Ai-uchi è un termine che presto o tardi ciascun praticante di Arti marziali giapponesi sentirà pronunciare; questo è spesso impiegato nel Kendo, ma è possibile udirlo anche in alcune Scuole di Karate. Per la maggior parte dei praticanti marziali, Ai-uchi indica la situazione in cui due avversari si colpiscono l’un l’altro nello stesso momento cosicché – in caso di competizioni – il punto conquistato viene annullato ad entrambi. Sasama Yoshihiko, in Zusetsu Nihon Budo Jiten (p. 1, Kashiwa Shobo Kabushikigaisha, Tokyo 1982), offre però una definizione più approfondita del termine, che si rifà ad un significato antico legato alla storia dei guerrieri nipponici.
Per quanto uno potesse essere (o sentirsi...) superiore all’avversario, un imprevisto poteva sempre capitare. Il duello biblico di Davide contro Golia insegna che le apparenze ingannano e anche un guerriero esperto poteva scivolare e cadere alla mercé della lama dell’avversario, magari alle prime armi ma sicuramente fortunato e così, se era costretto a combattere in guerra, il soldato era abbastanza rassegnato al fatto che le probabilità di tornare vivo erano una contro due, a parità di altre condizioni. C’è un altro concetto relativo all’ai-uchi he deve essere considerato, ovvero la possibilità di uscirne con danni minori rispetto a quelli dell’avversario; “Se ti taglia la pelle tagliagli un muscolo, se ti taglia un muscolo tagliagli un osso” veniva detto. Naturalmente in un contesto agonistico-sportivo non è possibile applicare alla lettera questo tipo di “escalation” ma il confronto va comunque affrontato con questo spirito. Se una persona che è in grado con un pugno di spaccare a metà un makiwara affronta in una moderna competizione un avversario che riesce a malapena a strappare un foglio di carta e si verifica un ai-uchi, entrambi i punti sono considerati validi (o vengono entrambi annullati) mentre nella realtà il primo sarebbe al massimo ferito mentre il secondo sarebbe morto.
Un altro motto che Sasama Yoshihiko riporta è abbastanza esplicativo: “Se ti taglia un braccio, tagliagli il collo”. Eccessivo agli occhi di molti, gli stessi molti che in battaglia sarebbero probabilmente tra le vittime. Sul campo si poteva incappare nello ai-uchi ma si doveva fare in modo di infliggere all’avversario un danno comunque maggiore di quello subito, cosa in passato, ed ancora oggi, ha portato a schierare sul terreno forze superiori in numero ed armamento in maniera da poter ottenere questo risultato. Si può disporre di una travolgente potenza di fuoco, si può manovrare in modo da sconfiggere il nemico ed ottenere una serie di vantaggi, tra i quali quelli di sbilanciamento ed evasione simili alla filosofia dell’Aikido, ma se noi e l’avversario ci scontriamo sul campo di battaglia e lui attacca contemporaneamente a noi, probabilmente subiremo delle perdite. Ma se siamo in grado di distruggerlo colpendo più forte di quanto sia in grado di fare lui, allora noi vinceremo. Così sul campo di battaglia ai-uchi significa accettare eventuali perdite con l’intenzione di causarne di maggiori; nella vita reale questo forse significa che non importa cosa avvenga, si può vincere qualcosa o si può perdere qualcosa, ed a volte avere tanto quanto si è dato. O addirittura di più.