Sto ancora rimuginando su questo aspetto dell’etichetta, e sul perché sia così difficile accettare le correzioni. Qualcuno ha chiesto se ciò accade perché la gente non si preoccupa di impartire le correzioni in modo aspro, ed io ho risposto che avrei esaminato questa possibilità. Tornando indietro con la memoria a quando ho cominciato la pratica dell’Aikido, ricordo che ero terribile. Odiavo essere corretta su qualsiasi cosa; forse non lo mostravo molto spesso, anche perché sono una ragazza carina e cortese. Mi risentivo, e non solo in Aikido, ma anche nei miei studi musicali, per esempio quando provavo in compagnia di altri studenti. Per molto tempo, se qualcuno criticava il mio modo di suonare, io sentivo di over ricambiare pan per focaccia e di restituire le stesse critiche in qualche successiva sessione di prove. Tutta aggressività molto passiva e indiretta... e se il mio insegnante criticava qualcosa in una lezione, io mi deprimevo e lo ritenevo ingiusto e abbietto.
(Traduzione e adattamento di “Receiving Corrections” di Pauliina Lievonen)
Sto ancora rimuginando su questo aspetto dell’etichetta, e sul perché sia così difficile accettare le correzioni. Qualcuno ha chiesto se ciò accade perché la gente non si preoccupa di impartire le correzioni in modo aspro, ed io ho risposto che avrei esaminato questa possibilità. Tornando indietro con la memoria a quando ho cominciato la pratica dell’Aikido, ricordo che ero terribile. Odiavo essere corretta su qualsiasi cosa; forse non lo mostravo molto spesso, anche perché sono una ragazza carina e cortese. Mi risentivo, e non solo in Aikido, ma anche nei miei studi musicali, per esempio quando provavo in compagnia di altri studenti. Per molto tempo, se qualcuno criticava il mio modo di suonare, io sentivo di over ricambiare pan per focaccia e di restituire le stesse critiche in qualche successiva sessione di prove. Tutta aggressività molto passiva e indiretta... e se il mio insegnante criticava qualcosa in una lezione, io mi deprimevo e lo ritenevo ingiusto e abbietto.
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L’estetica e la spiritualità dell’oriente trovano un singolare punto d’incontro in due vie apparentemente disgiunte: il pennello e la spada. La prima, nota come “shodo”, è una metafora del pensiero zen: una volta che il pennello ha toccato la carta, l’inchiostro non può essere recuperato ne cancellato, ed ogni tentativo di mascherare l’incertezza sarà irrimediabilmente visibile ad opera finita. Il calligrafo, attraverso un solo gesto, ha un'unica possibilità di comunicare il suo sentire: traccia la sua volontà sulla carta, metafora stessa della vita che come tale, ha un’unica possibilità di essere vissuta. (tradizione ed adattamento di “Aikido as a spiritual practice” di Peter Boylan) Per molti praticanti di arti marziali giapponesi, il Budo è visto come una forma di pratica spirituale. L’idea che il Budo sia una forma di shugyo (esercizio ascetico) è abbastanza comune, e diversi libri e numerosi articoli di riviste pubblicati ogni anno spiegano come la pratica di diverse tipologie di Budo può migliorare il praticante come persona o portarlo vicino alla illuminazione. Se questo è vero per ogni tipo di Budo, dal Karate-do allo Iai-do, l’idea è però quasi opprimente all’interno delle comunità di Aikido. Il fondatore dell’Aikido, Uehiba Morihei, in molti suoi scritti considerava i principi dell’Aikido alla stregua di quelli spirituali o religiosi. Per Ueshiba, la pratica dell’Aikido era una estensione della sua pratica religiosa quale membro devoto della Omoto-kyo, una setta fondata nel 1890 da Nao Deguchi. Koe naki o kiki, katachi naki o miru (Il non-rumore che puoi udire, la non-immagine che puoi vedere)1/31/2014 Questo principio definisce l’accresciuta attenzione interna e la concentrazione indirizzata al presente (Zanshin) i un esperto di arti marziali a livello avanzato, qualità resa possibile grazie alla giusta esercitazione. Con un allenamento indefesso un Maestro può mettersi in condizione di riconoscere cose e situazioni per la cui percezione talvolta non basta neanche l’attenzione di uno spirito allenato (Yomi). Sebbene sulla scorta di tale sensibilità accresciuta ci si trovi di fronte ad ancor più stimoli sensoriali, si è in grado di distinguere l’essenziale dall’inessenziale in poche frazioni di secondo (Kufu). Tale particolare capacità di concentrazione dello spirito va plasmata con l’esercizio e può accrescersi all’infinito grazie ad una sempre maggiore consapevolezza. La capacità di comportarsi opportunamente è la precondizione di base per il conseguimento delle mete più elevate. Essa promana dall'equilibrio interno dei sentimenti e dal superamento dell'Io. Le persone che si sopravvalutano e che si ritengono importanti sono costantemente alle prese con la necessità di ostentare una falsa forza. Con il loro comportamento inadeguato ostacolano il compimento dei propri propositi sulla Via e distruggono in un solo momento di sfrontatezza tutto ciò che hanno costruito faticosamente. (traduzione ed adattamento di “Taking Ukemi and Being Uke” di Peter "the Budo Bum" Boylan) Nell'Aikido moderno siamo tutti istruiti su come praticare le ukemi (cadute al suolo, letteralmente: ricevere col corpo) ma raramente ci viene insegnato come essere un Uke. Nell'ultimo paio di anni, quando ho praticato Jodo in Giappone, il più grande impegno del mio addestramento è stato focalizzare come rivestire il ruolo di Uchi, il praticante che nel kata viene sconfitto. Per coloro che non hanno dimistichezza con le koryu (Scuole di Arti marziali tradizionali) nel budo classico giapponese il kata è sempre un esercizio eseguito da due persone che si confrontano, con la ovvia eccezione dello iaido e dello kyudo dove questo potrebbe essere troppo pericoloso. (Traduzione ed adattamento di "The Dojo is a laboratory" di Vince Salvatore. Il mio insegnante mi diceva che il Dojo dovrebbe essere come un buon laboratorio; pensandoci con un po’ di attenzione, credo sia vero. Dovremmo essere capaci di realizzare degli esperimenti sicuri con tutti gli appartenenti al gruppo della nostra scuola, ed il Dojo un luogo per la crescita personale dove possiamo sviluppare noi stessi tramite attività fisiche e mentali, senza le quali difficilmente svilupperemmo la nostra consapevolezza. Qui di seguito sono elencate alcune strategie fisiche e mentali che possono agevolare il conseguimento di notevoli risultati se applicate alla nostra pratica, e che la sperimentazione cominci! Se è vero che sui samurai giapponesi si sono scritte in passato (e non solo…) molte cose inesatte per non dire palesemente false o esagerate, è altrettanto vero che ancor più questo vale per i praticanti del ninjutsu, a cui una letteratura fantasiosa e interessata, unita a leggende popolari dure a morire, ha attribuito tanto poteri fantastici quanto capacità sovrumane. Per fortuna oggi la Rete permette non solo la diffusione di bufale e spam, ma anche la condivisione di informazioni e conoscenze con modi e tempi impensabili anche solo pochi anni fa, così per affrontare uno degli argomenti forse più controversi ed affascinanti dell’Arte degli shinobi abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Viviani, Shidoshi della Bujinkan, che ringraziamo per la sua gentile disponibilità e per la sua cortese collaborazione. L’articolo originale risale al 2008 e lo riproponiamo, previo permesso dell’Autore, così come fu scritto allora, sperando di poter contribuire a chiarire alcuni aspetti di questa affascinante Arte. (NdR) La forza del kuji L’utilizzo dei kuji (nove sillabe) è stato largamente sfruttato per creare la figura mitica del ninja nei manga, nei film e ha influenzato l’immagine che la gente ha del ninjutsu. E’ una delle abilità ninja più esotiche: incrociare le dita, pronunciare parole magiche e il nostro eroe scompare come un fantasma o si trasforma in un ratto o un corvo. C’è sempre un fondo di verità nel cuore di ogni fantasia e questo vale anche per il nostro argomento. Tra le cose piacevoli delle vacanze, ci sono sicuramente l’avere un po’ più di tempo per dedicarsi ai propri piaceri e il caldo afoso che invita a stare a casa; complici questi due fattori mi sono concesso la visione di due film un po’ anzianotti, per certi aspetti indicativi del modo in cui le Arti marziali orientali furono percepite in Italia al principio della loro diffusione. Il primo film è praticamente un mio coetaneo, essendo uscito nelle sale nel 1962. Si tratta di Due samurai per cento geishe per la regia di Giorgio Simonelli. La pellicola vede tra gli attori Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Mario Carotenuto e Gianni Agus, mentre tra le attrici un ruolo ben “visibile” è interpretato da Margaret Lee, Moa Tahi e Rossella Como. La trama della pellicola è abbastanza esile, giusto il necessario per consentire agli attori di esprimere le loro capacità istrioniche e solleticare la curiosità esterofila degli spettatori verso un mondo tanto affascinante quanto sconosciuto. Franco e Ciccio sono due sempliciotti che sbarcano il lunario come possono, quando vengono a sapere da un furbo avvocato di aver ereditato una grossa somma di denaro da una zia immigrata in Giappone e moglie di un samurai. Decidono così di partire verso il paese del Sol Levante per incassare l'eredità insieme all'avvocato, che nel frattempo ha fatto firmare loro uno strano foglio in bianco. Arrivati in Giappone scopriranno che prima di prendere possesso del denaro dovranno diventare due samurai provetti e - come se non bastasse – che un clan rivale vuole vendicarsi su di loro per la morte del loro capo. Alcune persone discutono senza contenuto o fanno illazioni prive di realismo ove non vi è senso, perché senza cognizione il sapere non ha valore. Alla base di una affermazione ci deve essere una cognizione e non una teoria poco impegnativa. Molte persone vantano una saccenteria eccessiva o si richiamano alle teorie a fondamento delle cose che non hanno capito. Questa saggezza a forfait è più facile e quindi anche assai più richiesta della opinione degli esperti. Questo genere di gravi distorsioni del vero senso oggi oramai sono di moda. Anche la nostra lingua viene contraffatta a tale scopo dalla diplomazia, dalla retorica e dalla vacuità di espressione, quindi il senso della reciproca comprensione deve cedere il passo allo smalto esterno delle formulazioni intellettuali. |
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