Valtrend editore, 2011, 138 pagine, € 15,00
codice EAN: 978-88-88623-51-1
L’Aikido ha, rispetto ad altre discipline ed arti marziali giapponesi, una sorta di destino inverso; mentre Karate, Judo, Ju-jutsu o Kendo – tanto per citare le più note – non vedono quasi mai messa in discussione la loro efficacia e stanno negli ultimi anni cercando di far emergere anche il loro aspetto di “Via” filosofico-spirituale, l’Aikido, fortemente caratterizzato dal suo stesso Fondatore Ueshiba Morihei da una valenza esoterica oltre che marziale, si trova spesso a dover “dimostrare” di essere un arte marziale a tutti gli effetti. Come in tutte le discussioni di questo genere, spesso quello tra i sostenitori delle opposte tesi è un dialogo tra sordi che partono da presupposti diversi, e quindi raramente approda a un qualche risultato condiviso.
Di fatto però, mentre la maggior parte dei marzialisti prova a scollarsi di dosso l’etichetta di “energumeno picchiatore” appiccicategli dalla “relata” popolare e originata nei primi anni ’70 dall’impatto che ebbero in Italia ed in Occidente le pellicole provenienti dall’Oriente, a cui vennero dati nomi sottilmente evocativi come “Con una mano ti rompo con un piede ti spezzo” o “Le cinque dita della violenza”, l’aikidoka periodicamente viene indicato come “un ballerino con la gonna”, se non peggio.
Fatta questa doverosa premessa, il libro di Angelo Armano andrebbe letto sia da chi pratica Aikido che da chi non lo pratica, per motivi neppure tanto diversi per gli uni e per gli altri. Illuminante è il sottotitolo: “Fare Aikido con l’anima”, e altrettanto chiarificatrice è la prefazione dello psicoterapeuta Giuseppe Luigi Esposito, ma ancor più valgono le parole dell’Autore, che nella introduzione al volume scrive: “Questo non è un libro attinente all’esecuzione delle tecnciche, se non en passant [….] Il suo intento sarebbe di applicarsi a ciò che non si vede e non si legge con occhi materiali, ma a quello che si sente nel profondo e che, ritengo, Morihei Ueshiba voleva che si riuscisse a provare, attraverso la pratica dell’Arte della Pace da Lui creata.” Non si tratta, è bene dirlo subito, di una libresca analisi degli scritti e delle parole del Fondatore, quanto piuttosto dell’impiego di queste, come uno “specchio” in cui “ri-flettere” le proprie esperienze, per meglio osservare e per forse – meglio comprenderle (nel significato etimologico di “prenderle con sé”), tanto che Angelo Armano comincia proprio la già citata introduzione spiegando che: “Ho scritto questo testo fondamentalmente guardandomi dentro. Dopo che ha preso forma, sono andato a ricercare in maniera sistematica nelle parole del Fondatore dell’Aikido, gli eventuali riscontri. Le conferme che ho creduto di ritrovare mi hanno sorpreso per numero e specificità.” E la termina con questo paragrafo: “Aggiungo infine una piccola “avvertenza” per il lettore: è un testo che va letto piano, assolutamente non per apprendere qualcosa, se ce ne fosse eventualmente occasione, ma per far riecheggiare quel che abbiamo dentro, di individuale e irripetibile in ognuno di noi.”. Che Angelo Armano abbia le idee chiare sulla vexata quaestio accennata in apertura, che vede l’Aikido in bilico tra derive new age e dubbioso impiego nella tanto sbandierata (quanto sostanzialmente inutile) “difesa da strada” è subito chiaro nel primo capitolo, intitolato “Significati”, quasi come se, santagostinamente, prima di poter (tentare di) dire cosa l’Aikido è, fosse utile ed opportuno dire cosa non è, continuando poi l’analisi in maniera lucida nel secondo capitolo.
Nel terzo capitolo l’Autore definisce la sua visione dell’Arte, chiarendo che il fondatore proponeva la sua pratica come inori budo, ovvero “preghiera marziale” (chissà quanti praticanti, anche di alto grado, ignorano o fanno finta di ignorare questo aspetto…). Ma se di sola preghiera si trattasse, saremmo all’impasse della ennesima proposta tra l’esotico e il misterioso, che trae fama e profitti dalla constatazione che per tanti acquirenti in cerca di nuovi pungoli, l’erba spirituale del vicino è sempre più verde. L’inizio del quarto capitolo chiarisce l’arcano – se così vogliamo chiamarlo – evidenziano come: “L’esercizio dell’Aikido postula un rapporto tra soggetti, e nell’ambito vero o presunto delle attività anche spirituali, non è nella sua essenza qualcosa che si fa da soli. “ ampliando l’analisi sino alla constatazione chela dimensione interpersonale che è il fulcro della pratica rappresenta “una metafora di come trasformare o riportare un conflitto alla relazione” ed offrendo una serie di illuminanti esempi che portano Angelo Armano ad affermare: “[…] come il cammino dell’Aikido – il confronto con la violenza e con la morte, come paradigma della vita infernale – e quello della psicologia del profondo, che utilizza i temi mitologici (come fa pure Ueshiba) e l’analisi dei vissuti, pestano le stesse orme.”.
Occorre a questo punto chiarire che, nonostante il libro affronti in maniera ampia ed articolata numerosi aspetti e confitti psicologici, il testo non potrebbe essere più lontano dai classici manuali di “self help” che sembrano andare tanto di moda ultimamente e che sembrano promettere per ogni problema (dal vizio del fumo al peso eccessivo) eclatanti risultati con minimo sforzo. Piuttosto il testo fornisce, oltre ad una serie notevole di note e riferimenti bibliografici utili a chi volesse approfondire determinati argomenti, una sorta di “road map” che consente a ciascuno di ritrovarsi (o non ritrovarsi affatto, che è poi la stessa cosa…) nelle esperienze narrate o nelle opinioni espresse. Una Via, dicevamo in altri scritti, non può che essere percorsa dal viandante; carte topografiche ed atlanti di viaggio redatti da chi ci ha preceduto possono essere utili, ma non faranno un solo passo al posto nostro. Di questo Angelo Armano è ben consapevole e non lo nasconde, “tuffarsi nella propria anima”, “visitare la terra interiore” non sono esperienze per tutti e da tutti, e chi pecca di hibris paga a caro prezzo la sua presunzione.
Un simile viaggio, come tutti i viaggi degli di questo nome, non può non lasciare un segno su chi lo compie, che torna al punto di partenza necessariamente diverso da come era partito. Non ci fraintenda il lettore di queste righe, temendo oscuri vaticini e misteriose prove di iniziazione, quello che si vuole dire è che – pochi o tanti che siano – i passi che compiamo sulla Via devono essere i nostri, guadagnati con nostro sudore ed esperiti con i nostri muscoli ed il nostro cuore, lanciarsi in voli pindarici seduti in poltrona, concionare sul significato esoterico di un doka o sull’impatto emotivo di una ukemi rimanendo lontani dal tatami e sfuggendo la prova provata non solo non serve a niente ma può avere conseguenze ben più nefaste, tanto da far scrivere all’Autore: “Infatti nell’ambito marziale la sanzione del sapere congetturale, del mero mentalismo, è la morte!” ecco allora che “sul piano quindi delle pratiche spirituali, per una visione moderna, occorre cominciare a constatare che la singola tecnica, l’apparente magia, ha senso in quanto specchio per riflettere una parte di Sé. Tale prospettiva viene resa riconoscibile in una dimensione archetipica e, attraverso le tecniche dell’Aikido, messa in forma geometrica –cinematica, con lo scopo di farci evolvere.”. Un percorso del genere ha certamente un inizio, non necessariamente una fine, e soprattutto non è privo di rischi, che non solo sono quelli connessi all’esercizio di una qualsivoglia attività fisica, anche amatoriale (quanti legamenti crociati del ginocchio sacrificati all’altare del Dio Calcetto, quanti mezzi infarti dovuti al rito dell’Onnipotente Jogging!) ma possono essere altri e ben più subdoli, dall’allontanarci dal mondo interiore a cui vorremmo/potremmo avvicinarci, “negando o acuendo ferite del profondo” al cadere nella trappola di ritrovarci in “un ambito in cui noi ci trastulliamo nel tempo, con l’alibi di lavorare alla trasformazione, nel mentre accuratamente la evitiamo”.
Da quanto detto appare evidente che il testo di Angelo Armano – usando una abusata ma non per questo inefficace frase ad effetto, è “un libro rivolto a tutti, ma non per tutti”; non perché richieda particolari doti intellettive o specifiche formazioni culturali (basta non farsi spaventare da titoli come: “Il duello come setting analitico”, “il Male della Scissione” o “Ponte dinamico tra Interno ed Esterno”) quanto piuttosto perché parte dal necessario presupposto che il lettore possa – e soprattutto voglia – leggerlo nella migliore condizione di spirito, conscio che gli si propone una impresa pari a quella che veniva offerta ai principi delle favole, inviati a liberare la bella principessa dalle grinfie del crudele drago. “Ciò che non uccide, rende più forte”, recita un aforisma attribuito a Nietzsche, ma lo stesso può dirsi in maniera diversa, con le parole della poesia con cui Angelo Armano conclude il suo lavoro: “Qui tutto ci piace e tutto mangiamo. Ooh, che bello! Nel mentre tutto ci assimila, tutto assimiliamo”.
Infine, un ultima, personale, nota: ritrovare nelle pagine scritte da Angelo Armano tanti miei pensieri, perplessità e intuizioni è stata per me una piacevole sorpresa ed un energico stimolo a proseguire sul mio cammino, nella speranza di potere un giorno avvicinarmi ai traguardi umani, spirituali e marziali raggiunti da chi – come lui - ho l’onore di considerare un mio “fratello maggiore”.
Angelo Armano risponde alla mail : [email protected]
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