Giorni fa avevamo discusso intorno alla scarsa considerazione di cui gode la prevenzione degli eventi indesiderati, situazione che non di rado porta a dover pagare conseguenze anche gravi.
In quella occasione avevamo accennato anche alla poca obbiettività con cui vengono valutati i corsi di “Difesa Personale” dedicati a partecipanti quasi sempre di sesso femminile, che si illudono (o vengono illusi…) di poter affrontare qualunque pericolo dopo nemmeno una ventina di ore di lezione. Rimandiamo ad altra occasione l’approfondimento di questa spinosa questione ed occupiamoci invece di un’altra situazione, in cui malafede, pigrizia, pie illusioni e amara realtà la fanno da padrone.
Ancora, solitamente la locandina elenca materie trattate nel corso, alcune ovvie, altre onestamente poco credibili (tiro al poligono con armi da fuoco, per dirne una…) e non di rado aggiunge possibili sbocchi professionali, anche qui alcuni facili da immaginare, come nella sicurezza di locali pubblici, altri assai meno probabili, almeno dopo solo poche ore di corso.
A questi corsi, e lo dico per esperienza personale essendo stato coinvolto come docente in alcuni di questi, si iscrivono non solo persone in cerca di una occupazione lavorativa qualificata e remunerativa (aspirazione più che legittima), ma non di rado anche persone alla ricerca – appunto – dell’avverarsi di un sogno, che immaginano e anzi – peggio – sono convinte, che al termine delle lezioni si offriranno a loro disinibite star del cinema, lussuriose cubiste e protagonisti del jet-set che li scorazzeranno in giro per il mondo su yacht lussuosi e jet privati.
La verità, come è facile immaginare, è spesso diversa. Alla modica cifra di sei milioni di lire più IVA, giusto per citare un esempio, agli iscritti ad uno di questi corsi alla fine degli anni ’90, venne consegnato un attestato di partecipazione, un tesserino in plastica e null’altro. Il corso consistette, raccontato dai partecipanti, da una lezione di pronto soccorso condotta da un infermiere scoglionatissimo, una pistola vista da lontano e sempre impugnata da un appartenente alle forze dell’ordine che collaborava con chi aveva organizzato il corso, qualche lezione su diritto e legislazione e pratica di arti marziali, alle cui lezioni era facoltativo partecipare.
Purtroppo per chi si era iscritto, il contratto che avevano firmato riportava condizioni ben diverse da quelle prospettate a voce da una formosa (non a caso…) promoter in minigonna e camicetta sbottonata, e così alle proteste degli iscritti, l’organizzazione replicò picche.
Il mio insegnante di allora cercò di compensare le deficienze altrui, e fece molto di più di quello che era contrattualmente tenuto a fare (una decine di ore di pratica sul tatami), triplicando il monte ore di pratica di tecniche di difesa personale e fornendo qualche rudiment di tecniche di scorta a piedi ed in auto.
La locandina è quella classica, immagine esplicita modello "We want you!" ed elenco dei possibili sbocchi occupazionali.
Spicca tra gli altri una assai improbabile “Tutela antiterrorismo” che rende quasi credibili anche altri impieghi tipo “Sicurezza aeroportuale” (magari quando a Grottaglie riapriranno l’”Arlotta”) o “Sicurezza Navale” (non si capisce bene se al posto di Schettino o di Latorre e Girone).
Eppure sono certo che questa non sarà l’ultima locandina che vedrò, che ancora in tanti spenderanno migliaia di euro per ritrovarsi – bene che vada – davanti la porta di una discoteca tutta la notte per 50 euro in nero, che ancora in tanti continueranno a credere che esistano scorciatoie per giungere ad un traguardo che richiede impegno, sacrifici, fatica e fortuna.
Ed è un peccato, anche se – in fondo – mal che si vuole non duole.