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Senza solide basi, nessun edificio sta in piedi. http://store.aikidojournal.com/video-morihiro-saito-demonstrates-tai-no-henko-subtitled/ Seminario di Takemusu Aikido diretto da Paolo N. Corallini shihan. Con Simone Chierchini sensei, Francesco Corona, Giuseppe Scarnera, Mimmo Miolli e Gaetano Mancarelli
Sul sito della benemerita FISAS (http://www.scherma-antica.org) ho letto alcune note del Maestro Andrea Lupo Sinclair che ho avuto il piacere di conoscere in una sua Accademia romana qualche anno fa, grazie alla “intercessione” di Vivio, allora Prevosto d'armi della stessa Scuola. In alcune pagine del sito viene spiegata la filosofia ed il metodo alla base della pratica che vi si svolge, considerazioni che trovo condivisibili ed ampliabili anche ad altri ambiti. In particolare si dice: "La Scherma è paradigma e rappresentazione della vita. Tempo, Misura, Strategia e Natura sono presenti in ogni momento della nostra esistenza" ed anche: "La Scherma è innanzitutto conoscenza di sé stessi. Nessuna tecnica può funzionare se non è praticata con estrema consapevolezza e quieto spirito" Credo che chiunque abbia una sufficiente esperienza nella pratica marziale (e non solo, direi...) non possa che condividere queste affermazioni. (Traduzione ed adattamento di “Kuzushi? What is That and Why Do I Care?” di Harold Zeidman) “Adesso ti insegnerò il segreto di tutte le arti marziali” mi disse un giorno il mio sensei. Io fui molto sollevato da questa notizia; mi ero impegnato nell’addestramento per tre volte alla settimana nelle ultime sei settimane e praticando le mie cadute infine ero giunto ad imparare “la roba seria”. Il mio sensei allora mi insegnò lo happo no kuzushi (le otto direzioni dello squilibrio) e con aria seria mi spiegò che “qualsiasi attacco proviene da una di queste otto direzioni” e che sarebbe stata la mia capacità nel ricevere l’attacco da qualsiasi direzione di provenienza a determinare la mia abilità nella pratica delle arti marziali. Sono certo che ancora oggi il mio sensei potrebbe raccontarvi quanto fossi irritato della cosa, poiché questa “rivelazione” mi appariva come la solita stupidaggine per illudere gli ingenui che occhieggiava alla filosofia orientale ma che non mi sembrava in nessun modo utile per aiutarmi ad imparare il jujutsu. Io volevo solamente imparare come proiettare lontano qualcuno e – se non questo – almeno come rompergli un braccio o qualcos’altro (come potete immaginare, ero abbastanza sanguinario all’epoca!), ma Sensei mi disse allora di continuare a praticare il mio happo no kuzushi e che quando avrei conseguito un grado sufficientemente alto, questa pratica avrebbe significato molto di più per me. (Traduzione e adattamento di “How Do You Teach Aikido to Children?” di Peter Bernath, 6th Dan, Shidoin) Per diverse ragioni, insegnare Aikido ai bambini è una sfida impegnativa per molti insegnanti; è sorprendente constatare come persone così piccole possano instillate tanta preoccupazione in “cinture nere” così grandi e grosse. Persino Aikidoka esperti che insegnano con successo agli adulti possono apparire assolutamente incapaci quando hanno a che fare con bambini. Ci sono oggi numerosi libri, video e siti web dedicati specificamente all’insegnamento dell’Aikido ai bambini, molte delle informazioni si ispirano al principio degli “Aiki giochi”, attraverso cui insegnare i movimenti dell’Aikido tenendo viva la loro attenzione. (Tratto da: “The Physical and Psychological Benefits of Martial Arts Training” di Adam Paul Swiercz) Mentre la precisa origine delle arti marziali rimane abbastanza vaga per gli storici, è assodato che questa risale comunque a parecchi secoli indietro nel tempo. Attraverso gli anni, gli stili di combattimento sono stati tramandati da generazione a generazione e da paese a paese. Questi adattamenti alle necessità ed alle situazioni contingenti sono partiti dalla Cina per giungere in Giappone e Korea, dando origine alla eclettica varietà di stili che oggi conosciamo. Sviluppate per migliorare le risorse di difesa personale e aumentare le probabilità di successo negli scontri armati, le arti marziali furono create dalle antiche culture asiatiche unendo tecniche di combattimento, disciplina mentale, esercizi fisici e svariate componenti filosofiche. “Aikido Elements” è una rivisitazione di ciò che comunemente viene definito “programma di base”, non nella maniera di eseguire i movimenti ma nella loro scorporazione, alla ricerca di quelli che sono gli elementi costituenti alla base di qualunque sistema aikidoistico. “Aikido Elements” è una raccolta di ciò di cui un allievo ha bisogno per avvicinarsi alla pratica, dal Reishiki al Tai sabaki, dalle cadute a come allacciare la cintura, e di ciò che gli serve per partecipare ad un seminario o preparare un esame, dagli ingaggi su prese ed attacchi fino alle azioni di immobilizzazione e di proiezione.” Una descrizione breve ma esaustiva dell’ambizioso (in senso positivo, sia chiaro!) progetto di Fabio Branno e dello staff di “Aikidoedintorni”. Troppo spesso la nostra mentalità occidentale e le gelosie tra Scuole e stili hanno portato i praticanti più a focalizzare l’attenzione sulle particolarità di esecuzione delle tecniche specifiche, piuttosto che sui principi fondamentali che ne stanno alla base. E’ un po’ come se – nel campo dello studio della aritmetica – si mandasse a memoria la infinita serie di risultati di addizioni e moltiplicazioni senza studiare il principio di base modo di risolvere qualunque operazione. Sembra assurdo eppure è così, e capita non di rado che su un ingaggio “strano”, su una presa inusuale, su un attacco più veloce o più lento, più alto o più basso, il partner non sappia cosa fare perché “ancora non abbiamo studiato questa tecnica”. Poco male (o quasi…) se si tratta di un mudansha principiante, assai peggio se a giustificarsi così è lo yudansha in Hakama che starebbe studiando l’arte che ha già nel nome l’obbiettivo di essere la “fonte inesauribile” di tecniche applicative. (Traduzione ed adattamento di “What is Ki?”) Questa è una delle questioni probabilmente tra le più discusse in Aikido. I vari stili di Aikido (Aikikai, Iwama, Ki, Yoshinkai, Tomiki, ecc.) hanno ciascuno una propria opinione sulla natura di questa misteriosa ed onnipresente forza, e questa è una discussione che – per la sua propria natura – rimarrà senza fine, un po’ come il Ki stesso. “Ki” è una vecchia parola giapponese che non è semplice tradurre; è usata in molte frasi idiomatiche giapponesi dove assume il significato di spirito, energia, potenza, o aria (traduzione ed adattamenti di “Aikido, Karate, and the Feldenkrais Method” di Paul Linden, Ph.D., G.C.F.P. 4° dan di Aikido e 1° Dan di Karate) Ho vissuto una esperienza che ho portato a casa con me quale testimonianza di come possa essere utile il metodo Feldenkrais® applicato alla mia pratica marziale. Ero andato su un prato all’aperto per praticare i miei kata di Karate, cominciando ad eseguire dei pugni. Mi ricordo abbastanza bene, eseguivo il movimento del pugno ma non ero capace di dire dove finisse il movimento. Improvvisamente compresi che io mettevo normalmente una grande ed inutile tensione in ogni movimento che facevo. Questo non mi permetteva di compiere niente di utile, sprecavo solo energia, ma io valutavo quanto lontano ero riuscito ad andare in base a quanto mi fossi sforzato per farlo. |
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Marzo 2017
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