Una delle cose più curiose che ho incontrato nel corso della mia pratica marziale è l’uso dei mudra nelle discipline di combattimento. Mudra è un termine indiano che in giapponese viene tradotto come “in” ed indica dei particolari gesti da compiere con le mani. Questa pratica è derivata dal Mikkyo (Buddismo esoterico) ed in particolare è presente nei rituali delle sette Tendai e Shingon. Questi gesti – apparentemente semplici – si ritiene siano in grado di generare un particolare potere spirituale, che viene poi manifestato all’esterno in vari modi. Purtroppo la maggior parte dei praticanti marziali non ha nel proprio curriculum uno studio di questo genere, dato che la maggior parte dei Budo in circolazione prevedono un addestramento più legato alla educazione fisica e ad un allenamento sportivo ed escludono (o relegano in secondo piano) l’uso di rituali del Buddismo esoterico quali mudra, mantra (canti o parole di potere) e mandala (disegni o immagini che possono generare energia spirituale).
L’uso di mudra e di altri aspetti del mikkyo si ritrova in molte occasioni in diverse koryu, perché mikkyo e Shinto erano le religioni dei samurai che avevano fondato le Ryu create prima del 1600. Le Ryu che si svilupparono dopo la imposizione del governo Tokugawa furono invece pesantemente influenzate dal Neo-Confucianesimo e, più tardi, dal Buddismo Zen. Per quanto lo Zen fosse popolare anche tra la classe militare nel periodo Kamakura (XII° secolo circa), questo non influenzò significativamente la pratica marziale fino all’ultima parte del periodo Edo, quando si diffusero i testi scritti dai monaci Takuan e Hakuin, e anche allora, nel periodo tra il 1600 e il 1868, le arti marziali furono influenzate in eguale misura dallo zen e dal Neo Confucianesimo e anche, nella sua parte finale, dal misticismo Shinto. Quando il Giappone fu modernizzato, le attuali derivazioni delle arti marziali nelle forme “-do” necessitavano di un substrato spirituale che non fosse particolarizzato e esoterico come il mikkyo, così lo zen venne più ampiamente adottato grazie alla maggioranza dei suoi praticanti ed alla particolarità della sua filosofia e delle sue pratiche, come lo zazen, che potevano essere estrapolate dal contesto religioso e usate nell’ambito dell’addestramento marziale senza che il praticante diventasse necessariamente un monaco zen.
Il mikkyo usa i mudra molto spesso in combinazione con altri rituali, quali canti e posture corporee particolari; uno dei mudra più comuni è quello dello shuto (“mano a coltello”), in cui le prime due dita sono estese mentre il pollice e le altre sono ripiegate sul palmo e che può essere rilevato, guardando con attenzione, in diversi kata di alcune koryu come nella postura delle mani di alcune statue del Buddha. Questo mudra rappresenta la “spada dell’illuminazione” che taglia via tutte le illusioni; atto simboleggiato a volte anche dalla punta delle dita estese afferrata nel pugno chiuso dell’altra mano, in un gesto derivato appunto dal rituale mikkyo. Altri mudra abbastanza comuni e conosciuti (anche se spesso superficialmente ed in maniera confusa o mitica) sono i kuji-no-in (“nove segni della mano”) usati insieme alle “nove parole di potere”, in grado di aumentare la forza spirituale del praticante. In questa pratica le due mani eseguono una serie di nove gesti mentre contemporaneamente vengono pronunciate nove parole derivate dal sanscrito (bonji) e la sua conoscenza da parte anche dei “non addetti ai lavori” è dovuta – più che all’impiego da parti di preti mikkyo o da membri di koryu marziali – alla loro presenza in molte pellicole giapponesi aventi come protagonisti i ninja, che nell’immaginario collettivo orientale erano visti come maghi e stregoni.
Come detto, spesso ai mudra vengono associate particolari “parole di potere” e questo richiama alla mente i racconti (o le leggende...) in cui qualcuno con un solo kiai riusciva a far cadere un uccello in volo o a paralizzare un aggressore. Un kiai è cosa simile all’apparenza ma profondamente diversa in sostanza da un kakegoe. Un kakegoe è un semplice urlo, un kiai è sicuramente un grido, ma il suo significato è “incontrare” (-ai) la “energia spirituale di ciascun’altro” (ki-).
Il karate di Okinawa è d’altronde legato alla antica danza di Okinawa ed ai rituali di corte, che racchiudevano a loro volta alcuni aspetti delle credenze popolari dell’isola. Non sono sicuro che questo o altri esempi abbiano il reale significato che gli attribuisco e per questo lascio ai lettori il compito di approfondire l’esplorazione di questo particolare aspetto della pratica.
Come detto, mudra e kiai racchiudono un potere non indifferente (almeno per chi ci crede...) ed è per questo che è bene che il modo di eseguirli in maniera appropriata venga affidato ad istruttori competenti o a monaci Buddisti, evitando la spettacolarizzazione ed il sensazionalismo di discutibili siti web o di riviste patinate perché - ammesso e non concesso che i mudra funzionano veramente – sarebbe come mettere una pistola carica nelle mani di un bambino e d’altronde non è certo un caso se queste pratiche fanno parte del mikkyo, che può essere tradotto anche come “insegnamento segreto”. Se viceversa i mudra non funzionano e non sono altro che delle superstizioni popolari, allora qualunque idiota o personaggio in malafede potrebbe copiare queste tecniche e mettere su (come successo in altri casi) il suo luccicante corso di karate-gung-fu-jujutsu condito da una stuzzicante spruzzata di esoterismo. C’è un rischio per chiunque decida di prendere queste tecniche e crearci intorno la sua “koryu-fai-da-te”, Sebbene il mio insegnante fosse abbastanza disponibile ad insegnare determinate pratiche nella ryu che frequentavo, ho avuto una discussione con un prete Shingon in merito all’abuso della religione e dei rituali religiosi nella società odierna; egli ha notato che se queste pratiche hanno un significato spirituale, allora chi ne abusa in maniera impropria o scorretta non fa altro che accumulare energia negativa intorno a sé. Queste energie negative non si manifestano con mostri orrendi che appaiono dal nulla, come avviene nei film horror, ma ciò non toglie che alcune situazioni importanti della vita possano subire un danno proporzionale al “peccato” commesso.
Qualcuno lo chiama karma, altri “nemesi”, per i Cristiani è la “retribuzione divina”, in ogni caso un modo di “regolare i conti”. Comunque sia, anche se si pratica solo un budo “moderno” (e qualunque sia il valore che si vuole attribuire a questa definizione, N.d.T.) bisogna tenere in mente che molti dei gesti e delle cerimonie che eseguiamo ci giungono dal passato, con tutti i loro significati; anche se “moderno”, un budo non può e non deve essere solo “pugni & calci” e neppure essere solamente un modo per picchiare qualcuno con efficienza ed efficacia e per questo, pur conservando una sua ovvia base pratica e fisica, lo scopo del budo deve essere anche quello di aiutare lo sviluppo dell’essere umano, senza necessariamente fare di lui il combattente più letale in circolazione. La origine di queste arti affonda in parte in un mondo di spiritualità e – per quanto possa sembrare strano o assurdo – la direzione in cui ci muoviamo e il numero di passi che facciamo, il modo di muovere le dita e le mani, il ritmo del respiro e le frasi che pronunciamo possono creare una frattura o contribuire ad edificare un universo spirituale di cui tutti, consapevoli o meno, facciamo parte.
E’ una bella responsabilità, non trovate?