Per dare un piccolo contributo cominciamo con questo articolo a fornire qualche indicazione, che speriamo utile ed interessante, rispetto al Dojo. Il termine può tradursi come “Luogo dove si pratica la Via", quindi si tratta di un luogo dove si ricerca un processo di arricchimento spirituale, morale, intellettivo e fisico dell’uomo, attraverso la pratica di una disciplina che può essere marziale o, come in altri casi, spirituale.
Come detto, nel Dojo bisogna rispettare regole precise, gerarchie e rituali che vengono usualmente identificate con il termine Reigi o Reishiki e che saranno oggetto di trattazione nei prossimi articoli, ma molte di queste regole hanno fondamento e riferimento in punti determinati del Dojo stesso. Compatibilmente con la struttura dell’ambiente che ospita la pratica, il Dojo dovrebbe essere tradizionalmente orientato in modo tale che le quattro pareti che lo delimitano siano orientate lungo i quattro principali punti cardinali. Si avranno così quattro lati, ciascuno con un suo nome, una sua destinazione ed una sua specifica relazione con gli altri tre. La parete più importante è sicuramente quella esposta a nord, detta KAMIZA (Kami = Dei; Za = seduto; letteralmente “posto dove siedono gli Dei), solitamente privo di finestre, che non riceve la luce solare, ma è illuminato dalla presenza dei Kami o Divinità. Da qui scaturisce l’insegnamento. E’ qui che si siede il Maestro, che è l’unico a dare le spalle allo Shinden (altare) che nei Dojo accoglie spesso una o più calligrafie in Kanji che riportano frasi, motti e principi dell’Arte e la foto o l’immagine del fondatore dell’Arte e dei suoi Maestri più rappresentativi, che hanno onorato le Arti Marziali e che sono figure esemplari per i praticanti. Sempre dal lato del Kamiza, nei Dojo tradizionali, vi è il Tokonoma (spazio sopra-elevato) su cui sono ospitati oggetti dal particolare significato simbolico, legati alla storia o ai principi dell’Arte praticata.
La parete Sud, opposta al Kamiza è detta SHIMOZA, ed è il lato inferiore dove si siedono gli allievi, in ordine di grado con il più anziano sulla destra, e quindi più vicino alla parete est, ed il meno esperto sulla sinistra, più vicino alla parete ovest . E’ da qui che essi accedono al Dojo attraverso un ingresso da cui può entrare la luce solare (esteriore), che avranno alle spalle, mentre il loro sguardo sarà rivolto di fronte alla luce interiore del Kamiza. E’ questo un particolare molto importante nella pratica delle Arti marziali: così come nello spogliatoio ci si prepara svestendoci dei nostri abiti quotidiani, così entrando nel Dojo e salendo sul tatami bisognerebbe “spogliarsi” da pensieri, preoccupazioni e “abiti mentali”. Corpo, mente e spirito del praticante, finché è nel Dojo devono essere esclusivamente dedicati allo studio dell’Arte, ricordando l’insegnamento del celebre racconto in cui un Maestro Zen ammoniva che una coppa di tè può riempirsi di nuovo solo se svuotata in precedenza.
Proseguendo nella “esplorazione” del Dojo, troviamo ad est la parete chiamata JOSEKI, che è il lato su cui siedono, sul tatami, i Senpai (allievi anziani) e gli assistenti del Maestro oltre che eventuali ospiti di grado elevato. Gli allievi anziani e gli assistenti sono tra il Sensei a nord e gli allievi a sud, costituiscono quindi, in senso pratico e metaforico, il tramite ed il “canale di comunicazione” tra l’uno e gli altri. Da est sorge il sole che ad ovest tramonta, quindi gli assistenti e i gradi avanzati sono “illuminati” per primi rispetto ai gradi più bassi (Kohai), che invece sono, come detto, più vicini alla parete Ovest o SHIMOSEKI. Il rispetto di questo orientamento va rispettato non solo durante il saluto con cui inizia e termina la pratica, ma andrebbe curato durante tutta la durata dell’allenamento, percui nessuno, escluso il sensei, dovrebbe mai dare le spalle al Kamiza e men che meno rassettare il keikogi improvvisando discutibili strip-tease di fronte alla parete nord; ancora, le tecniche dovrebbero essere praticate sempre con Tori e Uke disposti lungo l’asse Est-Ovest, con il più alto in grado dei due praticanti sul lato est.
Dopo aver parlato delle pareti, un’ultima notazione la riserviamo al pavimento del Dojo, o meglio al tatami con cui è coperto. Sino a pochi anni fa i tatami erano costituiti da materassine rettangolari con dimensioni di due metri per uno, tradizionalmente in paglia di riso, poi in materiale sintetico. Queste materassine venivano posizionate o tutte parallele tra di loro oppure alternativamente accoppiate in modo da comporre dei quadrati affiancati in un ordine preciso al fine di disegnare figure simboliche, per ricordare ai praticanti l’ordine che regola l’Universo. In questo caso ogni quadrato era costituito da otto tatami allineati due a due in senso verticale e orizzontale che creavano una svastica che, ancor prima di essere stata adottata come simbolo dal nazismo germanico, era ed è un simbolo molto conosciuto nella tradizione orientale che sta a significare la rotazione intorno ad un polo. Inoltre, l’alternanza della disposizione dei tatami richiama la concezione degli opposti e complementari, ormai nota ai più, e cioè alla coppia Yin e Yang che, insieme, formano l’unità del Tutto. Da queste poche note si comprende quindi che per ogni praticante il Dojo deve essere ben più che un posto dove incontrare amici, sudare e passare qualche ora, ma piuttosto deve essere un luogo da rispettare, curare e preservare perchè sia causa ed effetto del progresso tecnico e spirituale di coloro che lo animano e gli danno Vita ed Energia.