Da quando il cinema ha scoperto le arti marziali come mezzo per aumentare gli spettatori, molte pellicole cinematografiche e sceneggiati televisivi hanno visto protagonista il classico eroe che chiede di essere ammesso in una scuola segreta di Arti marziali, riuscendo a coronare il suo desiderio solo dopo lunghe ed impegnative prove a cui viene sottoposto durante un periodo di iniziazione in cui deve provare di essere all’altezza della Tradizione di cui chiede di fare parte. Il maestro è sempre riluttante ad insegnargli la sua Arte rara e segreta e così l’apprendistato si svolge in maniera drammatica, misteriosa e spesso dolorosa. In verità però nel caso della maggior parte delle ko-ryu (scuole di arti marziali classiche, esistenti prima dell’inizio dell’era Meiji nel 1868) la cosa era molto meno teatrale; prima di tutto, il tipico aspirante alla frequentazione di una Scuola di Arti marziali nell’era feudale era – tranne rare eccezioni – un membro della classe dei samurai. D’altronde un contadino, un commerciante o un borghese avevano assai poco tempo da dedicare all’apprendimento di tecniche di combattimento da impiegare in battaglia e, soprattutto, avevano ben poche ragioni per volerlo fare. Arti di combattimento non rigidamente strutturate in scuole, come ad esempio il karate di Okinawa o il kung-fu cinese non avevano sostanzialmente nessuna considerazione nel panorama delle discipline da combattimento giapponesi.
Così un giovane appartenente – ad esempio - al Clan samurai dei Suzuki veniva quasi automaticamente avviato all’addestramento presso una Scuola legata al Clan Suzuki, senza bisogno di estenuanti prove o lunghe attese per testare la sua determinazione. In alcuni casi peraltro le scuole erano più o meno indipendenti dal Daimyo e potevano ottenere dal principe il permesso di accettare quegli studenti che – pur non appartenenti al Clan – venivano ritenuti meritevoli. In questo caso era norma che lo studente si presentasse con una lettera di presentazione, chiamata “shokai”, scritta da qualcuno che godesse della stima del caposcuola ed attestante il carattere e la attitudine dell’aspirante studente. Anche se la lettera veniva presentata ed accettata, non era raro che lo studente venisse espulso, i maestri delle scuole marziale avevano, come tutti noi, la loro personalità, a volte bizzarra o altera, cosa peraltro comprensibile trattandosi di persone che trascorrevano il loro tempo addestrandosi a porre fine alla vita altrui in maniera rapida e violenta. Molti conoscono l’aneddoto del Maestro che accetta l’allievo a patto che questi cucini e accudisca la casa senza chiedere mai di arti da combattimento, salvo poi, dopo anni, cominciare a colpirlo alle spalle all’improvviso per sviluppare la sua capacità percettiva e farne un provetto spadaccino, ma in realtà i soldati dell’era Sengoku (il periodo detto “degli stati combattenti”) avevano necessità di acquisire al più presto le tecniche indispensabili a sopravvivere in una battaglia che poteva iniziare in qualsiasi momento. A differenza di un praticante di Buddismo Zen che poteva spendere dieci o vent’anni alla ricerca dell’illuminazione spirituale, un soldato cominciava il suo addestramento pratico non appena veniva ammesso all’interno della scuola, in maniera da diventare efficiente il prima possibile. Prima di cominciare l’addestramento era quasi sempre richiesto agli studenti di firmare un giuramento di fedeltà alla Scuola; è oggi abbastanza difficile rendere a parole la serietà con cui questo giuramento veniva formulato, considerando che è facile ai giorni nostri constatare come spesso si dica il falso anche nelle aule di giustizia, senza che questo causi in chi lo fa nessuna vergogna o rimorso, d’altronde viviamo in una società sempre più secolarizzata, in cui appare sempre più singolare il fatto di essere fedeli ad una idea, ad un principio, ad un credo religioso e perfino – in caso di matrimonio – al coniuge. Per tentare di rendere l’idea di quanto questo giuramento fosse preso sul serio bisogna intanto considerare che tutte le scuole erano profondamente devote a particolari divintà, principalmente buddiste o, più raramente, di origine shintoista, che erano i patroni sovrannaturali della scuola ed a cui il giuramento era rivolto. In diverse Scuole il giuramento era scritto ed all’aspirante membro veniva chiesto di firmarlo con il proprio sangue fatto sgorgare da una puntura sul dito o da un piccolo taglio sul braccio, atto da cui deriva il termine Keppan - che significa appunto “giuramento di sangue”.
La promessa veniva indicata col termine kisho o kishomon ed i suoi particolari variavano da Scuola a Scuola; il testo era spesso segreto ed era parte della promessa stessa. Uno dei pochi esempi resi noti e risalente agli inizi del XVII° secolo ed appartiene alla Shibukawa ryu di ju-jutsu ma è probabilmente un testo abbastanza comune anche ad altre Scuole e, in un passaggio, recita: “Quando riceverò l’insegnamento, io giuro che senza permesso non dimostrerò e non insegnerò neppure il più piccolo dettaglio delle tecniche a nessuno, neppure ai membri della mia famiglia. Se io dovessi in qualche modo contravvenire a questo giuramento accetterò di affrontare la punizione di tutti gli Dei e di essere punito da Hachiman, il grande Dio della guerra”. In una copia del kishomon della Katori Shinto Ryu pubblicato nel volume “The Deity and the Sword” scritto da Otake Risuke sensei e da Donn Draeger invece si dice che è proibito giocare d’azzardo o frequentare luoghi disonorevoli ed è vietato “incrociare le spade” con membri di altre Scuole fin quando non si sia ottenuto l’attestato di profitto che dimostri la propria esperienza. Nel Katori Ryu, questo giuramento è espresso sotto la minaccia di punizione di Marishiten-son, la Dea della Stella Polare, che è anche la protettrice di molte branche dello Shinkage Ryu.
Comunque non tutte le Ryu chiedevano giuramenti di sangue o promesse solenni, la Shinkage Ryu ad esempio non richiede ai nuovi membri nessuna promessa poiché considera che se uno ha le caratteristiche per essere ammesso a far parte della Scuola, questi dovrebbe essere una persona tanto degna e stimabile da non esserci nessun bisogno di un impegno formale come una promessa a garantire la sua correttezza. Il giuramento di uno studente di una Ryu durante il periodo feudale giapponese non era quindi una mera formalità ma piuttosto un modo serio e sentito di garantire la propria correttezza pena la morte. Naturalmente la sola firma non era sufficiente e spesso nei primi tempi dell’addestramento lo studente era ancora considerato “in prova” e questo periodo era chiamato te-odoki (“mani legate”). Le varie Scuole erano molto attente al modo in cui veniva svolto l’addestramento in questo frangente e all’allievo poteva essere insegnato solo una parte del curriculum e non necessariamente nell’ordine canonico dei mokuroku; ancora, le tecniche più efficaci o letali potevano essere omesse oppure insegnate prive di alcuni passaggi fondamentali, in modo da private di un senso logico e solo dopo che lo studente aveva conquistato la fiducia dell’istruttore veniva formalmente ammesso nella Ryu. In altri casi la formale ammissione dell’allievo alla Scuola era segnalata dall’insegnamento di alcune tecniche apparentemente insignificanti; in almeno una Scuola questa era il rituale dell’etichetta comportamentale, che veniva spiegata solo dopo che era stato raggiunto un determinato livello di apprendimento. Il rituale non era ne complicato ne segreto ne insegnava abilità particolari, però segnalava agli altri appartenenti alla Scuola che la persona che lo conosceva era pronta ad essere istruita negli aspetti più esoterici dell’Arte.
Oggi gli studenti del moderno Budo - specialmente coloro con una maggiore attenzione per l’aspetto mistico o quelli che desiderano che ci siano standard più alti nelle Vie marziali – si dolgono della scomparsa del giuramento di sangue quale pre-requisito per cominciare l’addestramento nella propria Arte, alcuni Dojo hanno una specie di promessa che i nuovi allievi devono firmare ma queste mancano dell’indicazione delle punizioni sovrannaturali a cui va incontro chi non mantenga il patto sottoscritto. Ma, aldilà dei problemi causati da migliaia di aspiranti karateka o da aikidoka impegnati in salassi autoinflitti, il giuramento di sangue delle Koryu era indicativo di un particolare approccio all’insegnamento ed all’apprendimento che differisce notevolmente dal modo in cui la Vie marziali sono oggi diffuse. Durante il periodo feudale del Giappone, le Arti marziali venivano mostrate per la maggior parte in un rapporto individuale tra istruttore e allievo mentre al giorno d’oggi l’insegnamento è offerto solitamente ad un gruppo di allievi più o meno selezionato. Il soldato aveva uno specifico interesse ad acquisire le abilità che il maestro poteva offrirgli e non era così sciocco da “perdere interesse” o da dedicarsi ad altre attività che possono tentare il praticante odierno, così l’addestramento poteva essere molto più intenso rispetto agli standard odierni ed il giuramento era il simbolo di questo tipo di impegno. I leader del Budo odierno, peraltro, hanno deliberatamente cambiato questo approccio alla pratica ed all’insegnamento. Dal momento che delle Arti come Karate o Aikido avevano come scopo il benessere della società in generale e non erano riservate ad una singola classe sociale come nel caso delle Koryu, limitare la partecipazione poteva essere controproducente ma con questo non si vuole dire, peraltro, che i primi Maestri accettassero chiunque desiderasse la loro istruzione: Il Maestro di Karate Funakoshi Gichin selezionava i suoi allievi tra studenti universitari e professionisti come dottori e avvocati, poiché pensava che potessero meglio comprendere i principi filosofici della sua Arte. Il Maestro di Judo Jigoro Kano chiese ai primi membri del Kodokan di giurare che essi avrebbero continuato a rispettare i precetti del Judo anche nelle loro prossime vite.
Inoltre, perfino dopo che il Dojo del fondatore dell’ Aikido fu aperto al pubblico, Ueshiba Morihei riservò il suo insegnamento principalmente a coloro che considerava meritevoli di imparare. Piuttosto che impegnarsi in una selezione mirata ad individuare coloro che avrebbero portato avanti i principi dell’Arte, i sensei del Budo permettevano comunque a molti studenti di praticare con loro, consapevoli del fatto che la maggior parte di questi allievi non avrebbe mai raggiunto un sufficiente livello di competenza prima di abbandonare l’addestramento. Quello che ai Maestri interessava ottenere, era un gruppo più o meno ristretto di allievi di alto livello, in grado di prendere il posto dei Maestri quando questi sarebbero morti, in modo da assicurare la sopravvivenza della Scuola. Da questo punto di vista, pretendere un giuramento diventava impraticabile, a causa dell’elevato numero degli studenti coinvolti. Inoltre la promessa assumeva scarso valore anche a causa del fatto che molti praticanti, in specie quelli non interessati alle antiche tradizioni nipponiche, non sentivano l’importanza delle credenze religiose che erano proprie della Koryu, non sentendo quindi nessun bisogno di onorare delle divinità di cui non avevano mai sentito parlare. I sensei del Budo moderno possono avere desiderare il ripristino del giuramento di sangue, specie quando vedono quanti dei loro studenti abbandonano la pratica o diminuiscono il loro interesse ma, d’altronde, nel Budo moderno la dedizione non può essere assicurata con un kishomon o un keppan. La sincerità del budoka deve essere dimostrata in maniere più impegnative e peraltro, giuramento o non giuramento, egli deve dimostrare quanto vale esattamente nello stesso modo in cui le koryu lo fecero nelle generazioni passate: con un incessante impegno nella pratica che dura tutta la vita.