Nel guardare ad eventi ed epoche passate si tende spesso a considerarle come un “unicuum” dotato di caratteristiche fisse ed immutabili, cosa spesso assai lontana dalla realtà, in specie quando ci si riferisce a fenomeni che si sono sviluppati lungo l’arco di decenni se non di secoli. Il fenomeno “samurai” non sfugge a questa considerazione, una casta guerriera che ha vissuto ed operato per quasi un millennio non può essere rimasta, come è facile immaginare, sempre uguale a sé stessa, evolvendosi e contemporaneamente condizionando, invece, l’ambiente sociale in cui si trovava ad operare. Ciò non significa, naturalmente, che questa non abbia avuto alcuni tratti caratteristici che, in maniera più o meno costante, si possono sempre ritrovare nei vari periodi di splendore o declino, come ad esempio la visione etico-morale condensata nel “Bushido”, la consapevolezza di essere una casta “a parte” sia rispetto al popolo come rispetto alla aristocrazia, o un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti della morte fisica. Essendo principalmente guerrieri che badavano più ai fatti che alle parole, i samurai lasciarono ben poche tracce scritte della loro filosofia e della loro disciplina; “Bushido” è infatti un libro dei primi anni del ‘900 e uno dei pochi testi di una certa notorietà che possiamo considerare loro coevo è lo “Hagakure”, che raccoglie memorie ed insegnamenti di un samurai ritiratosi a vita monacale.
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Le recensioni precedenti si sono occupate tutte di libri che, in maniera più o meno diretta, avevano a che fare con i samurai o comunque con la casta guerriera (Buke) del Giappone; questa volta spostiamo la attenzione sull’altra classe sociale che, insieme a quella militare, ha caratterizzato la società nipponica, ovvero quella della aristocrazia della corte imperiale (Kuge). Una delle migliori testimonianze dei loro usi e costumi ce la fornisce senz’altro Sei Shonagon (965/967 - post 1010) che fu dama di corte a Kyoto nel periodo Heian, poetessa di spirito arguto, brillante ed estroverso e scrittrice che aveva ereditato dal padre una singolare sensibilità e capacità di cogliere e fissare per iscritto anche i più apparentemente banali particolari della vita quotidiana, riportati poi nel "Makura no soshi" (in italiano “Note del guanciale”), un diario scritto all’età di circa trent’anni e composto da 317 brevi capitoli, ognuno con un suo titolo, in cui raccoglie osservazioni, aneddoti, elencazioni di cose piacevoli e spiacevoli, curiose e insopportabili; un catalogo di preferenze e di giudizi chiamati “note del guanciale” perché scritti nell'intimità individuale della camera da letto e custoditi nei cassetti del mobiletto-cuscino giapponese e redatti senza nessuna pretesa autobiografica, ma con l'intento di dipingere, attraverso numerosi episodi, drammatici o divertenti a seconda del caso, un quadro dai colori assai vivaci della realtà degli uomini e delle donne della corte in cui l'autrice ebbe a trascorrere tutta la vita, come risulta da questi brevi estratti. |
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Marzo 2017
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