La storia ha insegnato che i maggiori divieti, dietro a un'apparenza di ordine, hanno gonfiato le pulsioni rendendole malsane e gravandole di un opprimente senso di colpa. Il contrasto tra le regole, il potere e la natura intima dell'uomo e' alla base del film di Nagisa Oshima, che tessendo una trama sottile intorno a un gruppo di samurai racconta di un microcosmo in cui la serenità ha bisogno di regole ferree per contenere l'uomo e la tangibile inquietudine finisce con il trovare sfogo sul nuovo adepto. Il giovane e' tanto femmineo nell'aspetto quanto violento nella determinazione di diventare una perfetta macchina da guerra e la sua psicologia inafferrabile é sicuramente il motore dell'azione. Tutti sono irrimediabilmente attratti da lui, tutti lo vorrebbero possedere e lui si concede, alimentando proprio ciò che maggiormente si teme: il disordine. Il regista rappresenta questa distanza tra l'uomo e la sua natura attraverso una messa in scena rigorosa e fredda, non concedendo allo spettatore alcun coinvolgimento emotivo ma immergendolo in un mondo tanto lontano per cultura ed epoca quanto vicino ed attuale per le dinamiche psicologiche che lo animano.
Il film non è esente da qualche pecca: La sceneggiatura a volte sembra dire troppo, altre volte pare tacere più del necessario e gli interpreti non sempre sono specchio del loro travaglio interiore, d’altro canto il randori armato delle prime scene e la grande atmosfera delle musiche di Sakamoto sono appassionanti e coinvolgenti e degna conclusione della pellicola è, nel suo simbolismo, l'immagine che chiude il film, unica concessione lirica in grado di sintetizzare in modo poetico il pessimismo di fondo sulle capacità dell'uomo di arrivare a una chiarificazione pacifica con se stesso.