Una brevissina anticamera con rapido scambio di convenevoli e presentazioni ed eccoci nella grande sala di pratica, con le sue pedane metalliche vuote e silenti ma che non è difficile immaginare percorse da saettanti lame ed arti guizzanti. Dietro la parete che porta agli spogliatoi (con indicazioni in italiano e francese, noblesse oblige…) fanno bella mostra di loro giubbetti ed armi, pronte ad essere utilizzate per nuove sessioni di addestramento, dal lato opposto, un ampio locale con spalliere per ginnastica e di fronte il parco erboso, ideale per la pratica in tempi metereologicamente clementi, in memoria dei tempi in cui, il terreno di gara e di confronto era davvero di terra.
Ci avviciniamo piano al Museo; il Maestro Toran dosa spiegazioni e sorprese con fare sapiente, illustra particolari tecnici e li rende comprensibili anche a profani come noi, subito saggiati sul nostro livello di conoscenza della Scherma per non annoiarci con fatti già noti (invero assai pochi) e non tacerci alcunché di interessante.
Si apre una doppia porta metallica ed entriamo in una minuscola reception, dove siamo già circondati da stampe, illustrazioni, pannelli informativi e depliant… se il buongiorno si vede dal mattino, il mezzogiorno non potrà che essere – come in effetti è stato – splendente e radioso.
Il Maestro Toran ci fa notare una stampa ottocentesca con decorazioni in argento ed oro che riporta le rime della “Gerusalemme Liberata” del Tasso che trattano di scherma, ed io sorrido ricordando il bell’articolo che mi donò Messer Gianluca Zanini, uno di coloro a cui sono maggiormente debitore della mia profana curiosità su questa nobile Arte.
Entriamo nella prima sala “multimediale”, in cui è riassunta la storia della scherma sin dalle sue origini; sulle pareti i pannelli che illustrano con dovizia di informazioni ed illustrazioni la trattatistica italiana, francese, spagnola tedesca ed inglese; due maxi schermi propongono in successione immagini ed illustrazioni e le nostre bocche cominciano a spalancarsi per la meraviglia, per non richiudersi che al momento delle foto finali.
Passiamo poi alle altre sale del museo, e qui non ci sono parole per descrivere appieno la bellezza delle armi esposte, la dovizia delle informazioni e la cura nella loro presentazione. Il percorso si snoda – vetrina dopo vetrina – lungo un filo logico e storico che ci avvolge come le spire di un serpente o meglio – come direbbe il già citato Messer Gianluca Zanini – come le braccia di una amante voluttuosa.
Lame da addestramento e da battaglia, ferri da sala bottonati ed altri cui il filo e dorso evidenzia segni che testimoniano di impieghi ben più cruenti, dediche famose come “Non ti fidar di me se il cor ti manca” ed altre più criptiche che parlano di dame e di amori incise su una coccia, a testimoniare che il cuore dell’uomo valente sa rendere la sua mano tanto forte con gli avversari quanto dolce con coloro a cui dedica la ssua vita (e la subliminale citazione di Mario Brega e della sua mano che “po’ essere de fero e po’ essere de piuma” non appaia ai lettori poi troppo stonata o irriverente).
Vediamo giubbetti segnati dal tempo e dal sudore della pratica, ciascuno con l’immagine del cuore cucita sul petto, scopriamo la storia della tela olona, leggiamo dei duelli di Cavallotti e di Nadi, l’uno mortale l’altro meno definitivo, ammiriamo una coppia di lame da duello nella loro cassa di legno foderata di panno vermiglio, leggiamo dei Maestri della Scuola Napoletana e pian piano arriviamo al cuore pulsante dell’Agorà.
In una ampia sala le foto che raccontano alcuni momenti della centenaria storia della Federazione, in alcune teche i cimeli che parlano di Nedo Nadi, immenso schermidore ed esemplare gentiluomo italico, che alle Olimpiadi vinse cinque medaglie d‘oro sulle sei che erano in palio, di fronte altre immagini, con bambine diventate donne e giovani atleti strappati troppo presto alla vita da un avversario crudele che non concesse loro l’onore delle armi.
Sul fondo quattro computer accesi, memoria e infaticabile strumento di studio e arricchimento di chi c’è e di chi ci sarà; una biblioteca ricca e variegata, dove io scorgo subito “il rosso”, il manuale di Kendo scritto da Claudio Regoli sensei e Giuseppe scopre il suo Graal, il libro di Koichi Tohei di cui era in cerca da anni.
Il Maestro Toran ci mostra un video interessante che illustra le potenzialità della scherma nella formazione aziendale (e se venissero usati gli stessi metodi nelle scuole primarie con i bambini che saranno gli uomini di domani, chissà quanto giovamento ne avremmo…), ci dona una copia del trattato del Manciolino e ci sorprende una volta di più mostrandoci la sua abilità con gli origami, componendo in men che non si dica una saltellante ranocchia con poche pieghe imposte (verrebbe da dire con perfetta scelta di Tempo, Velocità e Misura) ad un anonimo foglietto di carta.
Il tempo corre tiranno ed è l’ora del commiato, giusto il tempo di qualche foto ricordo con la scelta della vetrina da vanti a cui posare che si rivela ardua e impegnativa, poi i saluti, la promessa ed ancor più la speranza di reincontrarci che rende meno triste la separazione.
Sulla via che ci riporta alla nostra auto i commenti sono frenati a stento dal susseguirsi delle emozioni, i miei compagni di visita, che della Scherma sapevano ancor meno di me, rivivono con le parole i vari momenti della visita, richiamano le lame osservate, ricordano le spiegazioni ricevute, evidenziano i particolari delle tante bellezze osservate. Ma su tutte spicca il piacere per aver sperimentato la travolgente carica umana e la perizia tecnica del Maestro Giancarlo Toran, paziente nel mostrare a tre scimmioni come noi il modo corretto per brandire un fioretto o brandire una sciabola senza farla somigliare al manico di un badile, generoso nell’aprirci il locale dove tanti altri cimeli attendono mani esperte ed occhi attenti per essere a loro volta esposti, capace di trasmettere in poche e semplici parole (il suo uso di aggettivi e sostantivi sempre pacati e mai eccesivi – quanto tracciava netta la demarcazione tra rievocatori e studiosi e finanche quando parlava dei “cugini” francesi o dell’amato Nedo Nadi, è stato una ennesima testimonianza della Maestria dell’Uomo e della Umanità del Maestro, e le maiuscole non sono un caso…).
Concludere queste righe è ancor più difficile che terminare la visita, alla voglia di aggiungere altro contrasta la consapevolezza che certe emozioni sono indescrivibili, almeno per un goffo profano come me, posso solo dire che se è vero – come credo sia – che in ogni uomo c’è un bambino ed in ogni bambino un uomo, la Agorà della Scherma di Busto Arsizio è uno dei luoghi dove di sicuro codesto incantesimo si compie e si rivela, una visita che è una epifania e che rende affascinanti e “belli” strumenti e tecniche nati – in fondo – per dare la Morte.
Un grazie grande come le mie parole non sapranno mai esprimere al Maestro Toran per averci accolti, ed un doveroso ringraziamento anche a Giuseppe, ma soprattutto a Cosimo, per essersi fidati del mio entusiasmo ed avermi voluto accompagnare in questa esperienza.