"Una buona cintura nera è prima una buona cintura bianca"
Kensho Furuya
La dinamica del Dojo è guidata dall’interazione tra insegnante e studente e tra studente e studente. Queste relazioni sono sostanzialmente uniche, ma non indipendenti l’una dall’altra. Ad un livello individuale ciascuna interazione insegnante – studente è differente, per quanto io creda che ci siano certe cose che siano scontate in un buon studente. Ovviamente mostrando rispetto ed attenzione incoraggia l’insegnante a dare di più e innalza l’attitudine ricettiva nel Dojo. Queste sono caratteristiche che rientrano nel galateo e si tratta di regole che ogni studente esperto può illustrare.
Quello di cui voglio parlare qui è dei comportamenti impercettibili e nascosti.
Ho recentemente sentito parlare una persona del suo insegnante e affermare come il suo Sensei non abbia mai menzionato un certo aspetto di una particolare tecnica quando gli ha spiegato la logica alla base della stessa. Ciò mi ha fatto venire in mente in quel momento che io stesso avrei potuto affermare che se il mio Sensei non parlava di qualcosa era perché non la conosceva o non ci credeva. Ciò è probabilmente dovuto principalmente al livello di arroganza da parte mia, che mi portava a pensare che io “conoscessi” il mio Sensei.
La relazione insegnante – studente in un piccolo Dojo è spesso molto stretta, tale per cui il Sensei “taglia su misura” quello che trasmette ad ognuno, in maniera da consentire a ciascuno di ottenere il meglio in base alle proprie capacità. E’ sbagliato pensare di “conoscere” il vostro Sensei ed etichettarlo come “tecnico” o “interno” basandovi su ciò che vi insegna; questa etichettatura è una falsa verità che diventa una specie di freccia direzionale per voi e potenzialmente anche per altri nel Dojo.
Un buon studente pone domande su ogni cosa; il ruolo di un insegnante è guidare e dirigere per aprire la mente dei suoi studenti alle possibilità ed alle alternative e fornire loro il punto di vista di una terza persona alle loro tecniche. Lo studente ha ancora necessità di fare proprie le tecniche praticate con un “furto” attivo e consapevole delle stesse al suo insegnante [per i casi della vita, che casi non sono, mio nonno paterno, fabbro artigiano, sosteneva che “il mestiere si ruba on gli occhi”, affermando la necessità che nessun maestro può insegnare qualcosa ad un allievo che non vuole imparare. NdT]. Lo studente che accetta in maniera cieca e passiva quello che l’insegnante mostra pone seri limiti alla crescita della propria abilità di osservazione ed analisi, e quindi alla capacità di scoprire le verità nascoste.
Un buon studente fa da assistente al proprio insegnante essendo un buon uke, non tanto eseguendo spettacolari cadute ma effettuano attacchi sinceri ed offrendo una solida resistenza. Gli studenti mostrano rispetto per il loro insegnante credendo nelle sue capacità di Sensei e quindi continuando ad impegnarlo (nei limiti della ragionevolezza) dimostrando la loro voglia di essere migliori e più forti, cosa che premette anche al Sensei di crescere sia nella perizia tecnica che nella sua capacità di insegnante.
Ugualmente importante è l’interazione tra studente e studente, ma ne parleremo un’altra volta.