Nel periodo Tokugawa, grazie anche al lungo periodo di pace ed alla conseguente disponibilità di combattenti esperti “a riposo”, la polizia feudale sviluppò sofisticati procedimenti per legare i prigionieri con le corde, realizzando vari metodi di legatura: conosciuti appunto come hojo jutsu. Come è noto, anche il maneggio di certe armi a quei tempi era anche una questione di status sociale, non tutti potevano possedere o indossare una katana, indissolubilmente legata alla classe dei bushi; per questo motivo gli assistenti di minor rango (okappiki) venivano impiegati per i compiti di minore prestigio e di maggior fatica, quali appunto l’arresto e cattura dei prigionieri. Sia perchè in ogni disciplina, anche nella più umile, si ricercava la perfezione, sia perchè – molto più banalmente - il loro basso rango li obbligava a tentare di elevare la loro condizione sociale, per gli okappiki era molto importante che la cattura dei prigionieri avvenisse secondo codici dettagliati, cosa che veniva tenuta in grande considerazione per progredire all’interno della gerarchia, specialmente se il prigioniero in questione era di rango superiore a chi ne effettuava la cattura. Naturalmente, anche samurai di alto rango impiegavano corde e lacci poiché questi costituivano una forma sicura per controllare gli avversari e prenderli prigionieri, magari impiegando il sageo, il laccio a corredo del fodero della inseparabile katana.
Il famoso jonin Hanzo Hattori (1541-1596), che fu consigliere e guarda-spalle personale dello Shogun Ieyasu Tokugawa (1543-1616), è conosciuto come esperto nel maneggio della corda: egli sviluppò varie tecniche di sageo jutsu. Tra le regole che caratterizzavano l’hojo-jutsu ve ne sono alcune apparentemente banali, altre che esprimono appieno il particolare spirito della estetica nipponica, quali ad esempio: non permettere che il prigioniero fugga dai suoi legami; non causare danno fisico ne’ mentale; non permettere che gli altri vedano le tecniche impiegate; che i risultati siano di aspetto gradevole. Oltre ai citati okappiki dell’arresto e trasporto dei prigionieri erano incaricati anche i torimono, ufficiali che operavano in gruppi formati da minimo quattro persone. Nel momento delle operazioni, uno eseguiva la tecnica e gli altri lo circondavano prendendo il controllo passivo della situazione: in questo modo era possibile nascondere le tecniche ai criminali e perfino alla gente comune che assisteva all’aresto. La rapidità degli ufficiali nel realizzare le legature era fondamentale per bloccare i prigionieri ed impedirne la reazione e per questo motivo ci si doveva allenare continuamente per poter raggiungere una tecnica rapida ed efficace. Le corde per questo allenamento erano di seta mentre quelle per l’arresto erano di canapa. Era molto importante non causare danni inutili ai prigionieri giacché in molti casi dovevano essere interrogati o scambiati come ostaggi.
In genere le legature non avevano nodi e alla fine si davano vari giri di corda lasciando un’estremità con cui si trasportava la persona. Quando si trasportava il prigioniero da una regione all’altra e lo si doveva consegnare ad altri ufficiali, prima della consegna formale si scioglievano le legature perchè non si vedesse quali erano state le tecniche utilizzate nelle stesse. Ogni clan o regione aveva le sue forme di hojo jutsu e le stesse venivano protette come le altre tradizioni marziali. Tra le funi impiegate, oltre a quelle già citate i possono ricordare le shinobi nawa (corda segreta), cordoni o funi utilizzati dai ninja che variano di dimensioni a seconda della necessità e delle preferenze di chi la impiega e spesso dotate di un anello di metallo ad ogni estremo della corda per rinforzare e stringere la presa ed anche per bilanciare la corda, proiettarla e avvolgere l’avversario.
C’erano anche la hon nawa (corda principale), la torinawa, corda tipica del hojo jutsu in alcuni casi trasportate all’interno della giacca e perfino dentro le maniche che spesso aveva un piccolo cappio ad un’estremità chiamato jakuguchi. Ancora possiamo ricordare la torihimo, una sorda a forma di 8 e lunga da 1,80 a 2,70 m unita al centro da una cucitura o da un nodo in modo da lasciare liberi i due lacci che in alcuni casi includevano un gancio (kagi) metallico ad uno di essi; la hayanawa (Fune veloce) che era una fune corta per iniziare il controllo del prigioniero, la konawa, fune corta di circa 40 cm utilizzata per legare i pollici e anche gli alluci; il già citato sageo, fissato intorno al fodero della katana ed impiegato non solamente come elemento di controllo e per assicurare il fodero ma anche utilizzato per muovere la saya ed eseguire estrazioni da dietro il corpo o da sopra la testa (sageo justu kage no itto). Tenugi - Shinobi tenugi: tela generalmente di colore rosso con varie funzioni: utilizzata come benda di emergenza, in alcune occasioni si aggiungeva una pietra ad uno degli estremi convertendola in un’arma all’apparenza inoffensiva ma molto pericolosa.
Si usava anche per nascondere il kusari fundo (catena con pesi alle estremità) e avvolgere oggetti o armi che potevano produrre rumore; d’altro lato era impiegata come filtro per l’acqua sporca o infangata e come cappuccio per nascondere il volto. Inoltre corde e funi venivano aggiunte ad altri utensili quali il kaginawa ed il kyoketsu shoge per aumentarne l’efficacia: il kaginawa era un uncino che aveva fino a tre ganci, fissato ad una corda lunga, di circa 8 metri utlizzato per tirare o legare le barche a riva, arrampicarsi sui muri, appendere l’armatura e perfino come arma di difesa. Fujiwara no Kurodo Sanejuki era un capo pirata delle regioni di Kishu e Shima che utilizzava il kaginawa in molte delle sue operazioni. Era un’arma nota e alcune ipotesi affermano che il kaginawa diede origine al kusari gama no jutsu ed alle armi con catena del Kukishinden ryu. Nell’ hojo jutsu si conosce il kaginawa per l’uncino, come se fosse una specie di amo unito al torinawa: per mezzo di questo si agganciava il prigioniero per le maniche o i baveri se tentava di scappare. Il kyoketsu shoge è un’arma versatile disegnata specialmente per lo Shinobu, il tipico abbigliamento del nin-jutsu e consiste in una lama affilata con una falce alla fine, unita ad una lunga corda con un anello di metallo all’estremità. Per mezzo di questa fune si oscillava l’anello in differenti direzioni per poi proiettarlo verso il nemico. Si era soliti formare nodi con movimenti circolari per legare il nemico e quindi controllarlo.
Tra le altre cose era utilizzato anche come strumento per scalare le mura ed alcune delle corde che vi venivano aggiunte erano confezionate con capelli di donna. Le corde non venivano impiegate come elementi primari nel momento del confronto e per questo motivo si integravano molto bene con le tecniche a mani nude di taijutsu, molti samurai che fungevano da guardie del corpo di alcuni signori feudali integrarono le varie tecniche del jutai jutsu con quelle del hojo jutsu così come le tecniche di hojo jutsu, eseguite con fluidità e senza nodi, si intrecciavano sottilmente nell’infinito studio del Budo. Tenendo in conto lo sfondo sociale e politico del Giappone del periodo feudale, le tecniche e la filosofia del hojo jutsu risultano evidentemente positive ed efficaci per catturare un nemico e trasportarlo nel luogo desiderato, per lo stesso motivo sono state utilizzate come metodi di tortura tanto per i guerrieri quanto per persone di altre occupazioni. Ad oggi sono poche le Scuole, come la Daito Ryu o la Takenouchi Ryu, che conservano e tramandano queste tecniche, ed è con un certo sconcerto che si scopre che, inserendo in un motore di ricerca u internet i termini “hojo+jutsui” o “nawa+jutsu”, la quasi totalità di risultati rimandi a siti erotici a sfondo sado-masochistico!