Koe naki o kiki, katachi naki o miru (Il non-rumore che puoi udire, la non-immagine che puoi vedere)1/31/2014 Questo principio definisce l’accresciuta attenzione interna e la concentrazione indirizzata al presente (Zanshin) i un esperto di arti marziali a livello avanzato, qualità resa possibile grazie alla giusta esercitazione. Con un allenamento indefesso un Maestro può mettersi in condizione di riconoscere cose e situazioni per la cui percezione talvolta non basta neanche l’attenzione di uno spirito allenato (Yomi). Sebbene sulla scorta di tale sensibilità accresciuta ci si trovi di fronte ad ancor più stimoli sensoriali, si è in grado di distinguere l’essenziale dall’inessenziale in poche frazioni di secondo (Kufu). Tale particolare capacità di concentrazione dello spirito va plasmata con l’esercizio e può accrescersi all’infinito grazie ad una sempre maggiore consapevolezza.
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La capacità di comportarsi opportunamente è la precondizione di base per il conseguimento delle mete più elevate. Essa promana dall'equilibrio interno dei sentimenti e dal superamento dell'Io. Le persone che si sopravvalutano e che si ritengono importanti sono costantemente alle prese con la necessità di ostentare una falsa forza. Con il loro comportamento inadeguato ostacolano il compimento dei propri propositi sulla Via e distruggono in un solo momento di sfrontatezza tutto ciò che hanno costruito faticosamente. Come tanti oggetti e situazioni che caratterizzano la storia e la tradizione di un popolo, anche i suggestivi tamburi giapponesi affondano le radici della loro origine tra mito e realtà. Nella tradizione giapponese il tamburo (taiko) ha un significato che va molto al di là delle sue caratteristiche puramente musicali; la sua voce potente, simile al tuono, è in grado di giungere fin sopra alle nuvole, alla dimora dei kami (divinità); il materiale stesso di cui è costruito, il legno, partecipa della sacralità dell'albero da cui deriva. Perciò fin dall'antichità il tamburo è stato il protagonista di cerimonie religiose di diverso tipo: riti legati alle attività agricole o feste annuali in cui uomini e kami partecipano a un intrattenimento comune. L'importanza del tamburo come strumento magico-religioso è forse anche la causa della sua grande diffusione nella musica tradizionale, sia popolare che artistica, e nella musica teatrale; si pensi ad esempio al ruolo preponderante che le percussioni svolgono nella musica di scena del teatro nô. (Traduzione ed adattamento di "The Dojo is a laboratory" di Vince Salvatore. Il mio insegnante mi diceva che il Dojo dovrebbe essere come un buon laboratorio; pensandoci con un po’ di attenzione, credo sia vero. Dovremmo essere capaci di realizzare degli esperimenti sicuri con tutti gli appartenenti al gruppo della nostra scuola, ed il Dojo un luogo per la crescita personale dove possiamo sviluppare noi stessi tramite attività fisiche e mentali, senza le quali difficilmente svilupperemmo la nostra consapevolezza. Qui di seguito sono elencate alcune strategie fisiche e mentali che possono agevolare il conseguimento di notevoli risultati se applicate alla nostra pratica, e che la sperimentazione cominci! Se è vero che sui samurai giapponesi si sono scritte in passato (e non solo…) molte cose inesatte per non dire palesemente false o esagerate, è altrettanto vero che ancor più questo vale per i praticanti del ninjutsu, a cui una letteratura fantasiosa e interessata, unita a leggende popolari dure a morire, ha attribuito tanto poteri fantastici quanto capacità sovrumane. Per fortuna oggi la Rete permette non solo la diffusione di bufale e spam, ma anche la condivisione di informazioni e conoscenze con modi e tempi impensabili anche solo pochi anni fa, così per affrontare uno degli argomenti forse più controversi ed affascinanti dell’Arte degli shinobi abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Viviani, Shidoshi della Bujinkan, che ringraziamo per la sua gentile disponibilità e per la sua cortese collaborazione. L’articolo originale risale al 2008 e lo riproponiamo, previo permesso dell’Autore, così come fu scritto allora, sperando di poter contribuire a chiarire alcuni aspetti di questa affascinante Arte. (NdR) La forza del kuji L’utilizzo dei kuji (nove sillabe) è stato largamente sfruttato per creare la figura mitica del ninja nei manga, nei film e ha influenzato l’immagine che la gente ha del ninjutsu. E’ una delle abilità ninja più esotiche: incrociare le dita, pronunciare parole magiche e il nostro eroe scompare come un fantasma o si trasforma in un ratto o un corvo. C’è sempre un fondo di verità nel cuore di ogni fantasia e questo vale anche per il nostro argomento. James Hillmann, “Un terribile amore per la guerra” Brossura, 296 pagine, Edizioni Adelphi, 1^ edizione 2005, codice EAN: 9788845919541, prezzo: 17,00 euro In un momento chiave del celebre film sul generale Patton, un memorabile George C. Scott passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri. Volgendo lo sguardo a quello scempio, esclama: "Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita". E' eloquente che James Hillman abbia scelto proprio questa scena, tanto spiazzante quanto rivelatrice, per introdurre il provocatorio tema del suo nuovo libro: la guerra come pulsione primaria e ambivalente della nostra specie - come pulsione, cioè, dotata di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l'amore e la solidarietà. Il presupposto è che se di quella pulsione non si ha una visione lucida ogni opposizione alla guerra sarà vana. Frantumando la retorica degli adagi progressisti - basati su una lettura caricaturale della 'pace perpetua' teorizzata da Kant-, Hillman risale così, in perfetta consonanza con la sua visione della psicologia, al carattere mitologico e arcaico di tale ambivalenza, riassunto nell'inseparabilità di Ares e Afrodite. In questa prospettiva tutte le guerre del passato e del presente appariranno quindi semplici variazioni della guerra più emblematica dell'Occidente classico, quella cantata nell'Iliade. Ma soprattutto, ricorrendo a dettagliati rapporti dal fronte, a lettere di combattenti, ad analisi di esperti in strategia - oltre che a tutti gli scrittori e tutti i filosofi che alla guerra hanno tributato meditazioni decisive, da Twain a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt -, Hillman ci guida a una scandalosa verità: più che un'incarnazione del Male, la guerra è in ogni epoca - lo dimostra la contiguità tra le descrizioni omeriche e i reportage dal Vietnam - una costante della dimensione umana. O meglio, troppo umana. Questa la nota di bordo copertina del libro, che evidenzia una realtà tanto evidente quanto incredibile: l’uomo non può fare a meno della guerra. Ancora oggi, nazioni occidentali e società evolute scelgono - o forse è meglio dire non possono fare a meno – di combattere, di mandare uomini e mezzi anche a migliaia di chilometri da casa, anche con motivi così evidentemente risibili che non si capisce come si possa tentare di farli passare per buoni. La domanda che si/ci fa l’autore è proprio questa: perchè migliaia di uomini scelgono di vivere una esperienza che sanno da principio non porterà loro vantaggi, ma solo dolore e devastazione? La risposta che Hillmann propone è sconvolgente nella sua evidenza: l’uomo ha bisogno della guerra tanto quanto la guerra ha bisogno dell’uomo. Questo libro è per certi aspetti il coronamento di un percorso trentennale dell’autore, e in diversi passaggi Hillmann parla a sé stesso prima ancora del lettore; lo stile è quello a cui ci ha abituato, pantheon classico e psicologia moderna, profondi scavi nell’intimo per uscire alla luce della conoscenza. (Traduzione ed adattamento di “Introduction to the Omoto Religion” di Stanley Pranin, pubblicato su “Aiki News n° 41 dell’ottobre 1981) http://www.aikidojournal.com/article?articleID=582 Questo articolo è il riassunto di una conversazione molto interessante avuta con il Sig. Bansho Ashihara, un membro anziano della setta Omoto, ovvero una delle cosiddette “nuove religioni” del Giappone, che fu uno stretto collaboratore di O’Sensei Ueshiba Morihei durante i primi anni del 1930 in Ayabe, nella prefettura di Kyoto.. Il Sig. Bansho Ashihara si occupava della rivista “Budo”, pubblicata dalla “Budo Enhancement Association”, una organizzazione fondata con il supporto della religione Omoto. Il sig. Bansho Ashihara ha partecipato regolarmente agli addestramenti condotti da Ueshiba Morihei e riservati ai membri della setta Omoto e prese nota delle letture tenute da O’Sensei relative alle arti marziali ed agli argomenti spirituali ad esse collegati. Dong Zhong Qiu Jing (dòng zhōng qiú jìng, Tung chung chiu ching., 动中求静) Muoviti con tranquillità (cerca l’immobilità nel movimento) I praticanti degli stili “esterni” utilizzano tutta la loro energia per compiere salti, proiezioni ed altri movimenti acrobatici, così alla fine dell’azione sono affannati ed ansimanti. Nel Tai Chi Chuan si usa l’immobilità per controllare il movimento e anche se uno si muove è come se fosse fermo, per questo nella esecuzione della Forma, più lenti si pratica e meglio è. Xiang Lian Bu Duan (xiāng lián bù duàn, Hsiang lien pu tuan, 相连不断) Muoviti senza interruzione Le Scuole “esterne” utilizzano una energia (Jin, jing, Chin) grossolana, detta del “Cielo Posteriore, che è l'insieme delle energie post-natali, quelle energie che costantemente rinnovate ed arricchite tramite la respirazione e la nutrizione hanno il compito di sostenere l'essere vivente fino alla morte. Si tratta quindi di una energia finita e limitata, la cui consistenza deve essere costantemente rinnovata e che è soggetta a cali, interruzioni e limitazioni. In un confronto si può essere facilmente sconfitti, se la vecchia energia si è oramai consumata e quella nuova non è ancora nata. |
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