificazione delle varie fazioni impegnate negli scontri All’inizio del XIV° secolo, una armata poteva sfoggiare più di duecento stendardi con mon differenti e nel frattempo i samurai, come gli equivalenti cavalieri occidentali, si andavano trasformando da semplici guerrieri a gentiluomini dai gusti raffinati e con una particolare attenzione alle regole di etichetta. Come conseguenza di questa evoluzione, il mon venne usato sia dai samurai che dai Daimyo come emblema anche in tempo di pace, percui il mon divenne quasi un sinonimo della persona o del clan a cui apparteneva, ritornando in qualche modo alla sua funzione originaria ma arricchito di una forte connotazione identificativa non solo delle “proprietà”, come in passato, ma anche e soprattutto delle tradizioni familiari, degli onori conseguiti e dei successi riportati dagli avi nel corso degli anni.

Una ulteriore proliferazione di mon si ebbe nella “Era delle battaglie” (dalla metà del XIV° secolo sino a tutto il 1600) durante la quale molti clan si frammentarono a causa di divisioni politiche e lotte intestine, dando vita a diverse fazioni che modificarono il loro vecchio mon originario o ne crearono di nuovi per distinguersi dalle altre. Inoltre, ai vecchi mon della della nobiltà storica si aggiunsero quelli di coloro che furono premiati dai principi per il loro eroismo o la loro dedizione con l’assegnazione di province e proprietà terriere e con la possibilità di fregiarsi di un proprio emblema. Se quindi le origini dei mon sono sostanzialmente simili a quelle delle insegne araldiche orientali, profondamente diverso è invece il loro aspetto: mentre queste ultime sono ricche di colori e di immagini, il mon giapponese è quasi sempre monocromatico e molto semplice nella sua composizione, riportando figure geometriche o semplici oggetti stilizzati (foglie, fiori, piume, ecc.) che quasi sempre seguono, nella loro disposizione, delle precise regole di simmetria.

Essendo la scrittura nipponica basata su ideogrammi, è facile comprendere come spesso il mon altro non fosse che la riproposizione, a volte modificata e rielaborata, del nome del clan che rappresentava, come ad esempio testimonia il simbolo della nota casa automobilistica Mitsubishi (Mitsu= tre, Bishi= rombi). Questa particolarità ha portato qualcuno ad ipotizzare che anche il mon del clan Takeda, rappresentato da quattro rombi che a loro volta compongono un rombo più grande, altro non fosse che una “rappresentazione” dei due kanji “Take” (pronuncia cinese dell’ideogramma che in giapponese si legge “bu” e significa “marziale” o “militare”) e “Da” (letto anche “den” e tradotto come “risaia”). Sulla base di questa ipotesi il mon riprodurrebbe una risaia divisa in quattro appezzamenti e starebbe ad indicare che il clan aveva origini contadine (“dai campi di  riso ai campi di battaglia”) oppure che con il valore militare aveva conquistato in premio notevoli appezzamenti di terreno.

La tesi, fantasiosa e suggestiva, è quasi sicuramente destituita di ogni fondamento sulla base di considerazioni storiche e sociali ed il mon attuale altro non rappresenta che la stilizzazione del fiore a quattro petali che rappresentava il clan Takeda all’epoca del famoso Shingen, a metà del 1500.

Pur nella loro semplice essenzialità, i mon racchiudono e rappresentano secoli di storia e tradizione e proprio per questo, oggi come allora, è consentito fregiarsene solo quando se ne è pienamente compreso il valore e l’importanza.

 

1 Commento
Daniela Lunghi
12/23/2015 10:12:20 am

sto cercando un libro su questo argomento, mi interessa molto.

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