Infatti, anche se in certi ambienti e situazioni la donna era praticamente alla pari con l'uomo, tanto che vi sono state diverse donne samurai e molte figlie di clan guerrieri venivano addestrate alle arti marziali per difendere se stesse e la casa in caso di attacchi, la donna giapponese era spesso poco attraente, sottomessa all'uomo e priva di una propria personalità tanto che per un uomo giapponese dell'epoca, i rapporti sessuali con la moglie erano mirati solo al concepimento della prole, copulare per piacere era considerato immorale e per questo atto vi erano delle "figure sociali" apposite, tra le quali c'erano, ad esempio, le "taryu" (letteralmente "cortigiana"), locate nei quartieri del piacere, esperte nelle arti "da intrattenimento", di straordinaria bellezza e intelligenza e abbigliate in maniera elaborata e sfarzosa. Rispetto alle taryu le geisha erano molto più sobrie, a partire dal già citato abbigliamento, esprimendo elegante personalità caratterizzata da preziosi kimono in seta dai colori tenui, poco appariscenti, possibilmente tono su tono, e comunque in sintonia con le stagioni, la cui raffinatezza testimoniava l'agiatezza e il successo della geisha. Il tutto era poi completato dal viso coperto con un pesante cerone bianco, dagli occhi marcati di nero, dalla bocca rossissima, dalla elaborata acconciatura dei capelli che, complice anche il colletto del kimono, lasciava maliziosamente scoperta la nuca, che è erotizzante per i giapponesi come le gambe in occidente.
In tutto il suo essere la geisha esprime la più fine arte della seduzione e della leggera malizia, il suo scopo è sedurre ed affascinare con grazia e tramite piccoli particolari piuttosto che eccitare con sfacciata volgarità. A questo proposito, oltre al collo scoperto, un’ altra particolarità era l’uso delle calzature, stante la forte valenza erotica dei piedi in Oriente: le geisha, e le danzatrici in particolare, portavano sempre i tabi (sorta di calzini con l’alluce separato dalle altre dita), e spesso di una misura inferiore alla propria in modo da farli aderire e far risaltare la forma del piede. Addirittura le geishe di Fukagawa andavano a piedi nudi, perché la massima aspirazione di uomini e donne del bel mondo era essere "iki", un concetto traducibile con “raffinato”, anche se non rende bene l'idea. Andare a piedi nudi, specialmente di inverno, era una specie di “casual con stile”, perchè iki è anche grazia, stile, classe, carattere. Nella natura giapponese, come detto, essere iki non prevede cose molto evidenti, ma prevede innumerevoli particolari, atteggiamenti, posture e gesti, come quelli che dovevano distinguere la geisha, che con il suo stile di comportamento doveva esprimere la quintessenza della seduzione che ignora le mediocri certezze della realtà ed esige un'anima libera e disponibile al mutamento e che si traduce nella capacità di saper coniugare spontaneità e artificio, raggiungendo quel grado di raffinatezza supremo che riassume l'essenza della cultura nipponica.
Essere geisha era un modo diverso di essere donna e la geisha era, per certi aspetti, la donna per eccellenza, un gioiello, una cosa rara da ammirare e apprezzare, la donna ideale che la maggior parte degli uomini giapponesi desideravano avere per compagna ed a testimonianza di questo vi è il fatto che molte di loro, una volta raggiunta una certa età, andavano in sposa a uomini facoltosi e di alto livello sociale che erano stati in passato i loro danna (letteralmente: “sposo”, in pratica il cliente maschile). Per arrivare a tanto l’addestramento era molto duro e cominciava presto: Fino alla prima metà del secolo scorso la futura geisha diventava una shikomi (domestica) verso i 6-9 anni, poi passava minarai da ragazzina ed in seguito maiko (letteralmente "fanciulla che danza", in pratica una apprendista geisha) sempre da adolescente poi, intorno ai 14 anni avveniva il mizuage (deflorazione rituale) e diventava geisha a tutti gli effetti. Dopo la seconda guerra mondiale, complice anche le prime rivoluzioni dei costumi, la procedura divenne meno articolata e una ragazza destinata a diventare geisha, finiti gli studi a 15 anni diventava maiko per un anno, dopodiché poteva interrompere l’addestramento oppure continuare per altri quattro anni e diventare geisha di fatto.
Nel passato, come è facile immaginare, la maggior parte delle geishe erano figlie di famiglie molto povere, che le vendevano per avere qualche soldo, togliersi una bocca da sfamare e garantire loro un futuro migliore della nera miseria. Come detto, in passato il passaggio a geisha era segnato dalla perdita della verginità mentre oggigiorno è un fatto di età (un po' come, fatte le debite proporzioni, il passaggio da noi da "signorina" a "signora"...). Il "passaggio di stato" era indicato dalla lunghezza delle maniche del kimono, le ragazzine indossavano le "furisode" (maniche lunghe) le donne sposate e le geisha le "tomesode", più corte. Anche in questo caso il nome spiega molte cose: tome-sode viene dal verbo tomeru, che significa “stare qui”, quindi le tome-sode sono le “maniche di chi sta qui”, ovvero nella casa dove si è sposata. Le ragazzine smettevano di indossare le furisode con il matrimonio, le maiko con il mizuage che le metteva in condizioni di diventare geisha. Oggigiorno, sia per maiko che per ragazze queste cose non valgono più, per cui si suppone che una di loro diventi donna quando raggiunge i 18-20 anni e non interessa se questo coincide con l'inizio della sua attività sessuale. Per quanto riguarda le tanto discusse prestazioni sessuali, a fine sera un uomo poteva chiedere (se ne aveva il coraggio) alla geisha "quale è il suo onorario" ma, a parte una geisha in stato di estremo bisogno, nessuna avrebbe accettato, perché non era possibile fare tutto di nascosto.
Nel rapporto con il danna era incluso il sesso, ma non a pagamento. Le ore venivano tutte pagate come ore di compagnia, anche se in una di quelle si faceva sesso. Del resto esistevano leggi severe al riguardo e se una geisha rubava clienti alle prostitute veniva sospesa, anche a vita, dalla sua professione. Del resto, quello che ci si attendeva dalla geisha era altro: fungere da elemento lieto e rasserenante nel corso di noiose cene di affari, banchetti e feste in genere. La loro vera abilità stava nel flirtare con gli uomini, farli ridere e sopratutto farli bere, badando che tutto si svolgesse senza intoppi, in un clima piacevole e disteso. L’ estetica della geisha doveva rappresentare al tempo stesso la fragilità della carne e la forza dello spirito, la sua figura doveva essere aggraziata e flessuosa, il suo volto doveva apparire pallido come il fiore di ciliegio, le labbra essere in grado di mostrare tutta una gamma di sorrisi, la sua voce era quella di un mezzo soprano, dal tono particolarissimo e raffinato, adattato perfettamente ad ogni scopo e circostanza e la sua conversazione, sempre attenta e elegante, doveva poter spaziare dal commento degli ultimi avvenimenti mondani alla citazione dei classici della letteratura, sviluppandosi con battute ironiche, toni arguti e andamento brillante. Ancora oggi una geisha apprezzata guadagna parecchio, anche se solo una parte della tariffa va direttamente a lei, mentre il resto va agli intermediari; l’onorario è naturalmente proporzionato alla sua fama e alla sua bravura, mentre la bellezza, vuoi anche per il pesante trucco, è un elemento secondario. Ciò non significa che siano molto ricche, anche per via delle ingenti spese che devono sostenere, soprattutto per l’acquisto dei loro preziosi kimono. In passato le geisha erano delle innovatrici, specialmente nel campo dello stile, la gente comune guardava a loro per conoscere le ultime tendenze in fatto di moda. Ad esempio, furono loro le prima a indossare abiti occidentali. Anche lo shamisen non era uno strumento tradizionale giapponese ma furono le geisha a farlo diventare qualcosa di nostalgicamente nipponico. Ora però le geisha hanno però assunto una posizione diametralmente opposta, sono diventate le depositarie della tradizione, sono considerate tesori nazionali e sono rimaste in poche migliaia, anche per via del duro apprendistato e delle mutate condizioni sociali. Il rischio è che per sopravvivere siano costrette a diventare una attrazione turistica, ed allora non saranno più geisha. La loro sfida più grande è oggi rimanere fedeli alla propria arte ed al proprio stile. Se il loro numero diminuisce però il loro fascino è intatto, Kyoto ha oltre 40 "geisha studio" dove una donna può fingere per un giorno di essere una geisha. Quest'attività attrae oltre 70.000 clienti l'anno, compresi molti stranieri. In un'ora e mezza, si è truccati e vestiti in modo credibile. Il problema è che alla forma non corrisponde la sostanza e le vere rappresentanti di questa categoria si sono sentite offese per alcuni comportamenti indecorosi tenuti da queste finte geisha, come fumare in pubblico o parlare in modo sgarbato.